Furie e Muse nella torre

Furie e Muse nella torre Furie e Muse nella torre La vita del teatro è mescolata con cosi oscure radici alla storia delle nostre città, che spesso, ricordandone le origini, si risale nel denso e nel fosco delie sue cronache. E' questo il caso di uno dei più famosi teatri di Roma, il Tordinona, il quale avanti di servire di scena alle prime rappresentazioni del Trovatore, del Balio in maschera, per non dir altro, aveva avuto una serie di vite anteriori davvero romanzesca. Il teatro Tordinona, chiamato poi « Apollo » nell'Ottocento e demolito sulla fine del secolo per la costruzione dei Lungoteveri, derivava il suo nome da una antichissima turris Amiovae, torre dell'Annona, situata sul Tevere, quasi di fronte a Castel Sant'Angelo. Era di proprietà degli Orsini, larga e quadrata, a tre piani, in posizione strategica, oltreché di buon approdo fluviale per i carichi di grano, di vino, di olio, di legna. Gli Orsini a fianco della torre avevano stabilito depositi dove questi carichi venivano sbarcati, dietro pagamento di un dazio. Di ciò si ha notizia fin dal Trecento. Alla fine di questo secolo, un Orsini la lascia devotamente in eredità a una Confraternita Ospedaliera; e da questa passa in proprietà della Reverenda Camera Apostolica, come dire delle Finanze Pontificie, e viene adibita a prigione. Un carcere criminale, piuttosto sinistro, che resterà in funzione per più di due secoli, col nome di « Prigione del Papa »; e bisogna dire che la pia volontà testamentaria dell'Orsini era approdata a uno scopo del tutto diverso. Eterogenesi dei fini! Da allora nelle mura della torre le Furie prendono domicilio, prima delle Muse. Per duecentocinquantanni sembra che li dentro abbia sede una ben curiosa scuola di canto: chi passava nei suoi pressi poteva spesso sentire strani solfeggi, acuti e vocalizzi nell'interno: erano le strida sottili e lamentose delle torture. Esse crearono ben presto alla prigione una sua specifica rinomanza fra i dilettanti di quel genere di emozioni drammatiche allo stato greggio e violentemente realistico, per cui il palco della Giustizia « era vel principio », come il primo e più appassionante teatro della città. Dai merli delia Torre di Nona si vedevano spesso penzolare fantomatici ballerini in un tipo di balletto sulla corda, allora molto in voga: la ballade des pendits. Ma oltre a quei danzatori si usava appendere ai merli parti anatomiche su'cui la severa spada della dea Themis aveva prima mostrato il suo filo tagliente. Sotto, venivano diligentemente appesi dei cartelli che specificavano nome, delitto e pena inferta, come nei musei si usa per quadri e statue, o negli orti botanici per le piante rare. La Torre di Nona aveva dei sotterranei celebri: si chiamavano « il Fondo » ed erano veramente il puncttrm dolens che vibrava nel sottosuolo dell'anima cittadina, fondo ultrasensibile della angoscia collettiva e di quella comune coscienza di colpa che si potrebbe chiamare la « comunione dei mali ». Il Fondo faceva da tenebroso contrappunto all'azzurro delle belle giornate romane e da antipodo alla palla della cupola di San Pietro:, il paradiso e l'inferno sono anzitutto una struttura psichica. La fantasia dei romani era continuamente divisa fra questi due poli. Ma ogni volta che essi desideravano ciò che era proibito, la bella moglie di un amico, o la cassetta di gioie del cardinale, il Fondo doleva in loro con acute fitte. Le immagini raccapriccianti di quel luogo infero venivano immediatamente sceneggiate per loro dal più abile dei registi: il Terrore. Ma spesso un regista più abile ancora, il Desiderio, sapeva suscitare fantasmi che riuscivano a vincere la paura del Fondo. Perciò uno dei compiti principali del buon governo della città stava nell'alimentare con ogni cura questo apparato terrifico e le sue raffinatezze cstetiche, l'art polir l'art, il calligrafismo chirurgico dei tormenti, perchè non languisse negli animi l'effetto salutare delle loro suggestioni. Tutto ciò aveva creato una scuola, un gusto, un barocco e un rococò. E anche in questo campo si ebbe un primato artistico: sono rimaste memorabili alcune trovate come la famosa « Sveglia » con cui, semplicemente, si uccideva, prima che il colpevole, il suo sonno, quasi per una metafora morale del Rimorso che non lascia dormire, degna di Daniello Bartoli. Giunte le tose a questo grado di perfezione, stavamo per dire di Gradii; ad Parnassum, ecco avvenire nella Torre la grande metamorfosi, il vero « colpo di scena », intorno alla metà del Seicento. Come nella Storia del¬ la Letteratura Italiana del De Sanctis, in quel periodo, muore la poesia e nasce la musica, così qui il buio carcere si trasforma in teatro. La farfalla rompe il suo tecro bozzolo, si dispiega in siparii, quinte, costumi di maschere. Ciò accade quando Innocenzo X fa costruire le Carceri Nuove in Via Giulia. La « prigione del Papa », riscattata dalla Confraternita della Carità, inizia la sua nuova vita e diventa il Teatro di Tordinona, più volte disfatto e rifatto, bruciato da incendi, uno dei quali fu anche cantato in un poema; finché il Duca Torlonia nell'Ottocento lo fa ricostruire dal Valadier. Dorato anche nel nome, prende il nome di Apollo. Il prospetto, ornato di colonne e pilastri di cipollino, si apriva con tre porte sul vestibolo e sull'ampia scalea, illuminata per quei tempi con luci sfolgoranti. Ed ecco, nelle notti di grande spettacolo, a teatro rigurgitante, qualche cosa di strano si agitava nei sotterranei del suo Fondo. Le larve dei tormentati tornavano nel luogo della loro pena, come avviene nelle case spiritate. Ma anziché trascinare catene, sventolare lenzuolj o lasciare una mano di fuoco sui muri, qui apparivano sulla scena, drappeggiati in travestimenti favolosi; ed, insomma, entravano in corpo ai tenori, ai soprani, ai contralti, cacciando dalle loro ugole dei re bemolli, dei fa naturali così puri e genuini, senza alcuno sforzo, quali si possono ottenere solo nella scuola di canto della autentica espressione di dolore. Stride la vampa.. Prima rappresentazione del Trovatore al Teatro Apollo, il 19 gennaio 1853. Trama tenebrosa e vampirica; capestri, streghe, bambini bruciati, roghi spenti con secchie di sangue. «Empi, spegnetela, od io fra poco — Col sangue vostro la spegnerò ». Per di più, una prigione a torre col canto del Miserere. Non sembrava che l'anamnesi del luogo avesse oscuramente ispirato quel melodramma? Gli spettacoli della giustizia cui, due secoli prima, assisteva l'intiera città riapparivano ora nell'arte ai pronipoti, come nei sogni i lontani incubi dell'infanzia. I sentimenti crudeli si trasfiguravano, si liberavano quasi dall'anima in quella musica dol¬ «iiiiitiiii tiirtiiitittiiiiiiiii itiiiiiit 1 iiiti iiiiiiiiiti ce e accorata, in quei canti straziati che erano come una preghiera di espiazione dei mali d'un tempo. Almeno così piace di credere, indulgendo a una interpretazione fiduciosa ottimistica della natura dell'uomo. Ma forse sono relativamente brevi nel corso dei secoli le parentesi in cui un costume più civile riesce forse a deviare verso la musica la fondamentale crudeltà che è nell'uomo. Chiuse queste parentesi, il teatro cade e il circo ne prende il posto o lo stadio o, insomma, quelle varie forme di agonismo elementare, il cui fine più o meno ipocritamente celato alla coscienza, è l'episodio cruento. Quanti non vanno a una corsa automobilistica' come a una corrida? Forse domani un dilettante di simili sensazioni forti girerà nervosamente la chiavetta della televisione in cerca di catastrofi, come noi oggi cerchiamo una buona trasmissione del Trovatore. Giorgio Vigolo ■IIIIllllItlIIItlllllItlllllllllllllIUIttlItilllllllItllll

Luoghi citati: Castel Sant'angelo, Parnassum, Roma