Io sono Lilì Marlen dice la romantica signora di Clara Grifoni

Io sono Lilì Marlen dice la romantica signora canzone Appuntamento conWpretetfelto famosa Io sono Lilì Marlen dice la romantica signora ÌlAnrt,SNnle *HC°r8a * Un COn"nente all'altr° "11 I™» « «"»» dram che il campoji concentramento - Processata e assolta Dal nostro inviato speciale) Meglio un tubetto di Phonocontinua ad essere una donna-simbolo F~ (Dal nostro inviato speciale) Amburgo, gennaio. Lili Marlen mi aveva dato appuntamento per le sedici e trenta a Lohausen, l'aeroporto di Dusseldorf Vi giunse tranquilla, un berrettino di pelliccia sui capelli biondi e una valigetta azzurra in fondo ai braccio, verso le diciassette cioè qualche minuto dopo l'ora stabilita per la partenza dell'aereo che doveva condurci ad Amburgo; e il suo arrivo mise line agli indugi d'una bella ragazza in uniforme grigia e bustina, che subito incominciò a far l'appello dei passeggeri. L'eco del passato Seppi cosi che Lili Marlen era inipuntuale, ma che gli aeroplani della British European Airways non la lasciavano a •terra: cortesia abbastanza notevole in un paese dove tutto marcia a cronometro, e della quale Lili Marlen si sdebitò con un sorriso, che dalla hostess circolò sui viaggiatori e parve rischiarare le loro facce. Erano in massima parte uomini d'affari della Ruhr, risuscitati < baroni > dell'acciaio e del carbone, seri, impettiti, con enormi cappotti e il grosso sigaro dell'industria pesante fra le labbra; ma, come disse Lili Marlen, mentre il nostro apparecchio decollava, ognuno di quei cappotti nascondeva un cuore in cui il suo nome risvegliava l'eco di tutto un passato. A questo punto preciserò che la Lili Marlen di cui parlo non è altri che la sua t creatrice >, Lale Andersen; e che, se indico l'una col nome dell'altra, è per fare come tuttifauno in Germania. < Io sono una canzone — dice romanticamente la signora — Lili Marion e io ci apparteniamo in tal modo, che ormai è impossibile separarci >. Guardando la mia graziosa compagna non posso fare a meno di notare quanto le abbia servito, a restar giovane, la necessità di aderire a un personaggio: malgrado un'abbondante quarantina, il suo viso è fresco e li-cio come quello d'una ragazza, l'occhio si conserva limpido, il nasetto petulante; e anello il suo corpo è da ragazza, sottile, ma rotondo e animato da un'energia instancabile. Grazie a quell'energia, Lale Andersen può continuare a viver di corsa, passando da un aereo e da un continente all'altro: domani, ad Amburgo, eseguirà una nuova incisione di Lili Marlen con l'orchestra Rias-Berlin diretta da Werner Miiller; dopodomani partirà per 11 Canada, con un repertorio che, naturalmente, ha Li/i Marlen come pezzo forte. E' la canzone del suo destino e tinche al pubblico piacerà ascoltarla, Lale Andersen non si stancherà di prestarle la sua strana voce, calda e un po' ruvida, piena di desideri repressi. Non ha mai studiato canto, mi dice, e quella è la medesima voce con cui, bambina, si univa al coro delle donne che aspettavano le navi, sui moli di Bremerhaven, sua città nativa. A quel tempo, Lale Andersen si chiamava Liselotte Bunnenberg e, come quasi tutte le figlie di marinaio, conduceva un'esistenza nomade, ora abitando presso i nonni materni a Oslq, ora presso quelli paterni a Langeoog, una isoletta del gruppo Frisone, nel Mare del iNord. La sua più ardente aspirazione era di diventare attrice e perciò venne mandata alla scuola del famoso Reinhardt. Ma non le riuscì mai (come sognava) di interpretare i grandi ruoli shakespeariani e neanche, per anni, di ottenere una qualunque scrittura in un teatro di prosa Le prime tavole di palcoscenico che potè sentirsi sotto i piedi furono quelle di una taverna berlinese, la Groschenkeller, nella quale esordi col nome di Lale Andersen, cantando un certo numero di romanze in cambio di vitto e alloggio: si era nel '31 e la poco più che ventenne LiselotteLale aveva già un marito, 11 pittore Paul Ernst Wilke, nonché tre biondissimi figli, Bjòrn, Litta e Michael. Quando fu stanca di quella vita precaria emigrò in Svizzera, dove con l'aiuto di certi amici ebrei potè finalmente recitare qualche particina alla Schauspielhaus di Zurigo. Ma nel '37 era di nuovo In Germania ad esibirsi come cantante, prima a Monaco, poi nel Kabarett der Komiher di Berlino. E fu 11 che una sera capitò il compositore Norbert Schulze, che volle affidare a Lale sei canzoni da lui musicate: in una di esse, la più nostalgica, si parlava d'una caserma e d'una lanterna, la cui luce rischiarava, vàie exnst come allora, il volto d'una ragazza a nome Lili Marlen, teso nell'ultimo addio. Patetiche strofe Le patetiche strofe di quella canzone erano apparse, giusto vent'anni prima, in un libretto di versi, «Die Ideine Haferorgel» (la piccola Usar monica del porto), scritto dal soldato della Guardia Hans Leip, che aveva combattuto sul fronte russo durante la prima guerra mondiale; e Lili Marlen (come ognuno sa) non era che il ricordo abbinato di due ragazze, apparse un giorno all'orizzonte del soldatopoeta, ma subito scomparse, senza lasciare dietro di sè che la breve traccia dei loro nomi, Lili e Marlen. Quella breve •I:'oria incantò Lale Andersen. Ma il pubblico del varietà Sitala di Berlino, davanii al quale essa cantò per la prima volta, con accorata malinconia, t Vor der Kaserme, vor dem grossr.n Tor, stand eine Laterne, und steht sie noch davor...>. (Davanti alla caserma, davanti al gran porton, c'era una lanterna, e sta 11 davanti ancor...), rimase assolutamente freddo. E ci vollero tutte le insistenze della Andersen, che in quella canzone aveva « trovato se stessa >, per decidere la casa Polidor a inciderla. Il disco non andò a ruba. Se ne vendettero, si e no, poche diecine di copie. E Lili Marlen sarebbe rimasta tra 1 fondi di magazzino se, nella primavera del '41, un certo sergente Richard Kistenmacher, che da borghese faceva il cantante e quindi conosceva Lale, non avesse riesumato quel disco polveroso, mettendolo a girare su un grammofono nella baracca che serviva da trasmittente-radio ai tedeschi, subito dopo l'occupazione di Belgrado. Il grammofono era posto su una cassa vuota; e intorno alla cassa svolazzavano tutti gli animali da cortile, fra squittii, gracidìi e trionfanti chicchirichì. In quel coro agreste si alzò la voce carezzevole di LUI Marlen. Da allora, non fu più possibile farla tacere. Tutti 1 soldati tedeschi avevano una lanterna accesa nel cuore, wie einst come allora. E non solo 1 tedeschi. Quando le truppe deìì'Afrika Korps cantavano quelle parole, il vento del deserto le portava ai loro avversari, fermi non molto lontano; e anch'essi in breve adottarono Liti Marlen che tradotta in inglese divenne Marleen. < Così, da un giorno all'altro — dice la signora — il pubblico accettò la mia canzone e, proprio come il vento, essa fece il giro del mondo >. Ma il clamore di quel successo irritò il ministro della propaganda, Goebbels; a lui non garba¬ ainuniii iiiiiiiiiiiiiiiiiimiiiiiiiiiiiiiiiiiiiii va che quella < sdolcinata > canzone divenisse l'inno marziale tedesco; ancora meno gli garbava Lale Andersen, nel cui incartamento — come risultò da una rapida inchiesta — figuravano amici e impresari ebrei. Non passò molto che la beniamina dei soldati si sentì stringere intorno la rete della Gestapo; rete che si chiuse allorché la Andersen, venuta in Italia a cantare per le truppe tedesche, sollecitò con varie lettere (ingenuamente affidato alla posta militare) l'appoggio dei suoi amici ebrei di Zurigo e, non ottenendo risposta, tentò di passare in Svizzera. Rimpatriata d'autorità, tenne testa coraggiosamente al segretario di Stato, Henkel, quando le sventagliò sotto il naso quelle compromettenti lettere, e osò persino sbattergli la porta in faccia; ma, di ritorno a casa, per sfuggire al campo di concentramento, ingerì un intero tubetto di Phonodrom. Sarebbe morta se gli agenti della Gestapo non fossero venuti a prelevarla prima dell'alba e se, nei tr<5 fiorai successivi, i medici dell'ospedale non avessero tentato l'impossibile per salvarla, dietro « ordine superiore >. Goebbels, non del tutto sciocco, si era prospettato le conseguenze d'una repentina scomparsa della donna-simbolo, la cui voce risuonava come la voce stessa del focolare lontano per milioni di combattenti; e aveva deciso di evitarle. Lale fu dunque strappata alla morte per veleno, ma condannata a quella per fame. In pochi mesi, altri < ordini » draconiani la condussero alla disoccupazione e a una squallida indigenza. La lanterna dei soldati si sarebbe sicuramente spenta, senza una falsa notizia trasmessa dalla radio di Zurigo e poi da quella di Londra; le quali segnalarono al mondo che Lale Andersen languiva, prossima alla fine, in un campo di concentramento. Goebbels fu costretto a smentire e, per evitare che la Andersen morisse davvero, a riaccordarle 11 permesso di cantare. Ricca e adulata Le peripezie della cantante ebbero un seguito nel dopoguerra: festeggiata dagli americani e accusata di collaborazionismo dagl'inglesi, processata e assolta (invece il suo amico Norbert Schulze dovette pagare un'ammenda di « denazificazione): tremila marchi, dei quali però si rifece largamente incassando enormi diritti d'autore per Lili Marlen ripetuta 600 mila volte dal '48 al '50 nella sola Inghilterra e che è stata lo Schlager della seconda guerra mondiale, come Tipperary lo fu della prima), Lale Andersen non riuscì ad abbandonare 11 ruolo di protagonista. E si può dire che lo conservi tutt'oggi, benché non abbia assunto né 1 modi, né le pose di una diva. E' ricca, adulata e gode di un'immensa popolarità: ha un suo cl«f>, il «Lili Marlen > di Zurigo; ha un film ispirato alla sua vita, un impresario personale, Rummert, e, dal giugno '49, un se condo marito, il musicista sviz zero Arthur Beul, che compone canzoni esclusivamente per lei (la sua più recente fatica è l'adattamento di Die kleine Nc—vZflsngM iiiimiiiiiiiiiiiiiiiiiiniiiiimiiniiiiiiiiiiiiii Nacht musile, la piccola musica notturna, di Mozart). Poi ha tre case, sovraccariche di angeli scolpiti — la sua manìa — fra le quali divide le rare vacanze: quella del marito a Zollikon, sul lago di Zurigo, quella dei tigli a Monaco, e quella dell'isola di Langeoog. fra le ventose brughiere della sua fanciullezza. Intanto, siamo arrivati. Le luci al fluoro di Amburgo, gialle, rosse, verdi, bucano la foschìa sotto di noi. Dal finestrino, Lale Andersen fruga con gli occhi in quell'immenso arazzo, come per cercarvi qualcosa: forse, penso, tutte le piccole fisarmoniche del parto, 1 piccoli bar, le piccole lanterne e le Fascile Lola, le Lola di tutti, del suo repertorio. Clara Grifoni La cantante Lale Andersen