Un tenebroso affare di Filippo Sacchi

Un tenebroso affare Un tenebroso affare Tl,va„,Rom": b fcbl";a.o. Tiovandomi in questi gior-ni a passeggiare per Roma e naturale che abbia avuto la testa grossa con quest'affare Montesi. Chi me ne ha dette di cotte, chi me ne ha dette di crude; chi mi ha spiegato per filo e per segno che è tutta una macchinazione ideata apposta da una camarilla democristiana per silurare Sceiba e Piccioni; chi invece, tutta una macchinazione di fascisti contro la democrazia; chi ci vede un'appendice italiana della lotta tra le qanqs americane di stupefacenti; chi ci fiuta addirittura già l'ombra di Bogomolov Specialmente agita fissimi sono quelli che si sentono la vocazione del poliziotto dilettante, e che adesso l'esempio di Muto ha scatenati. Uno di questi, bravo ragazzo, volle condurmi nei locali dove secondo lui passerebbero le fila segrete dell'affare. Ragazze piuttosto spelacchiate arrivavano in compagnia di giovinotti in maglione e « montgomery » Ogni tanto mi toccava al gomito e mi sussurrava un nome. A una certa ora, stufo di girare, di rintronarmi al suono degli stessi dischi, e di bere mediocri whisky annacquati nel ghiaccio, me ne andai a dormire. Ne ho sentite tante dunque, ma non so nulla, e al momento in cui scrivo non ho come voi la minima idea di quale sarà il corso di questo che davvero merita il titolo balzacchiano di tenebroso affare. Però mi pare già che, comunque sia, tutti noialtri che non sappiamo nulla possiamo esprimere, senza offendere nessuno, qualche impressione e qualche desiderio. La prima impressione, sempre senza offendere nessuno, è che tutto l'affare è stato condotto male da parte di tutti. Certo non mi intendo di procedura giudiziaria. Ma, credo, ci sono almeno trenta milioni in Italia che non se ne intendono di procedura giudiziaria. Ora a tutti noi, nessuno ci leva dalla testa che la prima volta si è andati troppo in fretta ad archiviare il cadavere di Wilma Montesi. Non ci sarà stato niente, tanto meglio. Ma perchè, fin da allora, non estendere le indagini? Non veniteci a dire che in un Paese dove per un articolo si mette in prigione preventiva un galantuomo, mancano alla polizia i poteri per condurre una inchiesta completa sulla vita, i precedenti, le amicizie della ragazza, per sottoporre tutti coloro che forse potevano dire qualcosa (erano lì, non c'era che chiamarli) alla pericolosa e temuta prova dell'interrogatorio. Avendo archiviata allora l'inchiesta troppo in fretta, si è caduti adesso nell'eccesso opposto: si è troppo indugiato nel riaprirla. Sono sette giorni che, a ragione o a torto, si è posto di nuovo all'opinione pubblica il dubbio che la morte di Wilma Montesi non sia stata accidentale, ma soltanto ieri la Procura si è decisa a ordinare un supplemento d'indagine. Ora sono sicuro che non c'era nella magistratura nessuna intenzione di eludere le legittime esigenze della giustizia; sono sicuro che esistevano valide ragioni formali e di compotenza le quali prescrivevano quella determinata procedura e quelle determinate cautele. Ma, perbacco, bisogna capire stavolta che c'era una necessità ancor più importante: quella di impedire che si formasse nel pubblico pur il vago sospetto di una reticenza o di un impaccio. L'importante, diceva quel santo, non è di salvare le convenienze è di salvar l'anima. Muovendosi prima, si sarebbe ottenuto, oltre il resto, un considerevole vantaggio: di moderare in parte questa ridda inaudita di vanità e di esibizionismi che, si può dire, balla da giorni e giorni sulla povera morta. Tutti questi parenti che si fanno avanti con dichiarazioni mirabolanti, contraddicendosi l'uno con l'altro, anzi spesso contraddicendosi da se stessi, e ognuno cercando di apparire il più bravo e importante, proprio come guitti che cercano di farsi più avanti alla ribalta per coprire la battuta del compagno e prendere gli applausi per hsticì di avvocati alle porte di Poma, questo proflu- vio di conferenze-stampa e di comunicati, per cui il caso Montesi sembra diventato la conferenza di Berlino. Ebbene, tutto ciò sarà pittoresco, sarà cinematografico,, ma rivela una tale mancanza di serietà, di contegno e di senso delle proporzioni che, veduto di fuori, non può non dare un'impressione di generale disordine e leggerezza. Si arriva persino, qui a Roma, al punto che, contro la tradizione di puro servizio che è il fondamento del nostro mestiere, certi giornali dàn no in prima pagina le foto grafie dei loro cronisti che ai occupano della Montesi: in prima pagina, dove van- no le fotografie del Papa o delle consultazioni al Quirinale! Comunque una cosa adesso è necessaria. Che l'inchiesta venga condotta ii più a fondo possibile, e nel modo niù aperto e più con vincente possibile. Ci sono ; oggi in Italia moltitudini | di cittadini tranquilli e la- iboriosi che guardano a que-jsto scandalo con profonda : apprensione; col dubbio amaro che veramente — come da molte parti sentono dire, mentre essi sgobbano e penano a mettere insieme le due parti del mese — lontano, in quei quartieri alberati e ridenti, solcati da lucidi nastri di strade, dove case aeree e leggere torreggiano, pulite come gioielli, e che essi vedono al cinematografo, esiste un ristretto mondo di privilegiati, un clan, cricca, che nulla fa, una | cheisolo si gode e sperpera, e I alla quale è accordata una assoluta e incontrollata impunità. Bisogna dimostrare che questa immunità non esiste. E soprattutto, poiché nella mente dei più questo affare ormai è abbinato al- la grande « internazionale » degli stupefacenti, indipendentemente da Wilma Montesi, indipendentemente da tutte le Adriane e le Anne Marie, e le altre che potranno venir fuori, bisogna colpire una buona volta i gangli di questo traffico immondo che allarga ormai silenziosamente, come forse nessuno sospetta, il raggio delle sue vittime. Mi hanno detto che Roma ha l'onore di avere all'Ambasciata americana un attaché speciale, oltre al militare, all'aeronautico eccetera. E' l'attaché degli stupefacenti, cioè il funzionario che il F.B.I. americano tiene ap- posta qui, perchè di qui parte il grosso del commer-1 ciò di eroina e di cocaina per New York. Bisogna far-.la finita con questa piaga, penso alla madre ! \Tr> nAncsn alla »,JM"H! Avellino la Doverf mammaAvellino,, la povera| mamma di Avellino la quale v.veva credendo che la figlia fosse\a Roma a lavorare e a StU-!diare. Bisogna pensare a!tutte le mamme di Avellino "tutte le mamme di provincia che vedono un giorno partire la figliola per cercar lavoro in città seguendole con trepido pensiero, fra i tanti pericoli ai quali le sanno esposte, e che sono i pericoli stessi della vita, siano almeno fiduciose che qualcuno le difende dal più terribile, dalla droga che assale, spesso inavvertita e quasi per caso, le sue vittime, le prende, per gettarle, per sempre vinte, miserabili e sfatte, facile preda alla banda in agguato dei farabutti e dei mezzani. Filippo Sacchi