Papini salva il Diavolo

Papini salva il Diavolo Papini salva il Diavolo Qualche anno dopo la fine della guerra, allorché imperterrito e spavaldo Giovanni Papini si riaffacciò alla ribalta porgendoci le false lettere di un papa immaginario, esclamali — Basta! — La letteratura non aveva più nulla a che fare con lui; le sue capriole e i suoi lazzi politici e religiosi, ci avevano nauseato. Padroni gli stanchi lettori superstiti, e libere le nuove generazioni, di abbeverarsi a una fonte che sembrava diventata, per usare un'immagine tommaseiana, il piscio di un tapino. Noi stavamo alla larga, trovandocene benissimo. Senonchè l'astuzia reclamistica dello scrittor toscano ci riservava un'ultima girandola: quella di sostenere, in uno zibaldone vuoto e noioso, intitolato // diavolo (Firenze, Vallecchi ed.) la tesi eterodossa della salvazione di Satanasso. Badate che tutto il giochetto si fonda su di un'argomentazione placida e innocua dell'abate Rosmini, il quale ragionando con logica sostenne che, se Dio è davvero onnipotente, non si vede perchè, qualora lo voglia, non potrebbe anche modificar la sorte finale del /gtpfidncFClrtdmi/dsslgsmddaqltstLpospctdgrsvddtphtepDcgmfbddrnaPdiavolo. Attorno a questo ram-|rpino, il « poeta » Papini dà fiato alle trombe della sua mistica, lo inzuppa nella teoria dell'Amore universale e chi si contenta gode, chi si scandalizza, dà battaglia, tomi teologici alla mano. Morale: lo scopo, cioè il chiasso, è raggiunto. Purtroppo, per toccare questo bel risultato Papini ha impiegato quattrocento pagine, obbligandoci a leggerle, com'è nostra abitudine, coscienziosamente. Ferrati più di lui in storia letteraria se non in testi clericali (ma quelli ch'egli adopera, corron le strade) ci sarebbe facile imbottire con molti pittoreschi, esatti e completi richiami, i dozzinali cenni della sua scorribanda. Ci piace invece estrarre dallo zibaldone qualche pensierino singolare, per esempio la deplorazione (p 205) della «senile tracotanza con cui uomini di scarso intelletto e di mediocre animo si arrogano il diritto di dominare e guidare popoli e nazioni e li conducono alla schiavitù e allo sterminio », che — forse — può apparire una ritrattazione del suo nazionalismo mussoliniano del '43. Del tutto attuale il servizio anticomunista di dieci anni dopo, ossia l'attacco al paradiso in terra, stolta pretesa di « coloro i quali immaginano e promettono una convivenza perfetta e felice in questa vita, sia pure in u 1 remoto avvenire, cioè gli utopisti, i visionari, i messianici materialisti, i sognatori di un Eden sociale» (p. 196). Costoro, Papini ammonisce, «sono ispirati, lo sappiano o no, da Satana. Il quale ha escogitato anche queste fantasie perchè gli uomini non si curino più della loro vera destinazione oltremondana, e sian condotti, perciò, ad abbandonare il Cristianesimo ». Peccato che l'Eden sociale, resti dunque privilegio di buddisti e musulmani: chiuso agli europei, aperto agli asiatici e agli affricani. Discorso che si conclude in un capitombolo. Beninteso, ai bassi servizi politici corrispondono altrettanti bas si servizi letterari. Impariamo da Papini che Leopardi, bontà sua, fu «a momenti, grandissimo poeti » (p. 240) però «mediocre e non originale pensatore » e che il suo abbozzo di un inno ad Arimane « è fanciullesco e contraddittorio, come tanti altri suoi tentativi filosofici ». Ripudiamo quindi il recanatese a profitto di un certo Tirinnanzi, che confe zionò Giuda come Papini rimodella il diavolo e, rispetto parlando, il Padreterno. Nessuno di noi oserebbe, per decenza intellettuale, sfoderare un Dio ateo (p 96) e tentatore (p. 102): sottigliezze puramente verbali, aggiungiamo, colpi di gong. Il diavolo di Papini è in sostanza libro così poco serio da collocarlo in compagnia di Satan conduit le bai od altre fabbricazioni parigine ad uso delle ani me semplici. Persino il poema di Mario Rapisardi, Lucifero, che egli mostra di non conoscere che è invece divertentissimo, specie nella edizione illustrata del 1887 in cui Lucifero in maglia carnicina, con raggi dietro il capo, ali spioventi, e una fiaccola accesa in mano si trastulla con amabili creature seminude e di rotonde elastiche forme dopo un rapido e sconclusionato corso di storia universale e di filosofia positiva, sconfìgge il suo rivale e rivolto all'uomo incate nato grida: — Levati, il gran tiranno è spento! — è più ricreativa lettura. Io davvero non «o a che serva // diavolo: ai curiosi della materia, no, perchè immensa e tenebrosa, si presta ben altre ricerche e meditazioni storiche e letterarie. Alle anime religiose, spero neppure, a meno si accontentino di una dottri netta malsicura. La strega di Michelet, lo studio di Antonello Gerbi sul Peccato di Adamo ed Eva, i saggi di Praz su La morte la carne e il diavolo nella letteratura romantica, offrono copiose prospettive: qui, c'è una cascarilla di capitoletti, di noterelle da enciclopedia da quattro soldi qualche insinuazioncclla verbale per far figura o meglio stuzzicar l'attenzione dei distratti, otto illustrazioni di seconda mano, e in appendice un radiodramma: // diavolo tentato. Fondi di magazzino. Anche 1 temi più poetici, come quello di Lilith, la prima moglie di- Adamo e « La fille de Satan, la grande femme d'ombre - Cette Lilith qu'on nomme Isis au bord du Nil » di cui Hugo si servì più volte nella Fin de Satan, sono ignorati. Facciamo pure, come Emilio Cecchi, che dopo tanti anni dalla famosa stroncatura della « sora Emilia » s'è preso, giustamente, la rivincita sull'antico sodale della Voce, la parte all'età, alla malferma salute, al dover dettare in luogo di scrivere; resta che // diavolo è davvero un'opera indegna di Papini. Verso il quale si può, anche acerbamente dissentire; prendere o no per buona la sua conversione del dopoguerra 1919: irritarsi per la disinvoltura delle frequentemente mutate opinioni. Però nessuno ha diritto di dimenticare le qualità dei suoi primi libri, la toscana abilità e abbondanza della prosa, qualche spunto poetico, la genialità a sangue freddo di tanti atteggiamenti. Purtroppo, i dubbi sulla serietà del suo temperamento, che nacquero al tempo di Lacerba, si sono andati sempre più confermando. E per tempe o il non credere nella fede cristiana, il servire o il non servire a romana curia, ma proprio la passione artistica. Con l'andar (egli anni, tutti si sono accorti che, novello Pietro Aretino autore della vita della Madonna e i quella della Pippa, Papini non dava importanza alcuna al « soggetto » prescelto, bensì alle variazioni che attorno ad esso costruiva. Soltanto che questi trilli queste declamazioni in prosa, virtuosità già palesi nella Storia di Cristo, hanno man mano perduto potenza, calore, volume, e 1 canto a gola spiegata è diventato un biascicare e borbottar parole. Correndo ai ripari, Papini ha all'affievolirsi della vena, contrapposto l'audacia del soggetto: esaurito Gesù Cristo, s'è volto a papa Celestino VI, e adesso al Diavolo. Lo aspettiamo Anticristo e magari al ritorno alle giovanili bestemmie; per ora, anhe Satana gli è diventato in mano una pappa molle, tanto da farci preferire il Lucifero bellimbusto di Rapisardi. Il cui poema, e Papini nepput di ciò si è accorto, fu parodiato da Corrado Ricci e Olindo Guerrini nel Giobbe, ed è appunto nel prologo del Giobbe che si assiste alla riconciliazione fra il Padreterno e il diavolo: Nel silenzio Lucifero fé un ormo Avanti e con la voce profondissima volto all'Eterno: — Come stai? — gli {chiese — Puh, Don c'è male — gli rispose il [Padre S tu, sta bene? — Starei meglio, — '' ' [disse Lucifero, se tu non permettessi Al poeti per ridere, di darmi la berta in versi sciolti... Nell'inferno in cui certamente dimorano, i due bolognesi- Ricci e Stecchetti, debbono concedersi una fregatina di mani pensando di aver previsto e sepolto in anticipo Il diavolo di Papini, senza bisogno di rispolverar il calvinismo (che sarebbe semmai giansenismo), di disturbare la dottrina dell'Eterno Amore, e tutto un arsenale teologico. Arrigo Cajumi ramento intendo non il credere Stimi limilllllllllllllllimmil mi

Luoghi citati: Emilia, Firenze