Un amore tradito di Guido Piovene

Un amore tradito Un amore tradito Conversazione con Alberto .Moravia e con altri amici sugli effetti della montagna. .Mai come in questi tempi ho incontrato tante persone che dichiarano di provare di fronte alla montagna sensazioni d'angoscia. Gli antichi non amavano l'alta montagna perchè orrida e poco amena; l'Ottocento -vi trovò riposo, idillio, elevazione a Dio. Ma l'angoscia, la nevrastenia della montagna sono proprie di un tempo che ha perso la fiducia nella natura. Moravia mi racconta, se riferisco bene un modo di sentire diverso dal mio, certe irruzioni subitanee di « orrore cosmico » che lo assalgono quando soggiorna in una valle alpina. Può accadere, mi dice, mentre si scrive o si legge su una terrazza; più facilmente svegliandosi- a metà notte, con il buio e ii silenzio; ma sempre a tradimento. Si sente la presenza della cerchia di cime stretta intorno alla stanza; si spalanca davanti a noi la visione del tutto, un tutto spaventoso, di cui non facciamo più parte, e in cui perciò noi possiamo precipitare come in un vuoto estraneo. Un universo formidabile di baratri e di energie va per proprio conto, e ci ha espulsi; la sensazione schizofrenica di una disarmonia totale tra l'universo e noi. Ed insieme la sensazione che quella sia la verità, mentre l'armonia di prima era soltanto un'apparenza. Qualche cosa di simile mi hanno narrato i superstiti dei terremoti. Pareva ad essi, in quegli istanti, che solo quello fosse vero, e falso lo stato di quiete. Tutte le nostre preoccupazioni private esplodono dentro di noi, divenute mostruose, quasi magnificate dall'accompagnamento di una musica universale. La stranezza per me è che altri amici non scrittori, e specialmente donne, dichiararono di provare sensazioni simili a queste; forse l'« orrore cosmico » è, come ho detto, un contagio del tempo. Alcuni le provano, è vero, in modo meno sconvolgente; solo una noia minacciosa, una tristezza, un peso, l'affanno di essere isolati e come in prigione, un impulso di fuga per ritrovare l'armonia ed il buon senso. Quanto basta per rendere la montagna poco gradevole. Mi domando perciò (ma è solamente una domanda) se il gusto religioso e idillico della montagna non vada tramontando nel nostro costume con l'ottimismo nelle forze della natura e la vera gioia di vivere, e se anche questo non sia effetto dell'era atomica. E' incomprensibile per me, che amo la montagna di profondo amore, e soltanto in monti;gna ho invece l'impressione dell'armonia col mondo. Ma anche da parte mia è un amore tradito, forse perchè cominciò pazzamente. Mi colpisce quanto sia raro che uno scrittore possa scrivere intorno a quello che gli piace ed è suo. Non perchè si frappongano doveri pratici ed ostacoli esterni. Vi è una specie di legge, dirci una forzatura dell'intelletto, che tiene per anni e decenni la nostra attenzione distolta da quello che davvero amiamo; forse la maturità consiste nel riuscire a vincerla. Ho scritto migliaia di pagine su argomenti che attraggono solo la mia curiosità, e non una su quello che invece segnò la mia vita: la fantasia, l'ebbrezza, la pazzia della montagna tra i quattordici e i diciannove anni d'età. Se vi ripenso, non mi sembra che questo appartenga più alla mia storia; non solo per la lontananza; la stessa impressione provavo a vent'anni appena terminato il ciclo. Il fuoco delle albe e dei tramonti sulle nevi, quello splendore delle rocce e dell'aria, quel rapimento, quella gioia, quel gioco insieme, infernale e celeste, mi appaiono come squarci di un tempo prenatale, fasi di un'altra vita, che non so riconnettcre col tessuto della presente. Non lontane, ne prossime; mi sembra che nel mezzo sia passata la morte. Eppure sono in me, e come potenti. L'ultima volta, diciannove anni, d'estate, ed in tasca il danaro ricevuto dal padre per un mese di villeggiatura. Lo persi al gioco, non osai confessarlo. Fui costretto a partire con una piccola somma racimolata. Anziché a Courmayeur, com'era stato pattuito, andai ad Aosta e mi nascosi. Un'osteria sudicia che non c'è più, ed un sudicio vicolo oggi rammodernato. Per sostenere la bugia chiedevo ai conduttori delle autocorriere d'impostare per me cartoline da Courmayeur. Dormivo tutta la mattina e nel pomeriggio ingannavo l'appetito e la noia con ore di lettura sui banchi delle chiese, freschi e gratuiti. Al crepuscolo uscivo di città, e mi lavavo nel torrente che scende dai ghiacci del San Bernardo. Asciugatomi all'aria, facevo il mio unico pasto. L'essere in una situazione così diversa da quella creduta dagli altri se pensavano a me, ignoto a tutti e noto soltanto a me stesso, mi dava una specie di gloria. E' proprio dell'infanzia e della prima giovinezza godere nella finzione e nella doppia vita; un incanto che poi si perde. Non credo infatti che sia segno d'indole menzognera, ma un mezzo ancora primitivo, di affermare lai propria libertà di fronte al mon-| do. Ma quasi sempre la finzione Igenera la pazzia, e la pazzia si scatenò. IDecisi di chiudere !a mia av-1 ventura salendo solo alla Du-; four, la più alta vetta del Rosa, Non avevo danaro per pagare ]una guida ne scarpe adatte penil ghiaccio. Mi portai a tappe sulla punta Gnifctti, dov'è il ri- j fugio Margherita. Il custode, : tentato vanamente di dissuader- ! mi, mi prestò un paio di rampo- ni da ghiaccio da legare allei scarpe, non adatti ai mici piedi, ! ma ai suoi piedi che erano cnor-'mi. Era. quando partii, una notte pura e ventosa; tutte le cime uscirono dall'oscurità sfavillali- do di un rosa intenso. Se ricor- ; do me stesso, solo, inetto e scn-l za esperienza, vacillante a cavai- j10 della piccola cresta coperta di (un vetro di ghiaccio tra la Gni- • fetti e la Dufour, con un salto,da ambo le parti ed i ramponi | troppo larghi che anziché anco-j rarsi sul ghiaccio mi sfuggivano j sotto il piede, ho l'impressione di una prodigiosa giocata tra l'angelo custode e il diavolo, vin- ta in una bisca di baratri. Ritornai dalla Dufour con i nervi rotti, ed il ciclo si chiuse; nessuno |ne seppe nulla per anni. Questo fu l'ultimo atto della vicenda; il primo ha il medesimo stile. Quattordici anni. Borea, presso Cortina d'Ampezzo. Mi alzavo alle quattro col buio; passavo alcune ore nei boschi di abeti, in cui odorava con forza 11 giacinto selvatico; poi ritornavo a coricarmi. Dopo lo stordimento della mattina il rimanente del giorno non contava più; era quel semi-sonno, in cui matura- |no i pensieri esaltati. Con un ra- jgazzo di poco maggiore di me progettai di scalare il Pelmo e l'Antelao, due montagne che si fronteggiano ai lati opposti della valle, facili per un alpinista provetto, pericolose per due ragazzetti incapaci. Scappammo due volte la notte, con un pezzo di corda tratto da un ripostiglio, che non adoperammo mai. Del compagno ricordo solo che. più I saggio di me, si fermò entrambi |le volte nell'ultimo tratto, spaventato da fatti impreveduti. JL'una e l'altra volta infatti la di- j sgrazia fu quasi certa. Il Pelmo è una specie di torrione cavo, che rinchiude un anfiteatro di i ghiacciaio e di roccia; vi si pe- jnctra per uno spacco e ci si arrampica dall'interno alla cima. jUna pioggia gelata, che presto si limitò in neve e tormenta, con ! vampate di nebbia prima bianca e poi nera, ci sorprese a metà salita. Eccomi nel ritorno, rimasto | solo, sperduto nell'anfiteatro che jnon potevo più vedere, tra i muri della nebbia fitta; la ricerca | convulsa del varco per il quale (ero entrato dentro la torre; e la ridicola salvezza, un escremento Idi camoscio osservato salendo, che mi indicò la strada. Un diverso tranello ci fu teso dall'Antelao. Sbagliammo strada, e giungemmo sotto la vetta per una parete difficile quando il sole già tramontava. Il mio compagno si fermò ossessionato dall'idea che ci sorprendesse il buio. : L'ultimo tratto di salita, compiuto con il cuore in gola e quaIsi in gara contro il tempo, tra j le prime ombre della notte; nella discesa, una scivolata sul ghiaccio, una specie di volo sulla schiena verso il burrone; davvero ripensandovi ho la scn- iiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiitiiiniiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiii sazione di essere stato fermato dalla mano di un angelo. Qucste peripezie mi ritornano oggi quasi un sogno o, come ho detto, episodi di un'altra vita. Rivedendole oggi, insieme col piacere di ricordare, mi coglie una sorpresa, quella di non csserc morto. E la constatazione, a che fragile filo è stato appeso il mio lavoro di oggi, il ragio ncvolc sistema degli anni matu ri Rammento uno stupendo detto del Guicciardini, essere una ragione di meraviglia che, fra tanti incidenti di cui è co sparsa l'esistenza, una spiga di grano possa diventare matura, un uomo diventare vecchio. Fi guriarhoci poi se tra quegli in ridenti si mettono le nostre esaltazioni e pazzie. Vedendo quante volte avrei potuto e dovuto morire, in mecon l'andare degli anni si rafforza un altro pensiero, che il vivere sia la regola ed il morire un'eccezione, La sensazione riposante di una legge per cui noi dobbiamo vi vere sempre, e si muore solo per caso, in una delle sue inspiega bili pause. Guido Piovene

Persone citate: Borea, Dufour, Guicciardini, Moravia

Luoghi citati: Ampezzo, Aosta, Courmayeur