Meritò Paslonchi il nome di «poeta»?

Meritò Paslonchi il nome di «poeta»? Meritò Paslonchi il nome di «poeta»? è- Francesco Pastonchi ha voluto sulla tomba in riva al suo mare ligure il titolo di poeta: semplicità orgogliosa. Sentiva di esserlo, di meritare il titolo che in vita portò, come nessuno dei tempi nostri, sonoramente. Ma in quale misura gli compete? La fama dell'artista fu grande un tempo presso un vasto pubblico: ma vi concorrevano equivoche ragioni di popolarità, cronache e leggende sue personali, un'aristocratica bravura, una cultura incline alla mondanità, e una invidiabile attitudine alla dizione. Una dizione, secondo orecchi più fini, potentemente metallica e scultorea, ma alquanto estrinseca all'intima sorgente, alla pura autenticità delia poesia recitata; e, poiché sempre più è .ero che l'uomo è in ogni suo manifestarsi interamente uno, altrettanti esteriore e decorativa fu, nel complesso, la produzione di Pastonchi. I critici se ne accorsero subito, dopo la felice stagione giovanile di Belfonte, e sospettarono un certo vuoto, una poesia senza vero cuore, una prepotente vocazione accademica; e lo abbandonarono. Furono anche duri a deridenti nei suoi confronti; di scherzi e punture son piene le loro carte, anche se, dobbiamo riconoscerlo, l'uomo si offriva facilmente al bersaglio. Pastonchi fu « elefante canoro » per Renato Serra, e perfino il poeta Gozzano dovè ripudiare in lui il « cerretano i> alla ribalta. Disdegni, irritazioni di natura piuttosto aneddotica e giornalistica; ma insomma voci in difesi, considerazioni più attente non si espressero inai più, certamente fino ai Versetti. Le antologie che dal primo dopoguerra al secondo han tentato di sistemare quel periodo di confluenze poetiche fra il nuovo e l'antico intorno al primissimo Novecento, lo hanno sempre escluso; segnando nei crepuscolari e nei futuristi il primo urto con i vecchi maestri al tramonto e anche cercando alla poesia moderna di Ungaretti e .Montale una linea di appoggio sulla tradizione, Pastonchi rimaneva necessariamente fuori, confuso, sia pure a torto, fra gli epigoni carducciani e dannunziani. Io credo che ci sia un solo modo per avvicinarlo meglio, ed è quello di studiare più a fondo (il Calcaterra avviò meritamente questo lavoro) il periodo della formazione e dello sviluppo di quella società letteraria torinese che, all'alba del secolo, si mostrò vivacissima di propositi e di battaglie « contribuì a liquidare certa fioritura parassitaria del virtuoso eloquio poetico, del patriottismo celebrativo e dell'umanitarismo inconcludente. In mezzo a quei gruppi, per la sua parte di giovane maestro d'arte e con un suo rilievo d'esteta, c'è Pastonchi. Restò in lui, certamente, una chiusa fede nella magìa, addirittura nel fato indistruttibile degli antichi valori formali, ma il suo tirocinio d'imitazioni finì abbastanza presto, e l'arte di Pastonchi trovò tutta la possibile forza di rinnovamento in un più consapevole e tenace lavoro di officina. Fu questa la sua serietà e, in una certa ristretta misura, la sua strada originale. C'era anche in lui un sentimento tenero, schietto, famigliare degli aspetti della natura, dei beni semplici eppur miracolosi offerti giornalmente dal mondo e dei gesti e ricordi dell'amicizia; c'era, nella sua inclinazione al perfetto decoro esteriore, anche una tenue vena di dimessa umanità. Accade di incontrare persino fr; le strofe più solennemente voltate un che di confidente che genera uno strano impasto, una mescolanza che, direi, rivela una poesia tipica di transizione. ( Via « Albergo dei poveri »... Che pa ce!... C'è ancora il carbonaio, con la pigna — per insegna, e la stri scia che attraversa — di nero il marciapiede? — * presso la finestra semiaperta — la donnetta col gatto?... Questo, in una canzone a Genova, fra le Italiche: sotto le tinture, un fresco di calce). La rottura operata dalla poe sia nuova, in zone psicologiche • sensitive più sottili e tormentate, indici, anche, di un corso più avanzato della cultura, trovò in Pastonchi una curiosità fra il diffidente e lo sprezzante, una profonda estraneità. Della sua costante e agguerrita polemica a favore del verso, della rima, non rimane naturalmente che un utile significato: l'invito ai poeti di oggi a faticare di più, a sentire nella dignità di un mestieK' superbamente arduo una via di uscita da facilità spesso scipite. Null'altro. Ma la poesia nuova fu, comunque si giudichino esperienze e risultati, approfondimento di tecniche e di parole e, insieme con quelle, di sentimenti; e in Pastonchi il sentimento del mondo rimase sempre uno: un bell'esterno di immagini chiare, un ecfgdigczBuficGsmrspafapSfspi effetto piacente e superficiale di cose docili, concrete, sensuali, frivolissimo nei rilievi umani, gentile e commosso nelle rispondenze della natura (la Liguria, ii Piemonte, il Canavcsc, le stagioni, un'ora, una parvenza...). Fu chiamato un parnassiano: definizione vecchia con vecchia parola. Bisognerà tuttavia ripercorrere un poco il cammino compiuto, fino agli Endecasillabi {Apollo caduto è rimasto, non finito, fra t carte, e dovevan essere le sue Grazie, vive, speriamolo, anche solo in frammenti); e sia il primo passo serio e utile quello di raccogliere in un libretto scarno, severo una trentina di poesie, più alcune prose di memorie e alcuni antichi scritti di critica formale (piacevano a Croce) e altri recentissimi dello stesso tipo, più complessi, fini, pensosi. So che gli dissi una volta di farsi una sua « selva » delle cose scritte ed egli ne era già persuaso. Franco Antonicelli iimiiiiminmimiiiiiinniimiiiimmiiiiiiinmii

Luoghi citati: Genova, Liguria, Piemonte