Per chi non paga le tasse anche vent'anni di prigione di Giovanni Giovannini

Per chi non paga le tasse anche vent'anni di prigione Fisco e contribuenti negli Stati Uniti Per chi non paga le tasse anche vent'anni di prigione Lo Stato preleva il 38 % dei redditi - L'imposta minima annua equivale a più di due mesi di stipendio - Estrema larghezza nell'ammettere detrazioni (Nostro servizio particolare) Washington, luglio. Una diffusa rivista americana ha proposto In questi giorni di proclamare 11 17 maggio < Giornata della Liberazione dalle Tasse». Niente di rivoluzionario, nessun appello a scioperi fiscali: semplicemente la constatazione che in media gli americani lavorano 1 primi 137 giorni dell'anno per pagare le tasse, e che solo dopo 11 18 maggio cominciano a guadagnare danaro che 11 fisco non porterà via. E' un modo eflftcìce di dire che le tasse prelevano alla popolazione degli Stati Uniti il 38% delle sue entrate. Davanti all' entità di queste cifre, l'obbiezione che con 11 loro standard di vita gli americani possono pagare, vale fino ad un certo punto. Negli Stati Uniti, chi arriva si e no a duemila dollari (1.250.000 lire) di reddito imponibile all'anno, non ha certo da scialare: eppure deve sborsare al fisco l'equivalente di due mesi circa di guadagni, 250.000 lira. Le aliquote salgono rapidamente. Un contribuente, ad esempio, con un reddito di 12 mila dollari (sette milioni e mezzo di lire), deve versarne 3400 (due milioni e centomila lire). Tralasciamo le aliquote massime che arrivano al 91 % per 1 redditi oltre 1 200 mila dollari all'anno. Se gli parlate di tasse, qualsiasi americano farà gesti più o meno scherzosi di disperazione: tornerà subito serio se toccate il tema delle evasioni. Perchè in questo Paese l'evasore fiscale non piace: non si trova nulla di divertente nel fatto che qualcuno abbia ingannato la Finanza. Chi tenta di farlo, deve mettere in giuoco non solo l'eventualità della pena, ma la sua reputazione, la sua cerchia d'amicizie, la eua posizione sociale. A parte le argomentazioni di carattere morale, c'è alla base di questo atteggiamento un motivo di natura pratica: « Se uno non dà allo Stato quanto deve, saran gli altri cittadini, saremo noi stessi a dover dar di più >. Con questo, non si vuol certo dire che su 160 milioni di americani non ci sia chi tenta di frodare il fisco. Ma per costoro la sanzione penale è durissima: l'evasore scoperto, prima paga il dovuto, poi le multe, poi va in prigione dove — cumulando le varie pene previste dal Codice Fiscale — può restare anche vent'annl. Anche la piccola frode è pericolosa perchè, appena trovato un appiglio, gli agenti ti sono sopra, vagliano ogni tua attività, risalgono addietro nelle tue cartelle fiscali e nella tua vita per cinque, dieci, vent'anni. Qualcosa può sempre saltar fuori, e son altri quattrini da pagare, sempre con l'ombra della prigione vicino. Il Sovraintendente alle Imposte degli Stati Uniti, T. Coleman Andrews, fece questa dichiarazione programmatici nell'a ssumere il suo ufficio: <Quel che ci proponiamo è di scovare e trascinare in tribunale ogni evasore nella speranza che non se la cavi con la condizionale ma venga messo dentro per un bel pezzo ». E quando recentemente si ebbe una sentenza della magistratura relativamente mite, lo stesso Andrews incalzò: «I tribunali devono mettersi in testa che chi non paga regolarmente le tasse deve essere messo in prigione. A costoro non importa niente di pagare qualche dollaro di multa o di esser coldannati con la condizionale: l'unica paura che hanno è quella di andar dentro ». Altrettanto efficacemente che In questi discorsi ufficiali, la convinzione che chi è in colpa deve pagare, è espressa nella lettera di un bracciante negro dell'Alabama: « Padrone — ha scritto costui direttamente ad Andrews dopo aver ricevuto i moduli — ho letto e riletto questi maledetti fogli e non riesco a capirci niente. Così, se questo vuol dir prigione, io son pronto ad andarci quando voi lo vorrete ». Il quadro però non sarebbe affatto completo se non si sottolineasse un altro aspetto: !* larghezza e sensatezza di crit» ri del fisco americano il quile, soprattutto, concede al contribuente di defalcare dal guadagno annuo « tutte le spese direttamente incontrate nell'esercizio della propria attività professionale ». Fra tali spese — citiamo soltanto un caso lo Stato considera quelle pei I'ubo dell'automobile (compresi gli incidenti, le riparazioni, i! garage, le tasse sulla vettura e sulla benzina, ecc.). Nella sua denuncia, un Diocolo industriale del Michigan ha segnato quest'anno la .se guente detrazione: «per aver ospitato un gruppo di clienti in un g.'ande albergo di New York, dollari cinquemila (più di tre milioni di lire) in spese di alloggio, vitto, liquori, uichestre, dancing girls ». GII agenti sbarrano gli occhi e convocano l'individuo che tran, quillamentè dimostra, documenti alla mano, come tra una bevuta e un ballo 1 suol ospi'i han dato ordinazioni alla su3 fabbrica per centomila dolla-i. « O.K. », dicono gli agenti con aperta ammirazione, e la detrazione è autorizzata. C'è di più. Se il contribuente ha avuto un anno disgraziato e il medico o il fulmine, i' dentista o il ladro hanno infierito, egli (se non è assicurato, s'intende) potrà detrarre anche queste spese dal suo reddito imponibile. Resterebbe da far cenno sul l'efficienza dell'apparato fiscale degli Stati Uniti. Basterà forse una cifra: per ogni dollaro di tasse incassato nel '52, lo Stato ha speso soltanto 0,42 centesimi di dollaro. L'efficienza, la giustizia, la severità, fanno del sistema fiscale uno del caposaldi ed uno dei più efficaci strumenti della democrazia americana. In tema di tasse, si può senza esitazione guardare ed ispirarsi all'esempio degli Stati Uniti. Giovanni Giovannini *■+-

Persone citate: Andrews, Coleman Andrews