Wilma Montesi fu colta da malore nella casa di Piero Piccioni a Roma? di Gigi Ghirotti

Wilma Montesi fu colta da malore nella casa di Piero Piccioni a Roma? Un'auto «1400» avrebbe portato la rogano morente sul lido diTor Vajanica Wilma Montesi fu colta da malore nella casa di Piero Piccioni a Roma? Già altre volte la giovane era svenuta - La portinaia dello stabile e gli inquilini non credono a questa ricostruzione dei fatti - Permane il mistero - Decine di telegrammi a Ugo Montagna da parte di ammiratrici (Dal nostro inviato speciale) Roma, 23 settembre. Nel marzo scorso, mentre si celebrava 11 processo Muto, uno del difensori, l'avv. Bucciante, rivolse d'improvviso una domanda ad Anna Maria Caglio che In quel momento sedeva come teste mostrando ai giudici il suo sorriso da statuina cinese. « Dove si trova la garsonniere di Piero Piccioni? >, volle sapere l'avvocato. Il Pubblico Ministero dottor Bruno non ebbe nemmeno 11 tempo d'intervenire con il proverbiale: <M1 oppongo > con 11 quale era solito bloccare ogni domanda che esulasse un tantino dalla materia del processo. « In via Acherusio al n. 22 >, rispose pronta la < figlia del secolo >. In via Acherusio al n. 22, in una palazzina color verde chiaro, moderna e rischiarata da vasti balconi a terrazzino, al 5' plano c'è un uscio sul quale la targhetta di metallo dove per solito si inserisce il biglietto da visita del capo famiglia tace completamente sull'identità dell'inquilino. Tace anche 11 campanello, benché assiduamente premuto. Tutte le persiane dell'appartamentino sono chiuse. Il pianerottolo poi sembra del tutto deserto. Nella palazzina di via Acherusio abitano famiglie di professionisti e di alti funzionari di ambasciate straniere,- tutta gente che non ama indagare nei fatti altrui e vive per lo più una vita tranquilla e appartata. Anche la portinaia, la signora Giuliana, sembra fare eccezione alla leggendaria curiosità delle persone che assolvono la stessa funzione. <Non so nulla; il dottor Piccioni lo conosco ma non l'ho mai visto in compagnia di nessuna donna. Sì, il dottor Piccioni veniva spesso qui, ma che cosa facesse e con ohi fosse non lo so >, risponde la signora Giuliana. Il suo nervosismo aumenta via via che le domande si fanno più indiscrete: il lavoro a maglia al quale la brava portiera è Intenta le cade due voi te di mano mentre respinge l'assalto della nostra curiosità, < Ha paura di essere chiamata a deporre a Palazzo di Giustizia >, ci spiegherà più tardi la lattaia che apre il suo negozio sul marciapiede opposto all'ingresso della palazzina, Perchè l'appartamentino di Piero Piccioni sia tornato di attualità è presto spiegato. Ieri sera un'agenzia di stampa che per solito è assai vicina al governo ha prospettato l'ipotesi che proprio in via Acherusio al n. 22 si sia svolto il drammatico fatto sul quale si indaga, Wilma avrebbe atteso colà, nelle quattro stanzette affittate da Piero Piccioni, la visita dell'* amico >. Il giovane musicista, ritornato nel primo pomeriggio del 9 aprile da Amalfi, si sarebbe recato dapprima nello studio dpi prof. Filipo in via Ticino 7 per farsi visitare la gola infiammata. Poi avrebbe raggiunto nell'appartamento di via Acherusio la ragazza, <la quale nel corso del convegno sarebbe stata colta da malore. Poiché Wilma non dava più segni di vita, il giovane sì sarebbe rivolto a Ugo Montagna. Questi avrebbe Interpellato in proposito il questore di Roma Polito e si sarebbe giunti alla conclusione di occultare il cadavere gettandolo in mare sulla spiaggia di Tor Vajanica >. Questa ricostruzione del fatto non regge molto all'analisi. E' vero che l'alibi di Piero Piccioni presenta uno «scoperto » di qualche ora proprio nel pomeriggio o nella sera del 9 aprile, il giorno in cui Wilma uscì di casa, o fuggì, secondo un'interpretazione che trova sempre più credito. E' vero anche che tra via Tagliamelo, dove Wilma abitava, e via Acherusio, il tratto è breve; forse meno di un chilometro. E via Ticino si trova pure nei dintorni: in cinque minuti a piedi il giovane Piero Morgan poteva raggiungere il suo appartamentino lontano dagli sguardi indiscreti. Ma nè gli inquilini della palazzina hanno visto mai una ragazza che corrisponda ai tratti di Wilma; nè bì udì, a quel che sembra, il trapestìo che pure avrebbe dovuto provocare l'arrivo del Montagna e il trasporto a braccia di una donna esanime dal quinto piano al pianterreno. Nella palazzina di via Acherusio al piano quarto abita il dottor Bravi, un giovane medico che la logica avrebbe consigliato di consultare in un caso cosi drammatico come quello che l'agenzia < Italia » immagina sia avvenuto nella tarda sera di quel 9 aprile. Nulla invece è trapelato, nulla di anormale ricordano gli inquilini. «Piero Piccioni? Un giovane molto discreto. Orge nel suo appartamento? Non è possibile. Avremmo udito qualche frastuono ». Così ripetono. Inoltre è da notare che nessuno dei coinquilini e nemmeno la portinaia della palazzina color verde-chiaro di via Acherusio, è mai stato interrogato dal giudice dottor Sepe. Se egli immagina davvero che la tragedia si sia svolta tra queste pareti, certo avrebbe dovuto ricorrere alla testimonianza di queste persone. Ed allora, dove fermare il sospetto? Su Capocotta, forse, i cui guardiani sono tutti in carcere. Ma allora è necessario spostare la data della morte di Wilma Montesi al 10 aprile, e per questo giorno l'alibi di Piero Piccioni ha tutta l'apparenza d'esser inattaccabile. Che 11 giovane Piero, in qualche modo, abbia- avuto una parte nel dramma, il dottor Sepe non mette in dubbio; ma la logica è costretta a dure prove nell'immaglnare l'itinerario e le circostanze precise della tragica gita. C'è tutta una serie di elementi che sfuggono; c'è un mistero che si influisce quanto più si avvicina l'ora della resa dei conti. Che carta avrà in mano il giudice Sepe? ci si chiede con insistenza a Roma. Quale dei personaggi che il magistrato ha udito in così lunga fatica, abbia offerto il filo conduttore per gli arresti che hanno emozionato tutta Italia è impossibile indovinare. D'altra parte, notizie di stasera assicurano che il padre di Piero Piccioni, on. Attilio, che ieri non si era alzato da letto, oggi starebbe un po' meglio ed ha lungamente studiato nella sua villa di Grottaferrata la situazione quale si presenta obiettivamente: fino a ieri, l'on. Attilio credeva al figliolo «sulla parola», sul suo giuramento solenne di innocenza. Oggi, secondo quanto si è appreso dagli intimi, l'on. Attilio avrebbe riordinato fatti e ricordi, e avrebbe tratto nuovo conforto da un esame ragionato e spassionato dell'intera vicenda. Anche le notizie sul giovane Piero, notizie che filtrano penosamente dalle alte muraglie di Regina Coeli, non lo descrivono in preda a crisi di angoscia o di abbattimento. Anzi il giovane Piccioni è apparso molto calmo al cappellano, padre Luigi Cefaloni, che stamani gli ha dato il buongiorno attraverso lo spioncino della cella 111 del primo braccio. Più tardi il detenuto ha chiesto un libro da leggere, e l'agente addetto alla biblioteca del carcere gli ha offerto « Il Conte di Montecristo », che 11 giovane musicista si è accinto a rileggere. Egli è stato svegliato stamani per tempo dallo scopino addetto al primo piano del «braccio», con un brusco < La vuoi l'acqua tu? ». Il giovane si ò affacciato all'uscio e ha porto senza rispondere le due brocche per l'acqua che fanno parte della < fornitura » della cella. Subito dopo è passato il piantone con il caffelatte bollente, e Piero Piccioni si è fatta riempire la tazza e ha sorbito la bevanda con visìbile avidità. Alle 9 è suonata l'caria» ai detenuti, cioè l'ora della passeggiata. Piero Piccioni, trovandosi in attesa di giudizio, non è stato ammesso a passeggiare con gli altri carcerati. Tutto Bolo e discreto si è aggirato, le mani in tasca, lungo il «cubicolo», che gli era stato riservato. Gli altri detenuti, avendo udito il suo passo solitario risuonare per il corridoio, hanno cercato di aggrapparsi al muro divisorio per scorgerlo. Ma le guardie con severissimi richiami non hanno permesso alcun sguardo indiscreto. Piero Piccioni è rientrato alle 10 nella sua cella: vi ha trovato sullo sgabello la razione del pane e il libro del Dumas, aperto al capitolo dove la lettura era stata poco prima Interrotta. Nell'ora stessa Ugo Montagna lasciava la sua cella al VII « braccio » per recarsi nella saletta degli interrogatori, dove il dottor Sepe l'attendeva per contestargli le note accuse. L'interrogatorio è durato tre ore. Il giovedì è giornata di < pastasciutta » per i carcerati. Ma Piero Piccioni ricordando 11 malinconico minestrone di ieri e ignorando la consuetudine che allieta il giovedì dei carcerati, ha preferito ordinare al «bettolino» interno un vitto speciale: pasta al burro e bistecca. Nel pomeriggio la radio interna di Regina Coeli ha trasmesso un breve programma musicale. Piero Piccioni nella sua cella è parso riscuotersi all'improvviso richiamo della mu_ sica che veniva a ritrovarlo nella squallida solitudine della prigione. La radio trasmetteva «La Paloma» e «Quanto sei bella Roma», e alcune can- zonette veneziane; dischi un po' vecchiotti, per la verità, ma la discoteca del carcere non ha più ricevuto nuovi doni da almeno due anni e proprio questi dischi rappresentavano gli < ultimi arrivi ». Alle 15,10 la ronda delle cu¬ a cine ha recato ai detenuti l'ultimo pasto della giornata, la cosiddetta « zuppa di stracci >, una povera minestra di cavoli bolliti. Nè il Piccioni nè il'Montagna hanno osato far conoscenza con questo piatto, che non hanno toccato. Il marchese ha trascorso in modo più burrascoso la sua giornata. Dopo l'interrogatorio del dott. Sepe, egli è ritornato in cella visibilmente scosso, tanto che non ha nemmeno voluto aprire l'involto contenente indumenti che il fratello Goffredo gli aveva recato alla porta del carcere. La musica invece, più tardi, lo ha un po' rasserenato. Al contrario, pare che le note dei dischi abbiano provocato in Piero Piccioni uno stato di malinconia, del quale a tarda sera il sonno lo ha liberato. Alle ore 17 infatti, ai rintocchi della campana della « conta» — che corrisponde al silenzio nelle caserme — Piero Morgan era profondamente addormentato. In quell'ora invece il marchese chiedeva a gran voce a un « superiore » — cosi vengono chiamati gli agenti di custodia — di poter spedire un telegramma. Ugo Montagna fu subito Informato delle difficoltà che si opponevano al suo desiderio: per un telegramma, come per una lettera, occorre una « domandina » al direttore; questi la esamina e decide in proposito. Inoltre, non è consentito scrivere in cella, bisogna andare nell'ora stabilita nell'apposita sala, dove sotto il vigile occhio dei guardiani il detenuto può vergare le sue missive. Con gran dispetto il marchese ha dovuto ritornare a coricarsi sulla sua brandlna e cercare un po' di riposo. Sessantacinque telegrammi sono pervenuti ai due detenuti tra ieri e oggi: ventidue ne ha ricevuti Piero Piccioni e quarantatre Ugo Montagna. DI questi ultimi, ben trentadue appartenevano ad ammiratrici. Gigi Ghirotti Il cappellano di Regina Coeli, padre Luigi, entra nel carcere per chiedere un colloquio con Piero Piccioni (Tel.) Goffredo Montagna esce dal parlatorio del carcere (Tel.)

Luoghi citati: Grottaferrata, Italia, Roma