Un francese e un torinese armati di pistola aggrediscono e rapinano un autista di taxi

 Un francese e un torinese armati di pistola aggrediscono e rapinano un autista di taxi C*""<' 'M'*w arrc8^are due delinquenti nvììv vampnam* tli Stupinigi Un francese e un torinese armati di pistola aggrediscono e rapinano un autista di taxi Gettano a terra il guidatore e fuggono con la macchina per la strada di Borgaretto - L'auto finisce in un fosso e i La battuta dei carabinieri -1 banditi, arrestati dopo un'ora di ricerche, dichiarano di essere anarchici che tentavano due si lanciano nei boschi di raggiungere la Svizzera Alle 10,15 di ieri l'autista Pasquale Damati di 55 anni, abitante in via Catania 17, era fermo ai posteggio di cerso Sommeiller angolo corso Re Umberto, seduto al volante della sua « 1100 » al lungata, con guida a destra, targata TO 82761 e n. 88 di servizio pubblico. Il Damato stava leggen do il giornale allorquando con occhio distratto guardava verso via Massena. E notava — ma senza naturalmente darvi molta importanza — due giovanotti che avanzavano in direzione del posteggio: uno era biondo e l'altro bruno, entrambi sui 22-23 anni, correttamente vestiti. Giunti ad una decina di metri dal « taxi » i due si fermarono e scambiarono qualche, parola: indi, con decisione, si avvicinarono al Damati, 11 . biondo saliva senz'altro e prendeva posto sui sodile'posteriore, dicendo con lieve accento straniero: — Stupinigi, prego. L'altro invece parlava con for te accento piemontese. Girava davanti alla macchina e sedeva sul sedile anteriore, accanto all'autista. A dir la verità, il Damati cominciava subito ad insospettirsi un poco: ma poi pensava che Stupinigi, di giorno, non è un luogo isoiato e che certamente mai i due gli avrebbero giocato qualche brutto tiro. Pertanto usciva dalla città abbastanza tranquillo e puntava su Stupinigi a discreta an datura. Ma sul ponte del Sangone veniva assalito nuovamente'da sospetti e da timori. Guardando nello specchietto retrovisivo coglieva una strana occhiata del giovanotto biondo al compagno Allora, cautamente, fingendo di accomodarsi il cuscino, si stilava Il portafogli dalla tasca posteriore e lo faceva scivolare sotto il sedile. L'auto percorreva ancora 150 metri circa. L'autista aveva appena incrociato un gruppetto di ciclisti, allorché il giovane che gli sedeva a fianco gli intimava assai bruscamente: — FerinaI Ferma! Per un attimo il Damati pensava che i due volessero parlare ce* i ciclisti appena passati. Ma quasi subito avvertiva lo spiacevolissimo contatto di qualcosa di metallico — una rivoltella — sulla nuca: era il biondo che da dietro lo slava silenziosamente minacciando. 11 Damati, atterrito, pigiava sul freno e la vettura si arrestava do- po alcune decine di metri. Allora il giovanotto dall'accento piemontese scendeva e si portava sul lato destro della macchina: nel tempo stesso l'-autista, sempre guardando nello specchietto, aveva la precisa sensazione che Pulirò, quello che aveva alle spalle, stesse per colpirlo alla testa con il ralcio dell'arma. Perciò si piegava violentemente in basso e verso destra; con la spalla urlava lo sportello, faceva scattare il con;egno di apertura e rotolava pesantemente sull'asfalto. I due gli gridavano qualche frase incomprensibile — probabilmente la solita ingiunzione di non dare l'allarme a scanso di guai —, gli davano alcuni calci, poi salivano sul « taxi * e s'allontanavano a grande velocità. Al volante era il giovanotto torinese. La macchina arrivava al bivio di Borgaretto che, j com'è noto, e prima dell'abitato di Stupinigi e Infilava, con una curva strettissima, presa in velocita, i la strada che conduce appunto a Borgaretto. Ma dopo mezzo chilometro, per «msc imprecisate, il motore ac cusava irregolarità. Nella confu sione uno dei banditi tirava l'acceleratore a mano, il motore saliva disperatamente di giri, l'auto aveva un sobbalzo e chi guidava non riusciva più a controllarla: con una sbandata 11 «taxi» finiva uel fosso. I due uscivano in fretta e si davano alla fuga, Intanto il Damati, rialzatosi, (senza ferite nè graffiature ma in preda ad un forte, comprensibile choc nervoso) fermava un camioncino di passaggio e si fai ceva portare d'urgenza alla sta zlone dei carabinieri di Stupini! gi. Qui raccoglieva la sua affan Inosa denuncia il maresciallo Ga I sfaldo. Il maresciallo agiva con i encomiabile energia e rapidità. Telefonava subito olla stazione di Beinasco, segnalando il fatto < invitando il comandante la sta zione, • brigadiere Ciullo, à compiere immediatamente una battuta verso Stupinigi. Dopo di che usciva alla testa dei suol uomini La prontezza 0 la solerzia dei carabinieri venivano aiutate inaspettatamente da un cane lupo. La brava bestia, di nome « Teli » si trovava in un campo e seguiva .il suo padrone, il signor Tommaso Marcellino di 25 anni, che 1 stava provando un trattore. Ad ! tln ,ratto' lonla:ii dlle 0 trecento m),tri nl bordo df,, camp0i pns !savano d'.<'orsa 1 «anditi, u ca- i ne cominciava a mugolare e a riz- , orecchie. Il Marcellin re oss,,,.vava ^ Capiva subito, dalla loro cor uo" !'sa i*r~Vs,a ivano sottraendosi ad un inseguì ni.-nto. Mentre 11 Marcellino li guardava, incerto, il lupo, rin affannosa, dalle purole rotte si gridavano, dai loro gesti ghiando, si lanciava sulle peste dei due. Al che il Marcellino, sceso dal trattore, inseguiva a sua volta la strana coppia. I banditi dopo qualche secondo, entravano nel bosco e sparivano. Tre quattro minuti dopo nel bosco piombava anche « Teli » e scom pariva a sua volta. Quando il Marcellino, ansante, vi giungeva non vedeva più nè il suo cane ne gli sconosciuti. Girava per un quarto d'ora e d'improvviso, correndo da un cespuglio all'altro si scontrava con un appuntato della stazione di Beinosco, che partecipava alla battuta. I due si univano e procedevano nel bosco. Passarono cinque minuti e s'udiva un furibondo latrato. Era la voce di « Teli ». Il Marcellino e l'appuntato allungarono il passo e giunsero in breve ad una radura. In mezzo alla radura vi erano i banditi che a calci cercavano di difendersi dagli assalti del cane. Ma « Teli » non mollava ed anzi s'era attaccato con i denti alla giacca di uno dei due e lo teneva fermo. Tradotti alla stazione di Stupinigi (e « Teli » fiero, li scortava sino alla porta della caserma), I due venivano perquisiti. Il torinese aveva in tasca mille lire; l'altro — un francese — non possedeva che 25 lire. — E le pistole? ■ — Che pistole? — Ma non eravate armati? — E va bene. SI, avevamo una pistola ciascuno. Le abbiamo buttate via durante la fuga. Ricerche dei carabinieri e ritrovamento, ai piedi di un albero, di una 1 Beretta » calibro 9, con pallottola in canna e «sicura» levata, e di una * P 38 » tedesca, pure completa di prolettili. Interrogali alla presenza del capitano Castagnacci, comandante la prima compagnia esterna, e del maresciallo Zoppi, della squadra investigativa, i due, dopo molte esitazioni, si decidevano a parlare. Il primo a narrare di se era il francese. Dichiarava di chiamarsi Robert Cravo e di essere nato 24 anni or sono a Parigi. — Io sono di idee anarchiche — egli diceva — e quando mi chiamarono alle armi, mi rifiutai di vestire la divisa, Perciò nell'aprile del 1953 fuggii dalla Francia e riparai in Italia. Dopo varie vicissitudini finii a Livorno. Qui alcuni amici mi munirono di una falsa carta d'identità. La polizia mi fermò, scopri che il documento era alterato. Mi spedirono in prigione e ci rimasi per quaranta giorni. Quando uscii, avendo io chiesto alle autorità italiane asilo in qualità di perseguitato politico, mi assegnarono al campo profughi di Fraschette, presso Frosinone. A Fraschette restai sino al luglio scorso. In luglio ottenni un permesso di quattro giorni per recarmi a Roma e parlare col Console francese onde chiarire la mia posizione. Ma a Roma non riuscii a combinare niente e tornai, come clandestino, in Francia. Però in Francia spirava per me vento Infido. Alcuni amici mi consigliarono di rifugiarmi ancora in Italia e mi diedero l'indirizzo di un sostenitore deile nostre idee. Franco Galantucci, di Torino... L'altro rapinatore era appunto Franco Galantucci, di 23 anni, domiciliato con la madre in corso Vigevano 49, venditore ambulante di oggetti di pelletteria. Il Galantucci affermava: — Venne da me il Cavro e-disse di aver urgenza di espatriare in Svizzera, clandestinamente. Preparammo un piano. Ci dovevamo impossessare di una macchina, con la quale avrei accompagnato il Cavro sino alla frontiera svizzera: qui lui si sarebbe arrangiato a valicare il confine e io sarei tornato e mi sarei disfatto dell'auto lungo la strada. Fornii il Cavro di una « Beretta » e mi armai di una « P 38 », pure di mia proprietà. Uscimmo alla ricerca della vettura che facesse al caso nostro... Il resto lo sapete. Non volevamo derubare l'autista, volevano solo l'auto, che gli avremmo poi restituita... Tale versione è stata accolta dai carabinieri con grande scetticismo. Il protagonista della caccia al banditi: il cane lupo Teli L'autista Pasquale Damati L'arrestato Franco Galantucci

Persone citate: Beretta, Ciullo, Franco Galantucci, Galantucci, Marcellin, Robert Cravo, Tommaso Marcellino