Sergia Celibidache all'Auditorium RAI

Sergia Celibidache all'Auditorium RAI Sergia Celibidache all'Auditorium RAI o i i i i o a i i , n i «• 0. ti a0e00. se x ra b ni el i n i ea i 11 e a iro i rit. a di o ea b t S. at i i 0 le rd li re 0 th 0; o a0; a oNon è stato superfluo osservare ancora, e più volte, i modi della concertazione, dell'interpretazione e della direzione dell' ancor giovane maestro Sorgiti Celibidache. il quale da circa un decennio raccoglie per lo più applausi straordinariamente clamorosi insieme con lodi molto caute. Non è stato superfluo a chi voglia ragionare, perchè quei suoi modi risultano infatti diversi e talvolta antitetici. Un dato è certo: la musicalità, come disposiziono ai fatti sonori e capacità di psicologica ricettività artistica. Si avverte subito che il suo fare non è meccanico, indifferente, scientifico, ma deriva dai moti dell'arte e li riflette; è l'attivo compiacimento di sentire e far sentire l'opera. Che tale virtualità si attui bene o sregolatamente è un'altra specie di considerazioni. Anche certa è la preparazione tecnica, sia quella fondamentale, sia quella elevata. E' evidente che la pagina della _ partitura, cui l'occhio non più ricorre neanche durante le prove, gli resta fortemente impressa nella memoria, sicché i cenni per l'intervento dei singoli gruppi o strumenti son oronti. sicuri, immancabili, e nche quelli che sorprendono n errore, o che modulano la .linamica. il ritmo e il fraseggio. Ed appunto il fraseggiare, l'esigenza della cantabilità, è un indizio positivo, che dovrebbe garantire, come avviene nell'esercizio dei migliori, il passaggio costantemente felice dalla illuminata pratica del concertare all'atto spirituale dell'interpretare, che si realizza nella sonorizzazione. Questo passaggio è, nel caso del Celibidache, discontinuo. E francamente, non si saprebpe attribuire a questa o a quella causa l'effetto sgradito. Mentre l'interpretazione della Quarta Sinfonia di Schumann coincise con le autentiche, specifiche espressioni del dramma sentimentale, rivelato e pur contenuto, effuso e nobilmente infrenato, con impeti mai smisurati, l'interpretazione dell' Jji-compiHfa non mancò di sfogo canoro e di alcune proprietà liriche di Schubert, ma attenuò, specialmente con certi pianissimi sfibrati, quella semplicità che tanto è piena di passione da sembrar complessa; un candore virginale, una nubecola d'incenso, apparivano estranei a quel mondo d'immateriale realtà. Ora, la sottigliezza, diremmo, di questo turbamento non consente di muovere all'interpretazione del Celibidache l'accusa gravissima di arbitrarietà, di antistoricità, che s'ha da ripetere oggi contro tanti arroganti e strampalati disfacitori della lettera e dello spirito. E pur è da notare negativamente. Squilibri, e non lievi, furono poi da deplorare nell'esecuzione della Jifarcia ungherese di Berlioz e dell'ouverture Tannhùuser. Quella divenne un putiferio, esplodente, eruttante; questa un mollame, Venere infrigidita, Elisabetta biasciante, i Pellegrini strasciconi, fra gli ottoni a volte fragorosi. Non è antistoricità, dicevamo, ma oscillazione fra l'esagerazione e la negligenza del caratteri dell'opera; l'attenzione del direttore sembra talvolta sperdersi nella ricerca di minuzie soverchie, e, atterrita, ricercare i fili della salvezza in un rigorismo estremo. La struttura dell'opera e la rettitudine dell'interpretazione ne son danneggiate. D'altra parte il bighellonare d'Un americano a Parigi fu ben rievocato. Gershwin, si obbietterà, non presenta proble mi di stile. D'accordo, ma ne presenta Vivaldi, e il Celibidache mostrò d'averne notizia, concertando, quando potè, il Concerto (edizione Ricordi, n. 69, revisione G. F. Malipiero), nel quale degnamente emerse fra i pochi archi e il cembalo la corretta e brillante violinistica di Armando Gramigna. E ne presenta, e quanti, J. S. Bach, di cui finalmente venne una Cantata, non fra le eccellenti, quella convenzio nalmente intitolata Actus tragicus; e anch'essa, concertata lestamente, parve corretta e ligia; vi collaborarono l'ottima contralto Hilde Rossl-Majdan già espertissima di Bach, il tenore G. Pace, il basso M Petri, e il coro ben istruito dal maestro Maghini. Riferite, fugacemente, le osservazioni della concertazione e delle interpretazioni, resta un accenno all'atto del dirigere, il quale è stato ed è oggetto di commenti, che non converrebbe provocare. Commenti nei giornali, (ricordo un arguissimo profilo del Vigolo nel •Mondo) e anche verbali. Martedì sera, durante'la pausa, alcuni buontemponi rifa cevano le «mosse» con le quali il direttore aveva accompagnato la Marcia di Berlioz Vecchia istoria. Già nel '600 il Gantez derideva i maestri di cappella < che dimenano il di dietro e la testa come la cornacchia che abbacchia le noci », eccetera. Anche se immediate, involontarie, inavvertite quelle « mosse » sono importune e inopportune. Durante la Marcia di Berlioz gran parte del pubblico era attratta da quello « spettacolo », distolta dall'opera e dall'interpretazione, e alla fine proruppe in acclamazioni formidabili. Simpaticamente l'ospite rumeno re stava fra gli orchestrali, collaboratori disciplinati. Che importa se la quietudine dei gesti in altri pezzi non abbia destato altrettanto clamore? Di applausi ce n'erano tanti da rendere felice e orgoglioso il più scrupoloso e devoto in terprete. A. Della Corte MPcnc.lobcplslGqnvcdscqzmstpcPslcamlmngcrCdltdudnctcrscA€HmRsFass

Luoghi citati: Parigi