Le Montagne del Signore

Le Montagne del Signore V ! * ma OIO IK EGITTO Le Montagne del Signore Il deserto del Sinai, ossia la più assurda migrazione di popoli che mai sia stata • Verso la colonna di fumo e di fuoco onde Dio parlò a Mose Tutto è rimasto come allora nella grande pietraia, e forse peggio di allora • L'oasi di Fairan che, con le sue povere delizie, fece gridare di gioia gli antichi pellegrini • Un convento incastonato fra le rupi resiste da 1500 anni alle folgori, ai terremoti, alle orde fanatiche • Attorno alla sacra vetta un nimbo di stelle sfavillanti e fitte (Dal nostro inviato speciale) S. Caterina del Sinai, aprile. Dopo Abu Zelimeli, piccolo porto del deserto, per giungere ai monti del Sinai non ci sono più strade né piste. Bisogna percorrere il fondo delle vallate e dei torrenti asciutti, e così salire quasi inavvertitamente, per tutti i cento chilometri che rimangono da fare, fino a 1500 metri d'altitudine. Ancora poco prima della guerra l'unico mezzo per compiere il tragitto erano i cammelli; ora ci si può avventurare con le automobili, purché siano molto robuste e pronte a qualsiasi incidente: dagli insabbiamenti e dagli arresti improvvisi davanti a ripidi sbalzi rocciosi, fino alle rotture di sterzi durante gli innumerevoli salti dì montone fra il pietrame grosso e minuto che ogni alluvione fa precipitare dalle alture di basalto, di granito o di calcare. Nello sforzo i motori si mettono di tanto in tanto a fumare come vecchie vaporiere, le ruote diventano gambe di ubriachi, le gomme mandano strida da animali sgozzati; e così, di sasso in sasso, si procede il più delle volte a passo d'uomo, senza veder mai la fine. Dopo un uadi che era parso interminabile ne appare subito un Mitro, e sempre ci si sente oppressi da questo paesaggio decrepito, che si sgretola, si sfascia, quasi che la terra fosse già diventata simile alla luna, spenta,*morta, maledetta. Eravamo sgomenti noi, nelle nostre macchine, con cinque giornate di viveri di scorta; noi che contavamo di arrivare a sera dopo essere partiti poco prima dell'alba; e quale doveva essere l'animo di tutto un popolo trascÌ7iato dalla volontà inflessibile, dall'ispirazione gigantesca di Mose uscito dall'Egitto? Erano seicentomila, dice il Vecchio Testamento; erano cinque o seimila, sostiene la critica moderna: ma sempre troppi, per queste orride plaghe. Cumuli di teschi Dopo aver sostato alle fontane che sgorgano appena fuori dell'istmo, i migranti non trovarono più una goocia d'acqua per tre giorni di cammino; e non un filo d'erba, una palma, un villaggio, una capatina per altri lunghissimi giorni, ma soltanto qualche tribù imbarbarita di nomadi contro i quali bisognava duramente battagliare. E perchè, si doveva chiedere la gente spossata, assetata, scheletrita, perchè dirigersi sempre al sud, quando la terra dei patriarchi, la ricca e incantevole terra promessa, era ad oriente? Perchè dover tutti morire? Mai migrazione dovette apparire più assurda, più folle di questa: e a malgrado dei prodigi che ne alleviavano le sofferenze, quasi ogni giorno il popolo si abbandonava alla tentazione della rivolta. Ma sempre il ' condottiero additava, solenne, implacabile, la colonna di fumo e di fuoco dove il Signore si celava per condurlo alla dimora inaccessibile, donde avrebbe finalmente parlato, Tutto è rimasto come allora, e forse peggio di allora, che in tre millenni le rocce si sono ancora più frantumate, i torrenti e le valli si sono ancor più colmati di detriti, e il vento ha ancora più a fondo scavato, con i suoi vortici di sabbia rovente, immense buche nell'arenaria e nello stesso granito: sì che ogni monte appare forato da mille occhiaie tenebrose come quei cumuli di teschi che i monaci del Sinai innalzano nel loro cimitero. Nessun paese è sorto, anzi sono scomparsi anche quei pochi che, come Elim, nell'Esodo vengono rammentati; e ai due porti di Abu Zelimch c. di Tor, solitari sulla costa occidentale, approda assai di rado qualche nave da carico, a imbarcare quel poco minerale che nuclei sparuti di minatori riescono a strappare alle pur ricchissime vi- I scere di questo terra. Perfino l'oasi di Fairan, che per i le sue povere delizie dovette j far gridare di gioia gli an- \ fichi pellegrini, sembra oggi un groviglio lunghissimo di enormi cardi selvatici fra due alti dirupi, tanto le palme si sono arruffate l'uno, dentro l'altra, e ì rovi sono cresciuti a dismisura laddove un tempo sorgeva una piccola città, il solo gioiello del Sinai. Ora si scorgono soltanto misere catapecchie, dove vagano uomini, asini e cammelli con la stessa lenta, svogliata rassegnazione. Ogni qual volta eravamo costretti a fermarci per l'impotenza delle macchine a proseguire, vedevamo sempre più deprimenti i segni della desolazione. Dove le piogge invernali avevano fatto scorrere qualche ruscello, un sottile strato di limo grigio si era tutto screpolato, accartocciandosi poi in miriadi di foglie che subito si polverizzavano al contatto delle dita. Cavallette morte, come mummificate dal sole, erano sparse ovun | I I ! | | I l l que, e branchi di capre nere se ne andavano fatneliche alla ricerca di qualche ar- busto da addentare. Un be- duino abbandonava l'ombra di ragnatela di un tamari- sco per venirci incontro co- rne uno spettro meridiano, lungo e rinsecchito nella stinta camicia che gli giun- aeva ai piedi- ovvure tre o gt.va ni piedi, oppure ire o quattro bambini, con la lo- ro incredibile annarhione su ro increaioue apparinone su dalle pietre e il loro cor- rere squittendo in qua e in la, facevano pensare a jìc- cole volpi nere fuggite dalle tane. Altre volte, invece, non s'incontrava più nessuno per ore e ore: tanto che saremmo stati contenti di imbatterci in un orso, o un lupo, o un leopardo, di quelli che ancora infestano queste gole, e che forse ne sarebbero calati se il rumore delle nostre macchine, echeggiante fin sulle vette, non li avesse impauriti. j catena. Tremenda visione Un popolo in ginocchio Era quasi sera quando ap- parvero i monti della sacra Tutto l'orizzonte era sbarra- to da rocce altissime -«.- " seggianti dilaniate in ogni parte da burroni vertiginosi, cosparse da macigni in bi- hco su ogni minima spnr- gonza. Su una delle vette più alte, il Monte di Mose, posava una grande, candida nuvola; c nessuno di noi si mostrò tanto disincantato da non aspettarsi, almeno per un attimo, che folgori e tuoni ne scaturissero a un tratto Soltatito lassa, pen- sammo. poteva abitare un Dio < lento all'ira* ma ter- ribile quando il tempo della collera giungeva. Soltanto fra queste orride balze poteva celarsi il Signore invisibile, il Signore che non vo¬ leva immagini di sè fra gli uomini. Tutto il popolo di Israele, nella stessa piana dove ci eravamo soffermati, era caduto in ginocchio davanti all'immenso soglio divino, a quel pietrificato furore. Mose vide il proprio trionfo. Mai nessun uomo aveva trascinato un'intera nazione attraverso il più pauroso deserto della terra, nel solo intento di ricevere dalla voce tonante di un Dio ignoto, non la promessa del paradiso, ma la. legge della penitenza, dell'umiltà, del timore. Ma solo Mose, per la sua indomata volontà, meritava di udire quei tuoni tramutarsi in parole; ed egli solo salì, fra i rombi e le fiamme, sul monte. I i j \ « Che faremo qui ? » Non eravamo giunti alla fine del nostro viaggio. Un altro uadi si snodava interminabile sotto le pareti roc| dose, ora rosee, ora rosse, ora verdastre, ad ogni svolta pareva d'essere arrivati, e semI pre continuava la vallata, I nuda, riarsa, percorsa da ! una brezza fine, asciutta, ma | sempre più fredda. Non c'era | nulla di umano, nessun segno di vita, non risuonava una I voce. Il sole se ne andò in un l divampare di bagliori purpul rei dietro le cime che ancora a lungo lo avrebbero veduto splendere sopra le onde del Mar Rosso. Venne la notte, e non si arrivava. Le mac¬ chine erano stanche come bestie, i motori rantolavano, non si faceva un chilometro senza doversi fermare. < Che faremo qui — ci si chiedeva — se ?ion potremo più andare avanti? ». Nessuno viaggia di notte, nel deserto del Sinai. L'aria diventò gelida, le montagne s'immergevano in un'ombra sepolcrale, di tratto in tratto Ii , .! 1 nuna pietra precipitava dritta, come se venisse dal cielo. Apparvero le luci del convento di Santa Caterina. I monaci avevano scorto i nostri fari accesi, immobili, e se'n'erano inquietati. Presto li vedemmo venirci incontro, con le barbe bianche e le tonache nere svolazzatiti. Ci fecero scendere dalle macchine e ci condussero, stanchi, disfatti, dentro le mura di quella prodigiosa fortezza della fede, da mille « cinquecento anni incastonata fra le rupi, mille volte percossa dalle folgori, squas-' sata dai terremoti, assalita da orde fanatiche, lontana da paesi e città come se si trovasse in un altro pianeta, eppure sempre vittoriosa di ogni prova. Là dentro trovammo ristoro. Nell'alta notte, le stelle attorno alla vetta del Signore erano così fitte e sfavillanti, che figuravano un nimbo. GB. Angioletti

Persone citate: Mitro

Luoghi citati: Egitto, Israele