Ricordo di Silvio Pellico

Ricordo di Silvio Pellico A CEITO ASSISI PALLA MORTE Ricordo di Silvio Pellico Silvio Pellico era nato l'anno della < grande paura >, cioè l'anno in cui ebbe visibile inizio la massima rivoluzione francese. E appunto a causa delle armate della rivoluzione che invasero le pronvince subalpine, egli ebbe vita travagliata fin dai primi anni, perchè 1 suoi genitori, Onorato Pellico e Margherita Tournier, dovettero fuggire da Saluzzo, rifugiarsi a Pinerolo, per poi infine riparare a Torino. E poi egli era gracile, debole, malaticcio; e gli affari di suo padre, che aveva anche aperto negozio di drogheria, procedevano tutt'altro che bene, nè poteva essere diversamente, perchè il commercio ha le sue proprie esigenze, mentre il padre di Silvio aveva la mente rivolta alla poesia, si dilettava di sfornar sonetti e arcadici madrigali, si gloriava di appartenere a numerose accademie, nè soltanto a quelle della sua terra piemontese. * * La madre di Silvio, che come quella del Leopardi era donna ferma e risoluta, il vero uomo della famiglia, nella speranza di sottrarre il suo secondogenito a traversie e pericoli, aveva collocato Silvio giovinetto presso certi suoi congiunti residenti a Lione, cosicché quegli crebbe imparando assai bene la lingua francese, la qual cosa fu provvidenziale per lui, perchè quando i suoi, in seguito al fallimento dell'azienda paterna dovettero lasciar Torino e riparare a Milano, ch'era allora la capitale del Regno d'Italia napoleonico, e anche Silvio fu indotto a rientrare in grembo alla famiglia, egli potè ottenere un posto di maestro di lingua francese In un istituto di educazione lombardo. A Milano, superato il pericolo di dover sottoporsi alla coscrizione militare, in quanto la Commissione di leva del Dipartimento dell'Olona lo dichiarò inabile al servizio perchè < affetto di mancanza di misura >, Silvio non tardò a frequentare gli ambienti letterari della città, conobbe Ugo Foscolo, incontrò Vincenzo Monti, si legò di amicizia con Ludovico di Bremc, con Pietro Borsieri, più tardi con Giovanni Berchet; e quando, caduto, nel 1814, il Regno d'Italia, ed entrati gli Austriaci a Milano, il Pellico restò senza impiego, perchè essendo piemontese fu considerato < forestiero dal nuovi padroni del Lombardo-Veneto, egli venne assunto in qualità di precettore del figli del conte Luigi Porro Lambertenghi, con che si trovò a vivere nella società più eletta della capitale lombarda, ch'era In gran parte animata da spiriti nazionali e arditamente progressivi. Frattanto l'Austria aveva favorito con le sue sovvenzioni la nascita a Milano di una rivista, la Biblioteca Italiana, che, data la sua origine, mancava di ogni mordente, era giudicata da taluno dei suoi stessi collaboratori «fredda e melensa>. Epperò il Pellico pensava di pubblicare un suo giornale libero, vivace, romantico, da contrapporre a questa pubblicazione asservita all'Austria e ai * cruscanti ». Ma solo quando il Porro e il Confalonìeri si associarono a tale disegno, assicurando il loro concorso finanziario all'impresa, il giornale potè effettivamente uscire col nome di Conciliatore, e vide Infatti la luce il 3 settembre del 1818. Il giornale, stampato su carta azzurra, era bisettimanale, dichiaratamente romantico e avverso ai classicisti: giacché costoro, attenendosi ad una vieta tradizione in letteratura, erano conservatori anche In politica, laddove 1 romantici, che volevano fare a tutti accessibile la letteratura, scostarsi dalle ampollose esercitazioni mitologiche, parlare e scrivere con parola semplice e intelleggibile anche ai non dotti, e anziché stare in ammirazione del mondo grecoromano, mostravano di apprezzare soprattutto l'età medioevale, quella dei liberi Comuni e dei primi aneliti della società nazionale, erano naturalmente avversi ad ogni oppressione straniera, fautori di libertà, desiderosi di preparare l'avvento di un nuovo ordine di cose in Lombardia e in Italia. Cosicché ben presto, per dire romantico si disse liberale, e classicista c era diventato sinonimo di ultra, di spia, di inquisitore > Il Pellico, che era il principale compilatore del foglio azzurro, cui la censura non dava tregua, In quanto essa correggeva, sopprimeva, stroncava articoli e corrispondenze, era stato preso di mira dalla polizia, che non esitò a minacciarlo di espulsione da Milano e dallo Stato, qualora avesse continuato a scrìvere in quella guisa ardita e insidiosa E poiché la fatica di fare e rifare il giornale era divenuta intollerabile e pericoloso continuare, nell'ottobre del 1819 il ConciliPtnrr cessava la sua non Inutile vita. Il Pellico tornò allora alle sue incombenze di precettore dei figli del Porro, continuò a scrivere tragedie ed altre composizioni teatrali, incoraggiato da ciò, che una sua tragedia Francesca da Rimim, soprattutto a causa di certe allusioni patriottiche in essa introdotte, era stata accolta con molto favore dal pubblico milanese e di altre città Italia- ne. E frequentando la casa di colei che aveva interpretato con tanta efficacia e genialità la sua Francesca, l'attrice Carlotta Marchionni, non solo si innamorò della cugina di costei, che avrebbe voluto fare sua sposa, ma conobbe il musico forlivese Piero Maroncelli, che lo ascrisse alla Carboneria, e gli comunicò il suo fervore per la propagazione della sètta patriottica. Silvio infatti vi aggregò il Porro, tentò di farvi aderire Gian Domenico Romagnosi e Giovanni Arrivabene (i quali però opposero un rifiuto all'invito), e mandò il Maroncelli a Lézzeno nel Comasco perchè vi aggregasse un altro suo conoscente, il quale, alla sua volta, tentò invano di attrarre alla sètta un ex-ufficiale dell'esercito italico. Tutti questi maneggi, e altri ancora, sarebbero rimasti ignorati, se una imprudente lettera del Maroncelli a suo fratello Francesco, residente a Bologna, non fosse caduta nelle mani della polizia, che s'affrettò ad arrestare il Maroncelli; e questi, che già le carte sequestrategli gravemente accusavano, aggiunse imprudenza a imprudenza, nella speranza di fuorviare i suoi giudici. Di li a poco, anche Silvio fu arrestato, e sebbene sembrasse in un primo momento che nulla fosse risultato a suo carico, 11 timore che la Carboneria Ispirava all'Austria, in quell'anno 1820, di rivolgimenti e di agitazioni, fu tale, da indurre l'imperatore Francesco I a ordinare che i due captivi fossero tradotti a Venezia, dove già una Commissione straordinaria era Intenta a giudicare una ventina di carbonati polesani e ferraresi, accusati di alto tradimento. Un anno durò l'inquisizione contro il Pellico e il Maroncelli, ed essa si concluse con la condanna a morte di entrambi, condanna che fu tuttavia commutata dal < clementissimo» imperatore nella pena del carcere duro, da scontare nella fortezza dello Spielberg, vent'anni per il Maroncelli, quindici per 11 Pellico. E nella gelida fortezza morava, 1 due condannati, che la comune sventura fece intrinseci, stettero per otto anni, fino all'estate del 1830, quando, in séguito ad un atto di grazia, furono restituiti a libertà, e rimpatriati. * * Incoraggiato da sua madre, da Cesare Balbo, e da un sacerdote nel quale aveva riposto tutta la sua fiducia, 11 Pellico narrò la lunga, dolorosa reclusione che aveva sofferto a Venezia e nello Spielberg in quel suo libriccino di rassegnazione e di fede, che apparve nel novembre del 1832 Silvio, da incredulo che era. si era fatto credente e devoto Perciò, invece di invettive e proteste, Le mie prigioni parlavano un linguaggio di intonazione umile e sottomessa. Nulla dicevano dei motivi per cui Silvio e il Maroncelli erano stati processati e condannati: ma le sofferenze dell'Implacabile carcere, il freddo, la fame, la spietata separazione epistolare dai loro cari di cui nulla seppero per un lungo decennio, la crudeltà delle privazioni cui erano sottoposti 1 prigionieri, quasi tutti uomini libreschi e di penna, ai quali ì libri, la penna, la carta e il calamaio erano sistematicamente negati, il disgustoso lavoro cui andavano soggetti di far calza con lana putente, l'orrido carcere sotterraneo nella prima fase della reclusione spielbergica, la pesante catena cui erano costretti a trascinare, le piccole e grandi sevizie inflitte loro da un regolamento applicato con npivdbttEadlnzlltllalsvbzlssnmmlpiencrgirSpnDlspm—ndtbsaltLsvuzgsvsczzqmeticolosa severità, tutto era' narrato con parola semplice, plana, pacata. Ma l'effetto che il lettore ne risentiva era davvero terrificante. L'Austria ne vietò la introduzione e la lettura nel Lombardo-Veneto, ma esso penetrava dovunque, era conosciuto da molti se non da tutti. E se spiacque al Governo austriaco, fu severamente giudicato anche' dai patrioti italiani, che videro in esso la rinuncia alle rivendicazioni nazionali, l'abdicazione ai postulati del patrio diritto. Il Pellico non era fibra di combattente pertinace, lo Spielberg l'aveva vinto e fiaccato. Da allora, egli si andò sempre più allontanando dagli ideali che l'avevano fatto audace e risoluto nel tempo di sua gioventù: eppure, questo suo libro, di memorie e di rassegnazione continuava in suo nome la battaglia, dalla quale egli s'era ormai ritratto, dopo essere stato mortalmente ferito nell'impari pugna. Il suo nome di scrittore resta unicamente affidato a questo piccolo libro, che narrando della penosa sconfitta subita in quell'anno dal patriottismo italiano, redime gli errori e le debolezze degli uomini, nella luce di un martirio, che la storia tramanda con fede sicura alla coscienza non immemore della risorta nazione.