Walter Rathenau di Alfredo Frassati

Walter Rathenau RICORDI Ri AMBASCIATA Walter Rathenau Le paure di Cicerin - Il patto di Rapallo - Un trattato di commercio - Minaccia di dimissioni Walter Rathenau col quale, come ministro degli Esteri nel gabinetto Wirtli, ebbi molti contatti, era un tipo israelita come raramente si incontra. Alto, magro, naso camuso, aspetto simpatico, voce armoniosa, occhi nerissimi molto mobili, sguardo profondo e malinconico che esprimeva molto chiaramente il dramma della sua vita. Amici e avversari gli attribuivano un'aspirazione profondamente sentita di diventare ufficiale di cavalleria nel reggimento degli Ussari. Così si sarebbero aperte molte delle porte che egli avrebbe voluto volentieri varcare, e che gli sono rimaste sempre chiuse. Non so se questa diceria abbia fondamento, certo si è che l'incubo di razza amareggiò la sua vita, e lo rendeva quasi timido. Quando si presentava a qualche notevole personaggio della politica o dell'aristocrazia aveva subito cura di dire: $ono un israelita. Se si fosse rimirato in uno specchio ne avrebbe subito notato l'inutilità. Parlava correttamente l'inglese ed il francese e non ignorava l'italiano; uomo di grande cultura e di raro ingegno, un ingegno irrequieto a cui faceva difetto il senso del reale, la sobrietà, la costanza, variabile nelle stesse relazioni personali, oscillava fra un pessimismo ed un ottimismo altrettanto esagerati. Ma la sua vera caratteristica era una grande sconfinata vanità. Non tutto quanto a questo proposito gli si attribuisce può essere vero e certamente non è dubbio che una parte è esagerata. Il principe Bùlow, che nelle sue memorie unisce molto piacevolmente la storia col pettegolezzo, della vanità di Rathenau ricorda molti aneddoti. Alberto Ballin, il grande armatore di Amburgo gli avrebbe riferito che un giorno Rathenau gli aveva, detto che dalla creazione del mondo in poi vi sono stati soltanto tre grandissimi uomini e tutti ebrei, Mose, Gesù... la modestia gli vietava di nominare il terzo. Demburg il ministro delle colonie diceva a destra e a sinistra che Rathenau si era reso insopportabile a tutti i compagni di viaggio con la sua continua auto-ammirazione, e si compiaceva di aggiungere che mentre suo padre agonizzava egli imparava a memoria il discorso commemorativo che intendeva pronunziare alla cerimonia funebre, e studiava accuratamente allo specchio i gesti e le occhiate con cui voleva recitare la sua orazione funebre. E gli aneddoti non rispettano nemmeno il suo sentimento repubblicano. « Se per la porta di Brandeburg — avreb be detto il Rathenau a Biilow — dovesse fare il suo ingresso un monarca interessante e simpatico come Guglielmo II con alla testa un cancelliere del tutto insufficiente quale Bcttman e alla sinistra un capo di stato maggiore leggero come Falkenhyan, e se 10 mi mettessi in Unter den Linden a gridare viva il glorioso passato, viva Bismarck, viva il Kaiser e l'impero, viva la Prussia gloriosa, sarei forse arresta to, ma gli uomini, tranne qual che vagabondo, mi guarderebbero commossi e le donne mi getterebbero baci; ma se io grido viva la repubblica, tutti ridono ». Francamente non credo che la vanità di Rathenau l'abbia spinto fino ad eccessi che il Bùlow registra con molta, con troppa cura. Nei molti colloqui che ho avuto con lui mai ho dovuto no tare che la vanità oscurasse il suo ingegno. Vano sì ma per grandi orizzonti. Quando si inaugurò il congresso di Genova io telegrafai al nostro ministro degli Esteri di seguire con molta attenzione l'opera del Rathenau perchè senza dubbio alcuno avrebbe fatto qualche colpo di scena. E infatti firmò il trattato di Rapallo con Cicerin. A proposito del quale mi sia concessa una parentesi. Per recarsi a Genova il commissario per gli Esteri russo era passato da Berlino. Quale rappresentante dello Stato in cui il congresso si sarebbe svolto era mio dovere ossequiarlo. Cicerin si era rifugia to in una piccola cameretta all'Hotel Esplanada per accedere alla quale bisognava passare per altre tre, le prime due occupate da signorine dattilografe, l'ultima da uomini che avevano l'apparenza, e più che l'apparenza, di severi poliziotti. Appena mi vide, prima ancora di rispondere al mio benvenuto, eccitatissimo e ad alta voce gridò « protesto contro 11 vostro governo che mi vuole fare assassinare ». Accolsi le inverosimili parole con una clamorosa risata: l'Italia è un pae se civile, e civile il suo governo : poteva essere sicuro che nulla gli sarebbe accaduto di male. La sua persona sarebbe stata efficacemente tutelata. Più calmo, ma non meno deciso Cicerin insistette essere mio dovere comunicare a Roma la sua protesta. Se lo de sidera, conchiusi io, sarà fatto ma non mi pare molto opportu no che questo suo motivato de siderio Sia fissato in un docu mento ufficiale. A parte la ridicola paura Cicerin non aveva tutti i torti. Non fu perfetta la odCKMGvtClgnbpcUmMbamuvlltFdddgstptelgd a a i , o a o e i a a e a a organizzazione del congresso. La delegazione russa composta da Cicerin, da Litvinov, Rakoski, Krassin fu alloggiata a Santa Margherita, a 36 chilometri da Genova e costretta quattro o sei volte al giorno a fare la strada tutta giravolte in automobile. Cicerin anche ìfi Italia non tralasciava di lagnarsi, ma il nostro governo, a torto, finse sempre di non sentire, forse credendo in buona fede che i russi fossero più sicuri a Santa Margherita che non nella città di Genova. Un libro pubblicato recentissimamente dal bravo scrittore Maffio Maffii « Come li conobbi » rivela, come lui, giornalista, abbia potuto risolvere il problema. Desiderando Cicerin avere una camera nel centro di Genova il giornalista gli propose di lasciargli la sua ampia ed ospitale purché gli concedesse un'intervista. E il patto fu conchiuso. Finisco la parentesi. La notizia della conclusione del trattato di Rapallo russo-tedesco per una di quelle contraddizioni che la storia sovente registra fu accolta benevolmente soltanto dagli avversari di Rathenau e vivamente criticata dai partiti affini. Lo stato maggiore tedesco che da molto tempo era in frequenti e segreti conciliaboli coi russi accolse la notizia con molta gioia. Il generale Seeckt, il riformatore dell'esercito tedesco, l'inventore dell'applicazione su vasta scala della motorizzazione, col quale proprio nei giorni cruciali dell'annunzio della firma del trattato mi trovai a pranzo alla legazione svizzera, mi disse: «Io non considero il trattato nel suo contenuto, ma nelle sue conseguenze ». Gli imparziali ripetevano le parole di Schiller: «il più importante negli avvenimenti umani è il luogo e l'ora » conchiudendo che per il trattato di Rapallo mancavano l'uno e 'altra. Proprio in quei giorni mi trovavo nello studio di Ebert, presidente della repubblica e notai che era molto turbato. Dati i nostri rapporti molto cordiali mi permisi di chiedergliene i motivi. « Rathenau senza avvertire i suoi colleghi ha firmato il trattato con la Russia. Ha commesso un grande errore. Io preferisco i francesi accampati come nemici a Berlino che i russi come amici. Sono sicuro che un giorno o l'altro dai francesi mi libero, non sono altrettanto sicuro di liberarmi dei russi ». Ebert non era al corrente della vera situazione. Wirth ne desiderava la conclusione tanto quanto il Rathenau. Il Wirth lavorava anche lui come lo stato maggiore per un intimo accordo commerciaciale con la Russia, pensando giustamente che le conseguenze possono andare al di là dello scambio di merci. I socialisti maggioritari, al partito dei quali Ebert apparteneva, vedevano di malo occhio la politica tedesca indirizzata verso la Russia. Spiaceva a loro la presenza a Berlino dei rappresentanti del bolscevismo specialmente in un momento in cui gli animi erano eccitati per le tristi condizioni economiche nelle quali versava gran parte del proletariato. « Se non lo si guarda in faccia il pericolo comunista e non lo si combatte energicamente, tutto ciò che con tanta difficoltà l'organizzazione socialista ha acquistato finirà per crollare. Il partito socialista maggioritario farebbe cadere subito quell'uomo di Stato che seguisse una politica russofila piena di pericoli». Si lagnavano anche che Radeck non avesse ritegno nella sua propaganda e che appena uscito di prigione alla quale era stato condannato dal governo appunto per eccesso della sua propaganda, continuasse in essa senza mutare il tono. Si era spinto fino ad affermare che la Germania fra breve tempo sarebbe stata un frutto maturo pel bolscevismo/ Ho conosciuto Radeck e due volte ho pranzato con lui in casa Deutsch, successore del Rathenau nella direzione dell'A.E.G. Non ne ho avuto una favorevole impressione. Tipo specifico dell'ebreo russo, piccolo, tisico all'aspetto. Mi urtava il cinismo con cui si esprimeva sulla fatalità che per tre anni due milioni e più di russi sarebbero stati fatalmente costretti a morire di fame. Direttore della Frauda, condannato a morte, non si sono mai saputi i motivi, perché solo si salvò dalla sanguinosa purga ordinata da Stalin. Contrarissimo il ministro delle Finanze Hermej che di ritorno da Genova ebbe con me un lungo colloquio non lasciando dubbi sui suoi sentimenti. Non approvava il momento in cui il trattato è stato sottoscritto: lasciava ogni responsabilità al cancelliere ed a Rathenau: il patto aveva avuto un effetto deleterio sulle commissioni di finanza. Mentre prima del trattato l'ambiente era cordiale ed intimo, dopo Rapallo notava molta freddezza. Da Rapallo il Rathenau non ritornò vittorioso, Wirth lo so¬ sdtdcLCtecctgadnsactvfSRmlsipupvstmsl stenne e il trattato fu approvato dal Reichstag ma la sorte di Rathenau era segnata e con essa il declino del gabinetto Wirth. Il trattato di Rapallo aveva clausole militari? In quei giorni Lloyd George rispondendo alla Camera dei Comuni ad tum_interrogazione dichiarò di « non essere certo, assolutamente certo che il trattato non contenesse clausole militari ». Per una fortunata combinazione, che mi toglie molto del merito, fui il solo ambasciatore a Berlino in grado di poter subito assicurare Roma nel modo più assoluto dell'inesistenza di clausole militari, ma aggiungevo essere io dell'avviso che anche senza la clausola militare, « l'unione russo-tedesca doveva essere considerata con profondo interesse dagli uomini di Stato ». Oggi è storia che il trattato di Rapallo non conteneva clausole militari, ma sono anche storiche le sue conseguenze. A Berlino ebbi occasione di scambiare col Rathenau qualche idea sull'opportunità di rendere possibile fra l'Italia e la Germania uno scambio su alcune voci con profitto dei due Paesi, e ciò in violazione del trattato di Versailles che vietava qualsiasi trattato di commercio con la Germania. Dopo lunghe discussioni si venne ad un accordo e il Rathenau mi confermò che si poteva considerarlo approvato. Conoscendo la persona facile all'ottimismo, insistetti nel chiedergli se tutti gli ostacoli che potevano sorgere, sia nelle commissioni che al Reichstag, fossero stati sicuramente eliminati, e se in conseguenza potevo telegrafare in questo senso a Roma. Mi rispose affermativamente. Riferii a Roma. Senonchè una settimana dopo mi manda a chiamare e mi dice che sono sorti contrasti, e che l'approvazione è difficile. Molto sorpreso gli dissi che avrei atteso una settimana nella speranza che tutto si sarebbe messo come eravamo rimasti intesi. In caso contrario, avrei dato le mie dimissioni motivandole col fatto della mia ingenuità per aver creduto alla parola del ministro degli Esteri della Repubblica germanica. Sorpresa ed emozione del Rathenau. Il modesto trattato di commercio prima ancora che scadessero i termini era approvato.. Malgrado questo incidente, anzi forse per questo si accese fra noi una viva amicizia, stroncata dalla sua tragedia. Come essa si svolse e quali furono le cause che la determinarono formeranno oggetto del prossimo « Ricordi di ambasciata ». Alfredo Frassati