Fortezza e santuario dell'età del bronzo

Fortezza e santuario dell'età del bronzo Fortezza e santuario dell'età del bronzo Canta Maria Belverde, ottobre Generalmente parlando, gli scopritori di antichità, o come si diceva una volta, di anticaglie, sono molto riservati sul capitolo delle proprie emozioni personali nel corso degli scavi e delle scoperte fatte. Parlo dei modern*' smentitici, critici, addestrati e informati a diffidare e a sottoporre a vaglio dubitativo ogni entusiasmo, a principiar dal proprio. Gli scopritori di animo umanistico, esageravano all'occorrenza l'entusiasmo, e magari Inventavano le emozioni di là da quelle che avevano provate. Dipende, che quelli d'oggi studiano a conoscere le antichità; quelli d'una volta intendevano a farle rinascere, o meglio a farne rinascere una, prediletta e amatissima. Con questo, la commozione del Prof. Calzoni durante la metodica e ■ rigorosa campagna di scavi del 1928-33 nell'« abitato preistorico di Belverde », dev'essere stata vivissima. Infatti, dentro questi antri-e cunicoli e buche a fondo cieco del sistema sotterraneo trogloditico, non si trattò di avanzi e rifiuti e rimasugli di materiale più o men perso o abbandonato, più o meno disperso da vicissitudini naturali e umane, in fondi e fondigli di capanne e ricoveri, ripostigli e officine. Le grotte, o come dicevano sul luogo le « tombe » di Beiverde, accanto e sopra i relitti dell'età della pietra, in parte cementati da sedimenti e concrezioni calcaree che hanno richiesto, per formarsi, decine li migliaia d'anni, e cosi per noi le datano, hanno dato ben di più. Ed è già commovente ravvisare in tali relitti la successiva presenza di tribù o famiglie della coltura della pietra scheggiata e della levigata e della forata, che ebbero tutte un carattere di semplicità rozza, di penuria, di Scarsezza, di povertà, tanto da dimostrarsi degli appartati e isolati, dei rifugiati e rifuggiti, nel rifugio di quelle grotte montanine fuor di mano, scampati a rivolgimenti e a rinnovamenti etnici, che ve li relegarono, in una vita di sopravvissuti, in una coltura di attardati, di poveri, usando la parola in accezione storica, magari di perseguitati, se avesser fatto tanto di uscire « di calare dalla loro relegazione trogloditica, e dai valloncelli ed anfratti silvestri del Cetona, dove davan la caccia, dicono i ritrovamenti, al bue. selvatico e ai caprioli. Di volatili non si può dire, perchè sono d'ossame troppo fragile e deperibile, senza dire che quei primitivi cacciatori è probabile che avesser l'usi di sgranocchiarne anche buona parte delle ossa. Finalmente, soppressi o soppiantati, o commisti e assorbiti, il ciclo, in cui s'eran chiusi e attardati, della loro coltura di sopravvissuti e d'impoveriti, sboccò e si perse in quello dei sopravvenuti con le arti e colture dell'osso lavorato, e del rame e bronzo battuti e fusi, e delle ceramiche plasmate fra le dita, prima del tornio, e delle coltivazioni agricole sviluppate, della macinatura dei cereali, dell'allevamento, più o meno pastorizio, e della mungitura e della macellazione di animali commestibili, e d'una progredita cottura dei cibi, e della cucitura delle pelli d'abbigliamento, e degli ornamenti personali d'osso, di terracotta, di metallo, d'ambra; che nei ritrovamenti di Beiverde documentano la storia di un aggregato civile e di uno sviluppo colturale, dall'estinguersi della civiltà della pietra fino ai primordi di quella del ferro. £' una storia, tecnica ed economica, di costumi e di mestieri, di attività più o meno locali e vicine, di commerci e scambi anche da provenienze lontane; e, sopra tutto per quanto si deduce dai ritrovamenti, imponenti per quantità e qualità e caratteri, di ceramiche, in questi si ha la storia continuata e coerente e organica di un'industria, dei suoi processi e progressi produttivi, strutturali e funzionali, dei suoi intenti e conceni ed effetti pratici, economici e civili, tanto dal punto di vista patrimoniale, quanto da quello commerciale; infine, c'è in quei cocci, diecine di migliaia, la storia, la realtà, dagli incunabuli alla maturità piena, di un gusto, di uno stile, di una consapevolezza estetica, altrettanto sicura di un proprio carattere quanto aperta a larghi, varii, lontani scambi stilistici. E', in questo genere e per quell'epoca, la maggiore scoperta nella preistoria d'Italia; ma ciò che la rende per ora unica, è il fatto che tutta quanta cote sta complessa e lunga varietà d'interessi e d'attività e di vita, si possa qui leggere accentrata, incardinata, e dunque ordinata e retta, sopra e da un centro regolatore e coordinatore e motore, dunque civile e quasi civico, come fu, unico a tutt'oggi ben ravvisabile, questo del preistorico Belverde, emporio e deposito di ogni sorta di beni e di prodotti, mercato di scambio, tesoro patrimoniale, officina e stuoia, riserva per tempi critici di gl«cmtfstlmffetLlnt , i i i i ; i , , , , a i a n a r a , à , , e , n o i guerra e carestia, arsenale e mulino, come dimostrano i mo'.u «macinelli» di pietra vulcanica: centro insomma di una numerosa popolazione, e delle grotte stesse, e delle adiacenze, e forse di ben più ampia regione, se si pensa all'entità di quei ritrovamenti. Premetto, a questo punto, che l'ipotesi scientifica rigorosa si limita ad assegnare a Belverde la funzione di un « abitato », quale fu certamente, e dei cavernicoli e dei capannicoli locali, nei sotterranei, e, fuori, in ricoveri di frasche intonacate di terra soda. Lo premetto, per rendermi più libero di arrischiare e immaginare congetture, ipotetiche, fantasiose, ma su dati di fatto. Un fatto traggo dalla relazione degli scavi; ed è che salvo pochissimi, irrilevanti, e anche e soprattutto dubitabili indizi, tutto quanto l'interno del sistema sotterraneo: antri, fratture, fessure, anfratti, volte e pareti, sbocchi, buche cieche, grandi camere, cunicoli, salti impervi; tutto quanto restò d'intatta foggia e fattura naturale, scrupolosamente rispettata, inviolata, senza modifiche, nè di tagli nò di manufatti. E non è a dire che non sarebbero state, tali opere di mano umana, comode, utili, opportune e agevolatici di una abitazione che dovette essere tutt'altro che agevole e facile, in quell' interno sotterraneo, per gran parte accidentato, e in molti tratti ripido o scosceso tra un vano e l'altro, prodotto qual è di formazioni geologiche, vulcaniche, di fatti tellurici, di erosioni idrauliche, che i cavernicoli, salvo i depositi e i riempimenti automatici dei relitti, e salvo i ripiani di terra battuta dei focolari, non modificarono con nessun lavoro. (Ritengo anzi che gli adattamenti recenti per una maggiore transitabilità, dovrebbero lasciar più evidente cotesto carattere, d'altronde dimostrato e sicuro). Lo stesso fatto e carattere, lo stesso scrupolo e rispetto, nella grotta perigordina di Lascaux; dove, nei cicli delle mirabili pitture animalistiche, originate da una religione di magia venatoria, l'intento, il comandamento di rispettare intatta ogni forma nativa delle grotte, e dunque anche ogni ombra e penombra, ogni luce e buio, ogni risonanza e respiro, ogni più cieco e segreto silenzio della struttura naturale sotterranea, ha imposto alcuni specifici e ingegnosi partiti e trovati di disegno, a quei pittori preistorici meravigliosi. Erano grotte sacre, luoghi di culto e d'adorazioni, create e fatte dal nume indigete, presente e manifesto nel loro arcano, e per emanazioni e segni e oracoli, e in quel timore reverenziale, in quell'orror sacro, che imponevano, d'epoca in epoca, di coltura in coltura, da una stirpe e da una civiltà all'altra, quello scrupolo e quel rispetto e quella inibizione, con una tramandata costanza e fedeltà, a considerarsi, meravigliose ed auguste. E siccome quello e consimili monumenti sacri appartengono all'età della pietra, mi verrebbe da immaginare che queste genti del bronzo, qui in Belverde, avessero ereditata tale religione dei sacri spechi dai loro predecessori, dai cavernicoli relitti e superstiti di quell'età: in ogni modo, anche qui si scorge il fatto, e qui più che mai contrasta, con sorprendente e cattivante evidenza, coi sorprendenti, coi cattivanti manufatti esterni, d'intaglio nella pietra e di ciottoli a secco, che rendono quel rispetto' e scrupolo, se non li si intendono informati a intendimento religioso, più che inesplicabili, assurdi. Ma l'intendimento mio dev'essere a immaginare piuttosto che a ragionare, benché non mi sembri da tacere che il carattere di grotta sacra è confermato dai sepolcri che vi furono scoperti, di ossa, ma specialmente di teschi, umani, inumati secondo costanti e rigorose prescrizioni di un sicuro quanto misterioso culto mortuario, col corredo funerario di un cranio di cane, olocausto, forse amuleto funebre, offerta sacrificale, del fedele ed affezionato compagno e guardiano domestico, dell'ausiliare nella caccia, nella pastorizia, nella guerra; forse, che le ipotesi posson essere molte, sostituito a vittime umane; in ogni modo, elemento di un rito, definito dal teschio umano in posizione capovolta, col foro occipitale in alto, e dal sacrificio funerario del cane. Ma anche è da dire che l'importanza accentratrice domestica e patrimoniale, economica e dunque politica, della località, e specialmente della grotta, come luogo di comune deposito di riserve d'ogni genere, come rifugio nei pericoli comuni, come abitazione del capo della tribù, concorda col fatto della sua importanza e funzione di sacrario e di luogo sacro e numinoso ed oracolare, di abitazione del sacerdote della tribù, se pur questi non era, in una stessa persona, anche il capo, il primitivo re di quelle genti. Essere luogo d'interessi e riu¬ ndcnmdglimdss nioni e consulti pratici e civili, diciamo politici, s'accordava, coincideva coll'esserlo di riunioni e consulti e riti, e diciamo interessi, religiosi; e s'accordava pure il fatto d'essere luogo di rifugio e di difesa comune, in comuni travagli e pericoli capitali. S'accordava; anti lo istituiva, quasi antichissima, primordiale istituzione, preistorica, di ciò che nelle epoche protostoriche, e ancora in tempi classici, sarà la cittadella sacra, fortezza e santuario, l'arce della città e dei suoi numi. Sicché se Belverde, oltre che d'abitato e di culto, era luogo forte, oserei dirla una dimostrazione di ciò che fu, appunto un'arce preistorica. Ma luogo forte era, per natura e conformazione della posizione, per la presenza e le risorse delle grotte, e per le sorgenti d'acqua, vive ancor oggi: e non soltanto forte per natura, ma fortificato dall'arte, coi manufatti di ciottoli a secco, dei quali ho fatto cenno. Riccardo Bacchetti I i 111L111 ] 11 i 11M11S1 ! MI i ! F 11 11 I ! i IJ ! 111111M M111 ! 1

Persone citate: Belverde, Maria Belverde

Luoghi citati: Cetona, Italia