I musulmani venerano Maometto ma fanno stretta guardia al Cristo di Enrico Emanuelli

I musulmani venerano Maometto ma fanno stretta guardia al Cristo BUE VE VIAGGIO X E E PAESE HI GESÙ9 I musulmani venerano Maometto ma fanno stretta guardia al Cristo La basilica del Santo Sepolcro va in rovina, ma non si può toccare un mattone - L'edicola che racchiude la tomba di Gesù imbragata con cintare di ferro - La piccola altura del Calvario racchiusa entro la Basilica - II labirinto con una ventina di cappelle e le abitazioni di preti e frati - Sui due lati della «Via Dolorosa», quella che fece Cristo dopo la condanna, caffè, negozi, magazzini - Cospirazione tra turchi e greci di un secolo e mezzo fa (Dal nostro inviato speciale) Gerusalemme, agosto. La basilica del Santo Sepolcro, che sorge sul luogo stesso della crocifissione di Gesù, si trova nella parte vecchia di Gerusalemme, sul territorio della Giordania. Essa appartiene ai frati Francescani, ai preti greci, agli armeni e vantano alcuni diritti anche i copti, i siriani, gli abissini. Le chiavi della porta sono affidate ai musulmani i quali venerano Maometto, ma fanno la guardia a Cristo. Ecco che siamo già sulla strada delle stranezze. La basilica è immensa, in molte parti tenebrosa e va in rovina. La facciata è tenuta in piedi da una macchinosa impalcatura di ferro; t muri hanno crepe profonde come fossero d'un legyio non stagionato messo vicino al fuoco; l'edicola che racchiu- de la tomba di Gesù è imbra- gata con cinture di ferro, che sono come quei cerchi per tenere 'insieme le doghe d'una botte. I guasti cominciarono molti secoli fa, si aggravarono col terremoto del 1927 ed aumentando ogni anno mandano in sfacelo ora una cosa ora un'altra. Questa è la prima impressione dopo una visita al più alto monumento della cristianità e si accompagna ad una dolorosa meraviglia, che sovrasta molte altre meraviglie. La basilica è anche un labirinto, bisogna essere pratici per trovare il filo del percorso e non smarrirsi tn uno dei molti corridoi, sottopassaggi, gallerie, caverne e scale. In più d'un punto è necessario farsi luce con una candela per vedere qualche particolare o, più semplicemente, per vedere dove st mettono i piedi. Essa racchiude la piccola altura del Calvario, dove Gesù ed i due ladroni furono messi a morte sulle croci; il sepolcro dove Gesù venne deposto dal tramonto di quel tragico venerdì all'alba della domenica successiva, che lo vide risuscitare; la cisterna dove Sant'Elena scoprì che vi avevano buttato le croci e gli arnesi adoperati per il martirio. Ma qua ancora non siamo nel labirinto. L'armeno al portone Essa racchiude una ventina di cappelle, disposte senza alcun ordine, qualche volta scavate sottoterra, qualche volta formanti una chiesa nella chiesa, alcune pulitissime, altre sporche, tutte con mediocri opere d'arte. E non basta. Racchiude anche le abitazioni, le sacrestie dei frati Francescani, dei preti greci ed armeni, che si suddividono la c santa cupidigia » che li fa padroni del luogo, ma uno sospettoso dell'altro; e c'è persino un vestibolo dove, come ho detto, i musulmani ci stanno da sette secoli con quello strano diritto di aprire e di chiudere la porta. E' dunque un labirinto non soltanto topografico, ma anche di riti, di lingue, di costumi diversi, e come conclusione, di interessi contrastanti. Per arrivarci c'è un itinerario semplice e logico. Si va dove allora sorgeva il pretorio di Ponzio Pilato (oggi c'è una scuola musul¬ mana, l'edificio è recente) e si ripercorre la Via Dolorosa, quella stessa che fece Gesù dopo la condanna. Camminando senza fretta dal pretorio al Calvario ci vuole una scarsa mezz' ora. Il primo tratto è pianeggiante e con poco traffico. Percorsi cinquecento metri si volta a sinistra e qua si è in una strada di maggior movimento, persino qualche automobile vi si avventura in mezzo a pedoni distratti. Altro mezzo chilometro e si piega a destra. Adesso la strada è in salita e, più che una vera strada, si tratta d'una scalinata con gradini molto bassi e lunghi. Sui due lati ci sono negozi, caffè, magazzini e dentro quella folla minuta, scivolante, che sa far subito confusione, come sempre succede in Oriente. Il contrasto tra quanto la fantasia rievoca e quanto gli occhi vedono per un attimo trascina ad una facile meraviglia. Alla fine di questa strada, proprio davanti all'ingresso del Santo Sepolcro, con la facciata conciata al modo che ho detto, le meraviglie continuano. Per una buona visita mi avevano consigliato d'andare a mezzogiorno e mezzo quando riaprono. La impazienza mi spinse là qualche minuto prima e rimasi in attesa. Giunse l'ora. Siccome i musulmani terrebbero la porta sempre chiusa, così è necessario che si ripeta un gesto rituale: qualcuno de¬ ve venire a battere per f ri -v o« n/nfifa ari ri r n v_ farsi aprire ed a turno viene qualcuno delle tre Comunità religiose padrone della basilica. Ma che strani padroni: non posseggono nemmeno le chiavi della loro casa. E' una faccenda che serve per intravedere quanto sia difficile la vita di questo monumento, una vita complicata dal peso delle varie competenze, delle prerogative, dei diritti, che fanno poi nascere tanti guai, anche quello della rovina presente. Per antica tradizione due famiglie musulmane si spartiscono l'onore che chiamerò < delle porte ». Una custodisce le chiavi, l'altra le adopera e non chiedetemi perchè sia così. Le cose assurde e ridicole sovente ìion hanno spiegazioni; oppure le hanno, ma altrettanto ridicole ed assurde. Venne dunque un prete armeno, battè e, sopra un'anta del portone, si aprì uno sportello, come una specie di passavivande. Dimenticavo di dire che la chiave di questo sportello è nelle mani del sagrestano greco ed a lui tocca chiamare i portieri musulmani. Dallo sportello il sagrestano fa passare all'esterno una scaletta, che viene appoggiata al portone perchè i catenacci sono due ed uno è molto in alto. Vidi un uomo di mezza età, col tarbush di bravo musulmano in testa, manovrare il primo catenaccio, poi salire sulla scaletta e manovrare il secondo, finalmente aprirsi un'anta del portone. Allungando lo sguardo nell'interno si vede per prima cosa un alto, enorme, comodo divano orientale. Il musulmano che aveva aperto, il sagrestano greco, il prete armeno ed un frate Francescano che per caso passava di là con in mano una lattina d'olio (compiva il giro per alimentare le lampade) cominciarono una disputa violenta. Un'altra stranezza: la disputa, suscitata dal musulmano, si svolgeva in lingua spagnuola e compresi che al mattino, nel rito dell'apertura, qualche cosa non era stata fatta secondo le regole. Su quelle parole tre campanelle si fecero sentire e domandai al Francescano che cosa significavano. « Il primo rintocco — mi rispose — è dato dalla Comunità che ha chiesto l'apertura; gli altri dalle altre due Comunità, che così si dicono consenzienti ». Di stranezza in meraviglia entravo a poco a poco nei segreti di una basilica senza l'uguale in tutto il mondo. Si faccia intanto attenzione al necessario consentimento delle tre Comunità per aprire la porta (con la complicazione dtgli indispensabili musulmani), perchè di tale faccenda sì parlerà più avanti. ; : : Dove fu infissa la Croce Ma entriamo nella basiìica. Subito a destra, salendo una breve scala, si raggiun- gono due cappeUe che sor. I t?r» donato dal granduca di gono proprio sul luogo del Calvario. La prima è dei nostri Francescani, ha un al- , Toscana Ferdinando de' Medici e con questo è detto tutto. L'altra appartiene ai greci e davvero per un attimo fa battere il cuore. L'altare è sorretto da quattro 1 colonnine; e sotto, attraverso un foro, si può vedere la roccia nella quale venne infissa la croce di Gesù, quin1 di il punto stesso della sua i morte. Sulla destra, lungo ! una spia ricoperta da una i lastra di vetro, mostrano la 1 roccia spaccata, è una fenditura larga una spanna che ! pare vada verso l'abisso (la si può rivedere, da un'altra spia, in una cappella sottostante, che appartiene agli armcìii); e questa è la fenditura che si produsse quando, nell'attimo della morte, « la terra tremò e le pietre si spezzarono ». La fantasia dei fedeli, aiutata dall' opera dei pittori, immagina forse che il Calvario sia una montagna isolata ed anche impervia. Nella realtà è soltanto una protuberanza rocciosa, qualcosa che sarà alta dieci metri e che si trovava subito fuori le mura della Gerusalemme di allora. E' facile immaginare quale fascino avrebbe se fosse rimasta com' era, un elemento del paesaggio soltanto ricoperto e racchiuso fra le mura della basilica. Così com'è, cincischiato senza magnanimità, visibile attraverso spioncini avari, dove risulta necessario l'aiuto d'una candela per vedere qualche cosa, manca d'effetto drammatico e lasciamo stare quello psicologico. Ridiscendiamo ed attraversando il coro dei greci, poi quello dei Francescani si arriva al Santo Sepolcro, con l'angelo che grida: < Surrexit: I non est hic ». Il previdente Giuseppe E' una edicola di forma rettangolare, lunga poco più di dieci metri, larga poco meno di set, alta altrettanto e nasconde il transitorio sepolcro di Gesù. Di fuori la disarmonia è scostante; den- ■ tro il cattivo gusto rompe i \ pensieri butta alVarla vper. I , 1 , , * sino l'incanto della fede. Si attraversa il piccolo vestibolo e passando da una porticina si giunge davanti al luogo dove il previdente Giuseppe d'Arimatea s'era fatta scavare nella roccia una tomba per sè e che poi commosso cedette ai discepoli perchè vi collocassero il loro Maestro. E' un loculo per metà occupato da un sarcofago di marmo: anche qui i prefi greci, di corta fantasia, sono riusciti a nascondere la vera roccia, il genuino sepolcro, quel che il pellegrino viene per vedere. Ma non sono queste le cose che fanno infelice la vita della più solenne basilica del mondo e ritorno a quel che dicevo in principio: preoccupante è lo stato di rovina in cui essa oggi si trova. Tutto nasce da una certa intelligenza cospirativa fra turchi e greci di un secolo e mezzo fa. Da allora non si è potuto fissare un regolamento per ridarle una vita dignitosa. Come ho detto i Francescani, unici testimoni della Chiesa cattolica, ed altre cinque Comunità dissidenti si spartiscono proprietà, privilegi e diritti. Un ultimo decreto sultanale, del 1852, a conclusione di quell'intelligenza che ho definito cospirativa, fissava uno statu quo, come a dire: quel che è non si tocca. Mettere un chiodo, o levarlo, implica una difficile procedura, bisogna che tutti siano d'accordo. E' la famosa faccenda del consenso, necessaria anche per aprire la porta. Figuriamoci riparare la cupola, rifare la facciata, togliere le incongruenze architettoniche ideate da Un greco venuto qua da Mitilene. Vi mormorano nell'orecchio: « Questo bel tipo desiderava eliminare ogni segno di latinità e c'è riuscito ». Una sera guardavo l'incastellatura di ferro che sostiene la facciata. Il padre Francescano che mi accompagna dice: < L'hanno messa giusto vent'anni fa e doveva essere provvisoria. Questo serve per capire come vanno le cose ». Insisto per sapere se anche le altre Comunità non vedono l'evidente ed incalzante rovina, t Sì, la vedono — mi risponde — ma per gelosia non permettono di far nulla. E pensi che noi abbiamo pronto da quattro anni un bel progetto ». Chiedo di dove nasce la gelosia. < Loro — mi spiega — ?ion hanno danaro e non vogliono lasciare a noi l'onore di questa impresa». Entrammo insieme, il Francescano desiderava soltanto mostrami le centinaia di tasselli di gesso posti sulle crepe e sulle spaccature dei muri, a fare da spia avvertitrice. < Ogni giorno — mi racconta — una di queste spie si rompe e così ogni giorno sappiamo che le cose vanno peggio ». Poi, per non fare il pessimista sino in fondo conclude: <Bene, speriamo in un miracolo ». Enrico Emanuelli (I precedenti articoli di questa inchiesta sui Luoghi Santi sono stati pubblicati il 25, il 29 di luglio ed il 1" di agosto).

Persone citate: Arimatea, Gesù, Paese, Ponzio Pilato, Toscana Ferdinando

Luoghi citati: Gerusalemme, Giordania, Sant'elena