Via senza luce

Via senza luce IL LIBRO DEL GIORNO Via senza luce Non si capisce bene perchè si sia tradotto col titolo Via senza luce (Mondadori) il romanzo « The Tunnel » di Eric Williams: che altro mai, se non una luce, e vìvidissima, di speranza, poteva sostenere degli uomini nella massacrante impresa di scavare un cunicolo nel cuore della terra, con poco più che le nude mani, un cunicolo che li portasse al di là del reticolato, fuori del campo di prigionia? Già in un precedente romanzo, « The wooden Horse » (.11 cavallo di legno), non ancora tradotto in italiano ma che fu accolto con molto interesse dai lettori e dalla critica inglese, Eric Williams aveva narrato, con una sicurezza evidentemente attinta a esperienze dirette, la rocambolesca fuga di due prigionieri di guerra, Peter Howard e John Clinton, dal campo di prlgio nia stalag-Luft III, per mez zo di un « cavallo » da palea*ra- *n <luf*to volume egli riprende a ritroso il tema nar- rativo: ci racconta cioè la cat tura, le prime impressioni di fj^ionia di Peter Howard, e le vicende nei due campi pre cedenti a quello, il Dulag Luft, vicino a Francoforte sul Meno, e l'Oflag XXIB presso Schubin in Polonia. E l'interesse umano ne è ancora più profondo; mentre nulla è meno monotono, proprio per quell'ansia di libertà che li divora e quella gran luce di speranza che quasi li abbacina, dei giorni tutti eguali di quei prigionieri recalcitranti. « Quello che sempre conta è tentare: e in questo libro . ho cercato di rievocare qual cosa dell'atmosfera di quei giorni ansiosi, pieni di miste ro, ma spesso anche assai di¬ vertenti... ». Così l'autore nel breve proemio; e poco oltre: « La prigionia diventava un crogiuolo nel quale si tempe ravano tutti i tratti del carattere dell'uomo; una serra ,n cui Ia sua personalità ve niva forzata e fatta cresce- SS. Prematuramente». Qu,est° libro e appunto 1 analisi di tale crescita forzata ed unila- teral,e. alcune di quelle per sonalita. Forse, ci sarebbe piaciuto sapere qualcosa di P'" di ciascuno di loro: soltanto di Peter Howard ci e narrato, a sprazzi ma in modo sufficiente, il passato, o al- meno quanto di esso poteva inserirsi nel paesaggio squal- lido dei campi di prigionia, Inoltre lo vediamo, libero an- cora, scendere col paracadute dall'aereo in fiamme, e vaga- re per alcuni giorni nella campagna tedesca, nei pressi del confine olandese deciso a difendere sino all'ultimo la sua libertà. Il suo primo incontro, un po' da eroe da operetta, con i gendarmi tedeschi, l'asilo precario presso i buoni olandesi, e la cattura finale, sono raccontati con un certo distacco obbiettivo ed una sfumatura di umorismo — che ritroviamo lievissima in ogni parte del racconto — da cui è rivelato immediatamente il carattere, la carica emotiva, quasi i riflessi, dell'aviatore caduto. Poi Peter Howard diventa un prigioniero come mille altri, che lo circonderanno, con una sola e molto precisa idea fissa: la fuga. L'esperienza decisiva, quella che aveva infranto il tranquillo mondo interiore e ne aveva sovvertito prima e annullate poi tutte le leggi, era stata press'a poco identica per tutti: l'ultimo volo, nel cielo solcato dai rabbiosi colpi della contraerea e dei caccia, e lo «choc» tremendo, fisico e morale, della caduta. Quindi la quiete, grigia e soffocante, la sequela interminabile delle vane chiacchiere sempre ripetute ed eguali, la perenne mancanza di intimità. Ecco allora il tema del la fuga stabilirsi, unico e martellante, nei cervelli e nei cuori: tanto più nel secondo campo, dove Howard giungerà, nel colmo dell'inverno polacco. La vita del campo, con le sue pri vazioni — non eccessive ancora, grazie ai pacchi della Croce Rossa (siamo nell'inverno 1942-43) —, le sue ombre e le sue rare luci, i contatti forzati, raddolciti dall'amicizia e soprattutto dallo sforzo e dall'ideale comune, è presentata con rigida sobrietà, assolutamente priva di qualsiasi retorica di linguaggio, o di pensiero: per lo più dialoghi, come battute di dramma, e talora di commedia, una eccezionale castigatezza di lin guaggio, brevi riflessioni, uso limitatissimo di immagini e di aggettivi. I progetti di fuga si accavallano l'uno all'altro: ma dopo alcuni disgraziati tentativi di evasione nei modi più bizzarri, spesso terminati colla mor- te o, nei casi migliori, con la cattura dell'infelice fuggiasco, sfinito dalla fame e dal fred do, tutti si concentrano nel classico tipo di evasione, il tunnel, la galleria sotterranea. E scavano, con la pazienza delle talpe, a turno, mentre i compagni fanno la guardia, e i pericoli sono incombenti, continui, la fatica immane, e l'aria comincia a mancare e si corre il rischio di morire soffocati. La galleria è quasi ultimata; già si è allo sbocco dall'altra parte dei reticolati, quando giunge, inatteso, l'ordine del trasferimento in massa ad un altro campo. Ed è qui che la sobrietà del discorso raggiunge il suo massimo effetto: uno solo rimane nel cunicolo quasi terminato, pronto alla fuga. Gli altri, e Howard fra essi, partiranno per il nuovo campo. Ma non danno un lamento: l'unico loro pensiero è di ricominciare un'altra galleria. Avrebbero continuato a scavare, senza posa, finche « non si fosse aperta la strada della libertà». . Questo ostinato rigore, questa capacità di tener fissi gli occhi ad un ideale appaientemente irraggiungibile, è la lezione profonda di questo libro: che è un documentario forse, più che non un vero romanzo, ma percorso dal soffio vivido di un'esperienza morale di altissima qualità. a. gr.

Persone citate: Del Giorno, Eric Williams, John Clinton, Luft, Peter Howard

Luoghi citati: Francoforte, Polonia