Il testamento di Kemal Ataturk

Il testamento di Kemal Ataturk ie, niVTATonm che ammmmuava e gmiaxeh c o x n o x te e mi e Il testamento di Kemal Ataturk La salma racchiusa nel grande mausoleo che domina la steppa - Pareri liscie senz'altro adornamento che i nomi delle battaglie vittoriose - Ingenuo orgoglio di un popolo: "I turchi sanno maneggiare la spada di Marte,,- Pionieri della fusione tra due civiltà (Nostro servizio particolare) Ankara, ottobre. Il mausoleo di Kemal Ataturk sorge, quadrato, enorme, in luogo eminente e deserto presso la città nuova. Ankara di lassù appare una gran macchia verde e bianca, coronata dalle tre colline su. cui si arrampica il brulichio di case del vecchio villaggio; tutto intorno fugge via la steppa, fulva, liscia, che irradia luce nel tardo pomeriggio e non ha altri confini che lontane ondulazioni e il cielo limpido dell'altopiano. Oggi è domenica, giorno festivo anche per questi mussulmani da quando il dittatore stabili che per entrare a far parte del consesso delle nazioni civili la Turchia doveva farsi laica, liberarsi dalla costrizione dell'Islam, < crosta di lava che soffoca l'anima ardente della nazione >; e vietò la poligamia e il matrimonio religioso, forzò le donne a svelarsi, abolì di colpo l'alfabeto arabo cacciando a scuola l'intiera nazione per imparare i nuovi caratteri, punì di morte chi si ostinasse a portare il fez, considerato simbolo dell'islamismo. Storia nota. Il bello è, se vogliamo credere alla professoressa Elcanor Bisbee che ha IIIItllllllllllMIMlllllMinilIIIIIlllillilllllllllllllllll scritto un dotto libro sui nuovi turchi, che il fez non è un copricapo tradizionale del turchi, ma è stato portato in Turchia due secoli fa dai greci e dai veneziani die l'avevan trovato in Austria. La signora Bisbee non dice che cosa facesse il fez in Austria e chi ce l'avesse portato a sua volta. E al venerdì, giorno festivo dell'Islam, Kemal sostituì la domenica dei cristiani. Oggi dunque è festa; e una gran folla accorre dalla città a vedere il mausoleo, sale al vasto viale serrato da due ordini di dure statue simboliche, si sparge in un llMl 11111111111 111 i 11111 II 11 li i li b grandissimo piazzale che ha un colonnato sui tre lati e sul quarto la grande semplice mole, pilastri e pareti liscie senz'altro adornamento che i nomi delle battaglie vittoriose, costruito con una specie di travertino che arde rosso e giallo avviluppato dal sole basso. Borghesi, soldati, famigliole della città o della campagna vicina; facce come si potrebbero vedere in qualsiasi sobborgo mediterraneo, altre in cui sopravive il tipo mongolo o tartaro, occhi allungati, quasi del tutto chiusi per la necessità di difendersi dalla gran luce della steppa, il viso così bruciato dal vento dell'altopiano che sembra di un negro. Vesti europee e tracce delle antiche fogge orientali; ancora qualche donna giovane con le vaste brachesse di mussolina a fiorami, il viso mezzo coperto da un fazzoletto tirato giù fin sugli occhi o imbavagliato da un velo che sale su fino al naso. Busti decapitati Penso che tanta folla sia venuta a passare il pomeriggio festivo quassù perchè il monumento è recente e molti se lo vengono a vedere davvicino per la prima volta. Quando venni qui tre anni fa mi dissero che c'era un forte partito reazionario che deprecava le riforme di Kemal e la sua lotta alla religione; che qua e là nei borghi dell'Anatolia erano stati decapitati busti e statue del dittatore, sì che si parlava allora di un progetto di legge destinato a « difendere la memoria di Atatùrky comminando gravi pene agli autori di quelle offese. O quella propaganda reazionaria non ha avuto il consenso di molti, o lo stato d'animo è cambiato anche presso il popolo minuto; ho l'impressione che la memoria di Kemal sia ancor viva senza bisogno di sollecitazioni ufficiali, che questi semplici visitatori non stano soltanto dei curiosi; è manifesto nei più un senso di venerazione entrando nell'aula oscura per sfilare in silenzio davanti all'arca di granito ove è racchiusa la salma del dittatore, un senso di orgoglio in quelli che stanno con il naso all'insù nel piazzale, di avere avuto un così gran capo che riposa in cosi grandioso edificio: « Il più grande del mondo, non è vero t » mi ha chiesto il conducente dell'automobile che mi ha portato fin qui sotto, e naturalmente gli ho detto di sì. Guardo dal sommo del mausoleo verso oriente, penso quante volte per tanti secoli questa steppa è stata corsa ed invasa, presa e perduta e ripresa da genti diverse dall'oriente, dall'occidente e dal settentrione, da nomadi con le tende e gli armenti, da orde cupide di bottino, da eserciti pronti all'incendio e alla rapina; i misteriosi sumeri, gli frittiti, i cimmeri; e gli sciti venuti a urtarsi contro le prime colonie greche del litorale, ferocissimi, intenti solo a saccheggiare e a distruggere, finché furono anch'essi distrutti dalle battaglie e dalle epidemie; e restano terribili nelle leggende col nome del loro capo favoloso, Cog Magog dalla faccia di cane. Poi i medi, i persiani, i galli — dei quali può capitare di vedere ancora qui gli ultimi discendenti, biondi con gli occhi azzurri —, i macedoni di Alessandro e gli egiziani di Tolomeo, i siriani di Antioco il Grande, i parti di Mitridate. E i romani dei quali restano grandiosi segni, nonostante le distruzioni di diciotto secoli; il mausoleo di Augusto è ancora più o meno in piedi, qui ad Ankara, con le pareti dell'atrio incise dal famoso testamento, credo soltanto perchè gli hanno addossato contro secoli fa una moschea dedicata ad un santone venerando; e cosi credo che quella solitaria colonna di tempio romano all'inizio della città vecchia la tengano in piedi solo perchè ogni anno viene una gru a deporvi le ova; adesso è fuori, non so dove emigrino le gru in questa stagione, ma in cima al capitello c'è ancora il nido pronto ad aspettarla. E dopo, i romani, ondate dietro ondate, persiani, arabi, armeni, turchi e mongoli e tartari e crociati. Là in fondo è la piana di Kaleoik traversata dal Kizilirmak o Fiume Rosso, ove annegò il Barbarossa; e II presso è il luogo ove Tamerlano sconfisse il sultano Bayazid; turco contro turco, il selvaggio condottiero zoppo venuto dal cuore dell'Asia contro Vottomanno già un poco incivilito dopo un secolo di contatto con Bisanzio. Tamerlano vinse, il sultano morì in prigionia di guerra; ma poi l'ondata com'era arrivata impetuosa si ritrasse, gli ottomanni ripresero forza ed ardire, sicuri delle spalle poco più di un secolo dopo si impadronivano di Costantinopoli. Selvaggi guerrieri Kemal ammirava questi grandi condottieri, li assumeva fra gli eroi della stirpe, Attila, Gengis-Khan, Tamerlano, ne invidiava le gesta, pensava che, se non fosse nato troppo tardi, avrebbe potuto come essi galoppare per i continenti alla testa di selvaggi guerrieri, conquistando imperi, distruggendo città, portando ovunque il suo arbitrio allegro e sfrenato di vincitore. E non si accorgeva della contraddizione; non pensava che se fosse nato quattro secoli prima, guerriero al servizio del sultano, avrebbe combattuto contro quei condottieri che oggi celebrava, li avrebbe giudicati barbari, cieche forze - orientali di distruzione. Anche un biografo di Kemal, scrivendo nel 1935, dopo quattro anni che questi era dittatore incontrastato (H. C. Armstrong, nel libro Grey Wolfj, lo chiamava sfortunato perchè il destino lo aveva fatto nascere fuori del suo tempo; facendolo erede di un morto impero ridotto a un miserabile paese di contadini, costringendolo nelle maglie di una politica meschina, di dozzinali riforme; le sue armi erano il gesso e la lavagna, la sua uniforme il frac, la sua reggia una villetta suburbana in un sobborgo fuori mano. E impiegava il tempo a insegnare il progresso ad un popolo inerte e arretrato; e la sua gran fede nello splendido futuro del suo popolo era serrata da angusti limiti di opportunità. Ebbene, oggi si vede che la fede di Kemal non era mal riposta; che la sua eredità è maturata e la sua opera appare più grande, più ragionevole, e soprattutto giustificata dagli avvenimenti. La Turchia è ancor povera, ancora popolata di contadini rassegnati e fatalisti; ma è diventata membro importante di una comunità di nazioni che sono fra le più civili del mondo. Se trent'anni fa il dittatore proclamava che la Turchia non doveva più essere il campione dell'Oriente contro l'Occidente, oggi potrebbe affermare con orgoglio che è l'avamposto dell'Occidente verso l'Oriente. Primi allo sbaraglio I turchi amano cantarsi, con un po' di ingenua iattanza di essere una nazione di soldati coraggiosi. Nel '48 Hasan Gemil Ciambel, deputato, già addetto militare di ambasciata, scriveva al direttore di un giornale americano: </ turchi sono una nazione eroica e sanno maneggiare la spada di Marte >. Tre anni fa, parlando con il ministro degli Esteri Kùprillil, lo se?itii dire con. enfasi che la Turchia è una potenza militare: < Noi siamo soldati coraggiosi », mi ripeteva, < soldati coraggiosi >. Ma oagi i turchi possono gloriarsi di qualcosa di più; che queste loro virtù militari sono indispensabile elemento di sicurezza per l'Occidente; un Occidente che va dal Mediterraneo al Pacifico. E gliene viene un sentimento di importanza, che anima i discorsi che ho sentito di qualche giornalista, di qualche politico; insieme a una certa orgogliosa consapevolezza del rischio che corrono di trovarsi da un momento all'altro i primi allo «baraglio, ove avvenisse una improvvisa rottura dell'equilibrio di pace. Dal 1947, da quando s'iniziò l'afflusso degli aiuti americani, la politica estera della Turchia è lineare e coerente, tutta ispirata alla coscienza di servire alla civiltà occidentale provvedendo alla propria sicurezza, di servire a sè accettando di montare la guardia alla sicurezza europea ed atlantica. Non sempre l'iniziativa è stata sua, come fu tale per la partecipazione al Patto Atlantico che volle e che persegui con tenacia. Il Patto Balcanico, che ha portato all'alleanza militare fra Turchia, Jugoslavia e Grecia, è stata una idea di Tito; ma la Turchia ne ha visto subito i vantaggi, la possibilità di rafforzare la garanzia che si era assicurata con il Patto Atlantico, colmando un vuoto fra il fronte della N.A.T.O. e quello balcanico; e si è messa subito d'impegno per portare la Jugoslavia nella N.A.T.O. — cosa che non le è riuscita finora perchè la Jugoslavia non vi si sa ancora risolvere; — e si è data e si dà d'attorno perchè anche l'/ta- lia partecipi in un modo o nell'altro al Patto Balcanico, senza curarsi troppo se la Jugoslavia se ne adonti o se ne insospettisca; ancora pochi giorni fa Kardelj diceva piuttosto cinicamente all'incaricato di Affari di Francia: <I turchi vogliono profittare dell'alleanza balcanica .per introdurre l'Italia nei Balcani, mentre noi l'abbiamo voluta per escludere l'Italia dai Balcani ». L'America poi ha indotto la Turchia a concludere un accordo che prevede una collaborazione sociale, economica e militare con il Pakistan, il grande Stato mussulmano dell'India; e se finora la sua opera per far partecipare anche l'Iraq a questi accordi si urta contro l'opposizione degli Stati arabi, questo non avviene certamente per mancanza di buona volontà da parte della Turchia; dispostissima a partecipare ad accordi e ad impegni con gli Stati arabi, non sul fondamento della medesinta religione come taluni pensano (idèa che questi governanti respingono), ma per la tutela di interessi comuni, sopratutto di difesa. (Nè ai turchi dispiacerebbe di riprendere la leadership nell'Oriente arabo). Questa politica americana trova nella Turchia un collaboratore volonteroso e persuaso. Uscita dalla guerra a 'cui aveva partecipato solo negli ultimi mesi, ma inimicandosi la Russia per questo, esposta alle minacce di questa con migliaia di chilometri di frontiera aperta, la Turchia stava fra Oriente e Occidente incerta e spaesata; già remota dalla tradizione orientale e ancora in sospetto dell'Occidente in cui aspirava a fondersi, e che nello stesso tempo disprezzava un poco. Avvenne allora che americani e turchi si resero conto di avere una cosa in comune: la stessa paura di essere aggrediti dallo stesso nemico, la stessa urgente necessità di salvaguardare la pace. Come disse un turco spiritoso, gli americani hanno la potenza, e noi una posizione geografica pericolosa per tutti; siamo fatti per andare d'accordo. Questo accadde nel 1947. E da allora, come ho detto, la porta d'Oriente si è mutata in porta d'Occidente, elemento avanzato di difesa. Ma i turchi si propongono qualche cosa di più, almeno quelli che guardano più lontano delle contingenze presenti; un compito arduo, la missione che fallì ai greci, ed ai romani; essere i pionieri della fusione fra due civiltà, fra due concezioni di vita finora ritenute incompatibili, dell'Est e dell'Ovest. Utopia, forse. Ma il solo proporsi un'utopia di questo genere è un indice di più del rivolgimento avvenuto in questa nazione che ogni generazione o due si propone un nuovo aggettivo molto impegnativo. Si chiamarono < giovani twrehi » i primi anni del secolo, si chiamano < nuovi turchi > dal 19S3 ad oggi; e < poiché il nuovo non rimane sempre nuovo, mi diceva tre anni fa il saggio onorevole Sadat Ors, < bisognerà trovare adesso un altro aggettivo ugualmente compromettente >. , Paolo Monelli o noiuu teAnfu ùmfionqono- \\ maqpoXi ccmyiiàaMadon*ta\\ neh il &ene4i&ie fanu£iahe ; j $2 dorma non deve -ipteca/ie. t&mfio a fiAefiana/ue -iugAiguància fuco dùfioVuz di f un amdùmervtoncJMAx>h, e àano- ^SgL cerine, i£ Sugòr Sugòro è una specialità fatta con pomodori ben maturi, buone verdure scelte ed olio d'oliva vergine. I quattro tipi di Sugóro : semplice, con funghi, con carne, con prosciutto, permettono'di assicurare ai Vostri piatti quella varietà di gusto che è il segreto di ogni brava cuoca. IL BRAVO SUGO CASALINGO Raccogliere le etichette dei «Prodotti Afthea»; avrete bellissimi reggi.. Chiedete il foglio regali a tAllhea • Rep. 228 Parma». |;>8,:iTc (umili