L'uomo e la grotta

L'uomo e la grotta L'uomo e la grotta S.ta Maria Belverde, settembre. Il sagrato davanti le tre cniesette francescane sta quasi tutto nella rustica scalea, in gran parte tagliata nel sasso vivo, eoa la grande croce nuda rituale e i consueti cipressetti, vetusti, adusti, qui tormentati dal vento montanino, ma vigorosi. Generazioni di contadini, succedute ai frati, hanno serbato il carattere e lo stile, e la santità del luogo, come da quelli li ricevettero. Adesso che c'è una strada carreggiabile, non correi che cominciassero le solite devastazioni turpi, perchè le chiesette sono monumento nazionale, ma tutto il resto è di proprietà privata; e non c'è da fidarsi, come sappiamo troppo bene per mille esempi di distruzioni non tanto dettate da mero utile pecuniario, sovente miserrimo, ma da libidine distruttiva. L'Italia è paese dove alle più commoventi ed affettuose Move di animo civile, sovente, come dicevo precedentemente, le più umili, s'accompagnano, e troppo sovrabbondano, le prodezze di una lussuria progressistica, da fare il paio con la «lussuria ossidionale» celebrata da Gabriele buonanima. Sta bene che Francesco, quando l'asinaio gli occupò il tugurio di Rivo Torto per adibirlo a stalla, non fece opposizione e passò alla Porzmncola, ma Francesco aveva altri fini, incomparabilmente più sublimi e meno facili da adempiere di quanto non siano i nostri, ai quali adempiamo tanto male e con tanta incuria, quando non è disprezzo e improntitudine. A buon conto, tutta la plaga di Belverde, bellissima in quell'impronta pura ed intatta, benché sconsacrata, francescana, e di prodigioso interesse per l'archeologia preistorica, dovrebbe essere tutelata, preservata, o, meglio ancora, riscattata, specialmente ora che c'è il pericolo della strada carreggiabile. Non ci son quattrini? Chiediamoli in elemosina agli americani, che fra tanti mendicamenti a cui siamo ridotti, questo sarà onorevole e meritorio. Ma bisognerebbe poi che anche ricerche e scavi, ove si riprendessero, rispettassero il carattere del luogo. Mentre consideriamo le pitture di scuola senese dentro la prima chiesetta, dove quella soprastante la porta d'entrata è ammirevole per un lume colori stico singolarmente chiaro e sereno, il colono Biagi che ci guida, introduce d'un tratto, e assai curiosamente, la storia, in quel luogo fertile e propizio a disposizioni contemplative d'oltretempo. Dice, additando traccie non del tutto rimosse di scialbamenti, che i frati dettero una mano di bianco alle pitture, per /ia di Garibaldi. Ho ricordato precedentemente l'entusiasmo che accolse Garibaldi nel luglio del '49 in Cetona e Sarteano e poi a Montepulciano. Ecco quest'altra voce, d'una tradizione tutta fuori della storia ufficiale. Facendo finta di non aver capito, domando perchè, per via di Garibaldi. Mi risponde, stringendosi nelle spalle, e senza metterci nulla Jel suo, appunto come chi riferisce una notizia tramandata, che Garibaldi e i suoi non erano amici delle chiese e dei preti, dei conventi e dei frati: questi, prima d'andarsi a « niscondere », a -agiune di tal voce che precedeva lui e i garibaldini sulla via che da Orvieto viene in Val di Chiana, vollero salvar le pitture sacre con quell'imbiancamento. Vera, nel fatto particolare concreto, o non vera, la notizia, e più la sua persistenza ormai secolare, e curiosa: da registrare, tanto om se leggendaria, e proprio perchè tanto minuscola e fuggitiva, fra quelle adatte a far intendere nella sua storica intierezza il Risorgimento. Fa il paio, per altro verso ed opposto, con quella che in Cetona Garibaldi fu acclama. to popolarmente Re d'Italia: nel '49, e uscendo da Roma soldato della Repubblica Romana per non sottoscrivere alla resa e alla line, precisamente, della suddetta! Volendo sottilizzare, si direbbe che in queste montagne e colline d'Amiata e Radicofani e Cetona, e nelle valli, permanessero, in quell'anno della liquidazione del neoguelfismo, antichi spiriti ghibellini. Forse, quanto e più che a Garibaldi e ai garibaldini, i frati ebber pensiero a spiriti antiecclesiastici conterranei, antichi e nuovi. Dentro la prima grotta del vasto e ramificato anfratto sotterraneo, una croce di legno scuro è fitta in un mucchietto di sassi: e non importa che il Santo lì ci sia stato di (atto in eremitaggio; se ci fu, pregò, meditò, fece penitenza e contemplò ai piedi d'una croce in tutto ed esattamente simile ed uguale, nella nudità dello speco. Il quale s'interna e si sprofonda • dirama e scende e risale sotto la spalla di monte, con naturali cunicoli, salti precipitosi, erte ripide, buche cieche, vaste grotte, in cui la guida, con buona memoria e chiaro discernimento, rievocando le fasi dell'esplorazione archeologica, distingue e addita, dove iccorre a lume di lampada, quelli che furono depositi stratificati dell'abitato, buche di scarico dei rifiuti, ripostigli d'attrezzi e di armi, di mangimi e di cereali, naturali sepolcreti d'ossa umane: — di quei cristiani, — dice lui, — che stavan qui. Si sa che « cristiani », per dire uomini, è dell'uso popolare, ma l'anacronismo, qui trattandosi di « cristiani » di venti o trenta o cinquanta mill'anni ante Chrhtum vittimi, ha un suo più sorprendente risalto; eppoi contrasta con l'esattezza delle cognizioni archeologiche speciali del Biagi: ma c'è anche un affetto particolare nell'uso, da parte di ui. di cotesta locuzione. Non tanto vuole e intende, quanto ama, nell'adoperarla, d'esprimervi il concetto che furono uomini, con quel che la parola importa. E « cristiani » rievoca viva la sorpresa delle scoperte, che riconducevano, riaccendevano presenze tanto remote e strane, e tanto parlanti, viventi, umane, in quelle grotte naturali. C'è nell'uso di quella parola, senso di ciò che è significato dalla istina pietas. Ma in fatto d'anacronismi si rivela anche maestro, e in un suo incognito ed impensato modo poeta, il bravo Biagi, juando si ferma a mostrare fenditure per le quali piove dall'alto luce di sole inverdita dalle piante che vestono le bocche dei pozzi na turali, e spacchi e fratture e mi ne di roccie. Egli ben ricorda d'aver udito distinguere ed elencale, fra le cause che oanno concorso a produrre le mutazioni successive e stratificate dell'abitato umano nelle grotte, e fra gli indizi che concorrono a spiegarle e a distinguerle, cataclismi naturali, tellurici e climatici: alternazioni multimillennarie di climi glaciali e di climi caldi, di grandi acque e di gran secchi; erosioni e sedimentazioni; attività e spegnimenti di vuliani; emersioni ed immersioni di terre dal mare e nel mare; che tutte accompagnarono e differenziarono epoche e civiltà delle grandi stirpi preistoriche del ceppo meridionale mediterraneo e del ceppo nordico continentale. Tutto ciò egli assomma e costringe in una nozione, in una sensazione viva e presente e sensibile negli spacchi e nei franamenti di massi e falde di coccia, accatastati e appoggiate gli uni sugli altri e le une all'altre dai terremoti. E dice, vagamente, i terremoti; soggiunge, francamente: il terremoto della morte di Cristo. Dunque la sua fantasia, con un ingenuo arbitrio favoloso e religioso, con un'ingenuità di sentimento che ha pure una sua forza spirituale e non meramente fantasiosa, pone quell'evento, piuttosto che prima o all'origine dei tempi e della natura, fuori e sopra natura e tempo, in una sorta di perennità di quell'evento, ordinato e preordinato, in ogni volger di tempo, e in ogni vicissitudine di natura, e nelle cose create, dal primo all'ultimo giorno. E c'è dunque, in cotesto ardito e ingenuo e quieto e sicuro sprezzo della cronologia, l'impronta ignara di un pensare e sentire, anzi d'una disposizione mistica; e particolarmente dei mistici assorti nelle figure e nei simboli delle prefigurazioni e preordinazioni, rapiti nella contemplazione della contemporaneità di tutti gli eventi nella mente di Dio. C'è anche di quel che fa caratteristicamente medioevale, ed è caratteristicamente popolare, nell'indistinguere tra realtà di storia e verità di poesia, come fa Dante quando crede, letteralmente, non che a Virgilio ed al suo Enea, ma a Lucano, magari a Terenzio, alla Taide della commedia terenziana, e non che all'Orlando ''ella canzone, ai cavalieri dei poemi e romanzi. Quel che il Biagi, lontanissimo dalle mie illazioni e induzioni, mette di suo proprio nell'inconscio e grandioso jnsi-ronismo, è il candore, la freschezza, la naturalezza con cui lo pronuncia, come fosse il più evvio e men discutibile asserto: assommando, unificando rutti 1 cataclismi del mondo da che c'è un mondo, in quell'unico si^'.ificante, perchè divino e spirituale Sento ch'egli la pensa e la sente come la dice, come la cosa, la proposizione, più naturale che si possa dire e pensare Mi guardo bene da turbarlo, e spero ch'egli non abbia a legger mai questo racconto. Dopo lungo e vario giro per buchi e spacchi e caverne, una delle uscite conduce a quello che è il più singolare, il più fascinoso, il più enigmatico elemento e monumento della stazione preistorica di Belverde. Riccardo Bacchelli

Persone citate: Belverde, Biagi, Lucano, Maria Belverde, Move, Riccardo Bacchelli

Luoghi citati: Cetona, Italia, Montepulciano, Orvieto, Radicofani, Roma, Sarteano