Il racconto degli scampati di Gino Nebiolo

Il racconto degli scampati Il racconto degli scampati Quattro giorni d'inferno: a 40 sotto zero in una tormenta implacabile - Vana attesa d'una schiarita e momenti di disperazione Finiti i viveri - L'estremo tentativo - Arrivano i salvatori: non fanno domande, sono solo contenti di averli ritrovati in vita (Da uno dei nostri inviati) Domodossola, 29 dicembre. < Sforno vivi. Il Cervino è sta. to terribile con noi, mo non ci ha avuti. Per convincerci che siamo vivi, ce lo stiamo ripetendo dalla notte scorsa, e ce 10 ripeteremo ancora per un pezzo». Queste le prime parole di Ivo Alderighi, uno dei due alpinisti scomparsi sulla cresta del Furggen il giorno di Natale, e ritrovati la notte scorsa dalle cordate di soccorso. Alderighi parla a bassa voce, con un entusiasmo controllato Più esplicito è, invece, il suo compagno di avventura, Piero Malvassora: ha le mani e i piedi fasciati per un principio di congelamento, ma i suoi occhi scintillano. E' la gioia del redivivo, perchè Malvassora, per lunghe notti, ha sentito il sapore amaro dell'agonia, e ha disperato. Ora è salvo. Sul treno che da Briga porta a Domodossola, i due protagonisti dell'incredibile vicenda viaggiano con i loro sette salvatori: le guide del Cervino Jean Pellissier e Rolando Zanni, e i torinesi Bo, Rossa, Mai, Fornelli e Bauchiero. Mai e Zanni hanno un principio di congelamento alle dita del piede destro, ma la loro allegria è sullo stesso tono degli altri. Anche Pellissier ha una mano dolorante e fasciata per il gelo. A Domodossola i nove scendono dal treno e chiedono da mangiare: hanno fame, da più d'un giorno non hanno fatto che ingollare limonata e cognac. Alderighi prende sulle spalle l'amico Malvassora e lo porta con fatica nel più. vicino ristorante. Tutti gli altri dietro, stanchi. A tavola le forze tornano, e la voglia di raccontare. Mentre Malvassora è chino su un enorme piatto di prosciutto (<.Ne avevo dimenticato il sapore e 11 colore in mezzo alla tormenta >), ^Alderighi si mette a chiacchierare, con semplicità. E' il racconto di quattro giorni d'inferno: « Alle cinque del mattino di Natale eravamo sulla porta della funivia. Il tempo era splendido e il Cervino sembravo- più invitante tifi solito. Avevamo deciso da settimane quest'ascensione, e l'occasione ci era parsa veramente propizia. Uno dietro l'altro, sotto il peso dei sacchi, ci siamo avviati. Alle otto abbiamo "attaccato » la prima spalla. C'era molta neve, si affondala. Alle I2.S0 abbiamo raggiunto il traguardo, e dopo un brevissimo riposo eravamo già sulla seconda spalla. « fi qui che comincio il maltempo: i primi segni sono vento, nuvole basse e un po' di nevischio. Alle 11,30 decid-amo di dirottare verso la Capanna Solvali. Ma la notte ci sorprende a circa 300 metri dal rifugio. Improvvisiamo un bivacco, dormiamo alla bell'i meglio...>. Aldtrighi si fruga in tasca e ne trae un taccuino. Su quel libretto, ora per ora. ha segnato i moment della sua avvenuta t Ini notte è relativamente tranquilla, ed alle otto partiamo per la capanna, effettuan¬ do la traversata della parete est. Non è facile dire con parole che cosa sia stata quella traversata. Non avevamo paura, perchè eravamo allenati e allegH. Ma le nuvole ci toglie* vano la visibilità, la neve ci imnediva di camminare, nascondeva precipizi e burroni. Stavamo ricini, ogni tanto ci stringevamo la mano. Basta... Alle 11.90 siamo entrati nella Capanna Solvay*. E' nella capanna che Malvassora accusa i primi segni del congelamento. Si copre, si fascia, ma il freddo è atroce 'sfiora i 1/0 sotto zero). 1 due sono ansiosi di uscire, di continuare la loro ascensione. La immobilità li prostra. Ma nella notte la bufera si fa terribile, e la neve frusta le pareti della capanna, il vento la scuote. I due sono giovani (Aiderighi ha SS anni. Malvassora 2(5) f non hanno perso il coraggio: tuttavia l'ottimismo co. mincia a mancare. Tentano di dormire, ma hanno sempre gli occhi opalancati. Chiacchierano, finché viene giorno. E' domenica 21. La tormenta continua P'ù rabbiosa. « Pensavamo ai nostri parenti, certo. Alla loro apprensione, alle loro angoscie. Ma non avevamo il coraggio di nominarli ad alta voce. Continuavamo a dire cose futili, a tentare di scherzare. Passammo tutta la domenica nella capan na. I viveri che avevamo portato von noi erano quasi finiti Ce n'fci'a per un pasto, forse per due. razionandoli con rigore. Stavamo avvolti nelle coperte trovate nella capanna, in attesa di una schiarita-». Il pericolo di morire assiderati. Il congelamento di Malvassora, che minacciava di estendersi in altre parti del corpo. Il terrore di dover rimanere due, tre, dieci giorni, forse per sempre, nella capanna, senza che le guide di Cervinia e le spedizioni di soccorso potessero raggiungerli. E la fame, il freddo. L'uragano chr sconvolgeva il Cervino sollevava nuvole di neve e le faceva turbinare tutto intorno. Una notte interminabile, quella di domenica. < Avevamo previsto, come tutti gli alpinisti che si accingono a una, impresa in stagione difficile, ogni difficoltà. Ma queste difficoltà che la natura ci aveva creato non erano pensabili. Finalmente, verso le 9 di lunedì mattina, il cielo parve schiarirsi un poco, ma restava^ no il vento gelido, i 35-40 sotto zero, e certe nuvole opache e spaventose. Eppure bisognava tentare di raggiungere la capanna Hòrnly. verso la Svizzera. For aggiù avremmo trovato qualcuno, e qualcosa da mangiare, e qualcosa per coprirci. Forse, se avessimo potuto arrivarci.. ». E uscirono sul piccolo terrazzo antistante la Solvay. Malvassora era in condizioni di potere camminare per tante ore, su un terreno insidioso, ghiaccio ricoperto di nevef Cominciarono a scendere. Fu in quel momento che le guide Pellissier e Zanni li scorsero da lontano. Pellissier con gli altri soccor ritori era partito da Furggen ieri alle 7. Un gruppo composto da Zanni, Fornelli, Bauchiero, con gli sci, aveva cominciato 'a ascesa da Plateau Rosa. I due gruppi si erano poi rinconynmti, dopo mezza giornata di affannose e inutili ricerche, alle H nella capanna Bornly. Fu per un puro scrupolo che Pellissier decise di suddividere!la spedizione in due cordate:\egli,"francamente, non sperava'più di trovare vivi i due alpi- nisti. Forse non sperava nep- pure di ritrovarne i corpi, do- po la bufera del giorno pie- àedente. E le due cordate sa- lirono verso la Solvay, viene di scetticismo: infatti la capanna era ben visibile, ma non c era nessun segno di vito lassù, ^a porta chiusa, non uno strac- \ ciò si agitava dalla finestra (e I invece t due alpinisti erano,ancora dentro, intirizziti, affa-\mati. incapaci di muovere uni passò) Poi. mentre Jean Pel-1 lissier saliva, notò qualche co- sa che lo sconvolse. La porta della capanna lontana si spa- \lance e. barcollanti, ne uscir\rono due uomini. Erano loro.\Non erano morti. Bisognava raggiungerli al più presto, pri-[ma che le forze venissero a'mancare del tutto a quegli\infelici, e che su di essi non scendesse l'agonia. ]I coraggiosi soccorritori, spinti dalla frenesia di fare ipresto, superarono se stessi.!Da parte loro, i due alpinisti,avevano scorto le cordate, siìagitavano, urlavano, sventola- vano una coperta. Malvassora ie Alderighi. in quattro ore di\tentativi, non riuscirono a scendere, dalla paurosa parete che di tao metri: le due guide, con Rossa e Mai. sospinte da forze rinnovate, giunsero sotto la Solvay. Quelle quattro ore furono piene di incubi, di scorangiamenti. di improvvisi entusiasmi: guadagitando il ghiacciaio e la roccia a palmo a palmo, i salvatori riuscirono ad abbracciare Malvassora e Alderighi. Tentarono di sorridersi, ma sul loro volto si leggeva il terrore E cominciò la discesa. < La mia notte più allucininfe», commenta ora Jean Pellissier La tormenta si rinnovò, moltiplicata, sferzando il gruppetto di disperati; il freddo scese ancora Zanni si trovò con i piedi formicolanti, e po co dopo anche Mai (un princi- pio di congelamento per fortuna non molto grave). Alla luce di una pila tascabile, un fiocJifssimo lume, Pellissier, in lesta alla cordata, apriva la strada. Una patina di neve sul ghiaccio rendeva quasi impossihiìe cammino. Prima di fare presa sulìe iastre di ghiacci0 t ramponi dovevano fare breccia ,„ trenta, cinquanta centimetri di neve, »t„0„„„„ „„,,„,,„. .,„„,„ ,„ ' ceva , barcollare gli uomini, °9>" tanto uno di essi scivolava * »" energ co strattone dei componi lo rimetteva in pief ; F.» »«•«• 'osi, Perotto ore: 'ra " continuo precipitare di ™ormi banchi di neve che si staccavano al minimo contatto. Finalmente, alluna di not bussarono alla porta della Capanna dell'Hòrnly. Pellissier entrò per primo e disse agli altri: < Sono salvi. Vivi. Per fortuna». E andò a stendersi su una coperta, addormentan- dosi subito, Bo, Rossa e Mai, amici dei protagonisti delle quattro ter ribi/i giornate sul Cervino, feCero bere qualcosa di caldo a Malvassora e Alderighi. Ma „0„ fecero domande. Nelle ore di paurosa cordata avevano rapito che cos'era, stata l'avventura del due alpinisti. Ed erano contenti di averli strappati alla morte, mentre già a Cerxnnia e a forino si piangeva sulla loro tragica sorte. Stamane scesero m gruppo fino a Zermatt, per una telefonata a casa. Poi proseguirono in treno per Briga e per Domodossola. Nel ristorante di Domodossola, i nove tutti insieme sembrano quasi reduci da una tranquilla gita in montagna, se non tosse per quelle mani e quei piedi fasciati, e per la ruga che Alderighi ha '•lilla fronte, e gliela taglia in metà, il segno del dolore e dell'angoscia, ali è nata in questi giorni, e forse non se n'andrà più. Gino Nebiolo Il Cervino visto dal versante svizzero. La linea nera Indica la via tenuta dal due alpinisti torinesi e la freccia 11 punto dove essi furono scorti l'ultima volta. La linea tratteggiata segna il percorso compiuto dagli intrepidi soccorritori Malvassora portato a spalle all'arrivo a Domodossola

Luoghi citati: Domodossola, Svizzera