Cinque morti e cinque feriti per lo scoppio di un mortaio

Cinque morti e cinque feriti per lo scoppio di un mortaio IjA SCIAGURA HA COLPITO I MARINAI p E li li A SA» MARCO Cinque morti e cinque feriti per lo scoppio di un mortaio Erano gli ultimi giorni di esercitazioni: poi doveva venire il congedo o la licenza - Gara di ulliciali e soldati per donare il proprio sangue - Aperta subito un'inchiesta - La disgrazia è dovuta alla fatalità (Dal nostro inviato speciale) Trento, 23 luglio. Funesta stagione questa per le Forze Armate e per tante famiglie d'Italia. Non hanno cessato di scorrere lacrime per i diciotto alpini precipitati dalla strada del Gavia che un nuovo lutto ci colpisce: cinque soldati sono morti, cinque sono rimasti feriti durante una esercitazione in Valsugana. Dalla metà di giugno era giunto e si era accantonato in Valle Scura, sopra Levico, il battaglione < San Marco > assieme con altri due battaglioni da sbarco o < lagunari > « Piave » e « Marghera >. Tutta truppa scelta: il basco nero, il leone d'oro sul petto, i marinai affrontavano le fatiche e le imprese più rischiose con grandi risate e canti senza fine. Risa e canti erano andati aumentando negli ultimi giorni, man mano che si avvicinava per tutti la fine del campo, e per molti quella del servizio militare. Stamane, penultima giornata di esercitazioni. In Valle Scura, sulla riva destra del iBrenta, un plotone mortai da « 81 » deve appoggiare l'azione ! dei fanti di marina, battendo con le sue armi la parete che segna il margine dell'altipiano di Lavarone. Alle otto, l'ordine di aprire il fuoco. Calcola, punta, introduci, e lascia cadere nella canna la granata. Il caratteristico lieve rumore dei colpo che parte regolarmente da tre dei mortai del plotone, è coperto dallo schianto fragoroso nella quarta postazione. Non c'è speranza nella mente di chi accorre: la granata, invece di essere lanciata via, è scoppiata nella canna, l'ha dilaniata e trasformata in mitraglia che ha spazzato tutto attorno. Lo spettacolo è orrendo: una decina di corpi giacciono lontani tra loro nel verde del prato. Tre sono morti sul colpo, sfracellati: il sergente Giovanni Matera, di 34 anni, da La Pietra (Napoli), e i marinai ventiduenni Ignazio Scaglione, da Palermo, e Angelo Roton- do, da Messina. Degli altri, non si riesce nemmeno a capire e valutare le condizioni, tanto sono coperti di sangue e di ferite. Il tenente medico Della Rovere cerca rapidamente di fare il possibile con le prime cure, e subito li fa trasportare all'ospedale di Levico. Per altri due la fine è rapida: un'ora dopo si spengono il sergente veneziano Vittorio Cantù e il ventiduenne Giorgio Guala, residente a Torino in via Bianchi 3. Ne restano cinque, che perdono sangue a fiotti: occorre operare trasfusioni d'urgenza. Il capitano di vascello Padovan non perde tempo a parlare: si stende sul lettino e offre il braccio. Coloro che sanno di avere sangue del < gruppo 0 > ne seguono immediatamente l'esempio. Quando all'accantonamento del San Marco si sparge la voce esagerata che all'ospedale non c'è più sangue, sono una quarantina i marinai che saltano su due camion e si buttano a rotta di collo verso Levico Nei primo pomeriggio i cinque feriti vengono trasportati all'ospedale di Trento. Uno solo stanotte è in condizioni gravi: il ventiduenne Giovanni Bresciani, da Seniga, in provincia di Brescia; il genovese Fulvio Villa non desta preoccupazioni, ma ne avrà per molto. Gli altri tre hanno ferite così leggere che già in serata hanno potuto essere ricondotti a Levico. Per il governo italiano si è inchinato nel pomeriggio davanti alle cinque salme il sottosegretario alla Difesa, on. Sullo, accompagnato da generali e ammiragli. Noi siamo tornati all'accantonamento in Valle Scura tra gli ufficiali e i compagni d'armi dei caduti. Ancora intontito, abbiamo visto il marinaio Menti, da Messina, che era dietro l'arma quando è esplosa e che è rimasto miracolosamente incolume. S'è salvato, e non si spiega come, anche il marconista che, a pochi passi, era intento a trasmettere dati e rilevamenti di tiro. Tre dei morti — Cantù, Scaglione e il piemontese Guala — avrebbero dovuto andare in congedo fra pochi giorni. Il pa dre del sergente Cantù era caduto nella prima guerra; il figlio, moribondo sul prato, mormorava: «Prima aiutate loro, i marinai ». Aveva tren t'anni e si era raffermato sot to le armi per poter continuare a studiare tenacemente voleva diventare ingegnere, s preparava a dare in ottobre gli esami del quarto anno. Ora, ci si chiede naturalmente il perchè della disgrazia, Qualcuno accennava . stasera alla possibilità di un errore, di un doppio caricamento dell'arma, ma la cosa sembra assurda anche perchè quel plotone mortai era composto da soldausciti da pochi giorni da un corso alla scuola di Gaglio, vicino ad Asiago, dove erano risultati tra i migliori. Un generale di artiglieria, Bonelli, sta già conducendo un'inchiesta, ma — a diffe renza della sciagura del Gavia — sembra qui più facile prevederne ed accettarne le conclusioni: fatalità. Cause differenti effetti purtroppo identici. Un'altra camera ardente si sta allestendo stasera nella vecchia chiesa del cimitero, altre bare saranno allineate sul pavimento; altri cappelli non dalla penna, ma un basco nero — saranno messi sopra; altre famiglie stanno viaggian do nella notte attraverso l'Italia, da Venezia e da Torino, da Palermo e da Brescia — per rivedere un'ultima volta i loro ragazzi. E non si sa nemmeno se arriveranno in tempo, prima dei funerali fissati, sembra per domani pomeriggio alle cinque. Giovanni Giovannini ti espertissimi torinese Giorgio Guala