Diamoci del tu

Diamoci del tu I NOSTRI CONTEMPORANEI Diamoci del tu Non è il titolo d'una canzone di Mascheroni; è una frase che gli italiani, così rapidi a passare dal « lei » al « tu », hanno smesso di pronunciare. '"*rmai si passa senza avvertimento alla seconda persona; vi si scivola spesso per slancio amichevole, ma talvolta per il gusto moderno di rendere le relazioni sociali sciolte fino alla gratuita abolizione d'ogni rispetto verso il prossimo. Nessuno ricorre più ai preamboli che davano una solennità rituale all'abbandono del « lei ». Un tempo si diceva all'amico con cui s; giudicava opportuno consolidare la confidenza: «Se siamo d'accordo, io proporrei... Io che sono il più anziano, domando l'onore... ». Questa rivoluzione del costume cominciò con la prima guerra mondiale. Nei miei ricordi data da un giorno invernale agli inizi del 1918. Il capitano di fanteria L. D., venuto a trovarci durante una sua licenza, descrisse la vita in trincea, la tortura degli insetti, l'eccitazione lucida dell'assalto alla baionetta. Però ne parlava con ironia. Quando ci raccontò di alcune fucilazioni, avvenute nei tri.:i giorni del 1917, ne parlò con freddo distacco e sorrise del pallore che quei racconti producevano sul rolovoil lumriinGfrsplitin«ncspstcrsptoddilrcdcvprdddvolto delle donne. Ma ciò chei^disse senza ironia e senza alcu- pm affettazione non riguardava!»Li guerra. « A tutto; — dichiarò, js— ci s'abitua; ad una cosa sola ' non so: al tu che, sotto le ar-j ami, mi dà il primo che capita, ssolo perchè abbiamo lo stesso | pgrado... ». « Del tu tra gente che non si conosce... Così all'improvviso, senza avvertire... » disse una del¬ le zie. « Così, senza avvertire », il capitano confermò, e aggiunse, di nuovo ironico, forse pentito d'essersi lasciato andare ad cdedasnsuna confessione che ora gli «Ks- Kpiaceva: «So d'avere torto, ma Mr. , c .«mm. da fastidio lo stesso ». Segui e» gun momento d impaccio; forse 1 0. ■ 1 ;„„ ppresenti, che per la maggior ' parte, anche se parenti ed amici, si trattavano col lei, temettero d'essere costretti ad un improvviso tu. «Tra amici, può anche accadere », mormorò a questo punto cmio padre pero senza convinzio- rne, lui che scambio sempre il ^«lei» con lamico più stretto che ; ebbe. Conosciutisi intorno ai vent'anni, nel trattarsi premettevano sempre il « signore » al nome; in seguito, cresciuta la confidenza, si servirono del casato; solo molto più tardi s'adattarono al nudo nome di battesimo. • Eppure anche se questa rivoluzione del costume italiano, che spesso costringe ad una confidenza per la quale l'animo non è maturo, risale alla prima guerra mondiale, essendo un aspetto mdel più vasto rivolgimento mo-fìij d: slaIddcmivcntPnmscrale che quel conflitto porto con.Asè, l'automaticità del «tu» co-;dminciò molto più tardi, conse-|iguenza d'abitudini soldatesche , cprolungatesi in tempo di pace,tnelle organizzazioni fasciste. Fin- echè, nel gennaio 1938, non co-Uminciò la guerra ad un nemico J eche gli italiani non avevano mai Lsupposto d'avere: la terza per- 'ssona singolare. j mEra stato pubblicato, in quei ggiorni, uno scritto di Bruno Ci-!cognani, autore del resto, non legato alla dittatura, nel quale si ^discuteva di costume, cosi come si fa anche oggi, spiegando ai lettori il carattere spagnolesco, del lei, l'accento più italiano del. voi e la schiettezza italiana del : tu Osservazioni che piacquero ad Achille Starace, segretario ' del partito fascista, e che con-1 vinsero Mussolini ad una di quelle riforme che, alterando su- ; perficialmcnte il nostro costume nazionale, gli davano l'impres- ! sione di poter cambiare a volontà la faccia del paese. Come sarebbe utile se il ministro della P.I. Segni, invece di proporsi d'inserire, nei corsi di storia delle scuole, le imprese meglio riuscite della dittatura, | ne facesse illustrare gli aspetti che ora paiono incredibili. Un corso sulla guerra di Mussolini contro il « lei » potrebbe molto utilmente aiutare i delle nostre scuole medie a risolvere il caso di coscienza che li inquieta e che si chiama « fascismo ». E non mancherebbero altri interessanti capitoli: uno sul razzismo, un altro sul passo romano, un terzo sui gerarchi costretti a saltare nel cerchio di fuoco; elementi del passato che, meglio di qualsiasi ragionamento, possono dare alla gioventù l'immagine d'un tempo poco conosciuto perchè sempre nascosto nelle contraddizioni naturali alla polemica politica. Fatto sta che gli italiani, costretti a darsi del voi, esercitarono un minimo d'opposizione ad un provvedimento che alla maggioranza sembrava assurdo, capriccioso, dandosi del « tu », Era un modo d'evitare che il governo mettesse il becco nelle faccende intime dei cittadini. Vecchi che fino ad allora avevamo trattato col reverenziale « lei », vollero che li trattassimo d:. coetanei. Nel Mezzogiorno, uomini che, stando alla tradizione locale, avevano sempre usato il « voi », si trovavano talvolta costretti ad avvertire : « Noi ce lo siamo sempre dati... » diventando rossi per il sospetto d'opportunismo che potesse cadérgli addosso. Ne derivarono equivoci da commedia. Gli editori di giovanetti - romanzi mentre telegrafavano ai loro autori di cambiare il lei in voi, si domandavano se era o no il caso di correggere scrittori illustri. Il franco « lei » di Massimo d'Azeglio corse un serio pericolo. Ma in questo campo ed in altri prevalse il buon senso. Gli equivoci, comunque, furono frequenti. Trovandomi in corrispondenza con uno scrittore italiano che. non per ragioni politiche, viveva all'estero, un giorni ne ricevetti una lettera col «tu » e col « tu » risposi, sebbene con un lieve impaccio. Troncata dalla guerra, questa corrispondenza riprese nel 1945. Restai dubbioso, cercai vecchie carte, poi continuai col « tu », ricevendo di 11 a poco una risposta brusca, Con un lei così tondo che ne arrossii. Forse in molti italiani, e può darsi anche nel mio corrispondente straniero, vi fu nel 1945 il proposito lodevole di restaurare il costume. E accadde ciò che succede sempre quando, dopo rivoluzioni e. guerre, si crede che basti un po' di buona volontà per tornare al punto di prima. Il « voi », è vero, sparì, restando solo nelle città meridionali, ma la fortuna del « tu » divenne definitiva. Il « diamoci del tu » scomparve, gente di ses i^ f'Yc,rso' e. '.c?ate sol.° da su" perforale amicizia, cominciarono !» 1uasi a Pnma vlsta jsenza impaccio. ' U « lei » in questo momento e j assalito da due fronti. Da smi stra, l'assalgono le moltitudini | popolari (socialiste, cattoliche o comuniste che siano) diffondendo sempre più un costume che esige franchezza di modi. Da destra, l'assalgono le minoranze aristocratiche dove il « tu » fu sempre facile, tra uomini e donne, tra giovani ed anziani, quasi a sottolineare una felice con- K^one di privilegio e una pari- M e' f «*• clJc * mezzo, la piccola e la media bor , . ' ' . . glcsia naturalmente, come scm 0 , . ' pre succede nel costume se non ' clin£ a, g w j, figlio delr raio che ha smdMQ nf)n rmun_ ^ ^ p0ssibilità di distinzione ; che a g,ei)) offfe mod; con c„j „„ costume farsi dcmocratic0i dicc. iNiIeìiii politica, cercano i modelli a j destra; quanto ai ceti popolari, : semmai, rischiano d'essere loro la conservare ancora l'abitudine Ideila terza persona. La moglie d'un operaio specializzato è in 11 fatale livellamento demo cratico consoliderà definitiva mente il « tu »? In verità c'è chi inclina ad una democrazia al li vello del proprio capo ufficio, e chi invece al livello del portinaio. Aldous Huxley in un articolo intitolato « Il francese di Parigi », apparso nel numero di novembre di Preuves (rivista mensile che ha legami con l'Associazione per la libertà della cultura), a proposito dei vari può « In .AmcriC3i y bifolco chiama il pa;drone miliardario Joe o Charlie. |in Francia, il discendente delle , crociate chiama mudarne la por,tjera... „ f? conclude: «Troppa - etichétta può seccare. Ma accaUe lo stesso per una familiarità J eccessiva da parte di sconosciu L „ pcr troppe manate sullo 'spaIle o per i nomi di battesimo j moltiplicati a caso da sciocc' i i giovinetti. Succede che in Fran-!eia si rimpiange il l'ar West lin bero 'e disinvolto. Mentre, nel i ^ar West, si rimpiange il M011e sieur e il Madame d'un'altra trai dizione democratica» Ed in o, Italia? Si rimpiange forse il bel l. « lei » con cui il pulcino di Coll : lodi, uscito dal guscio, si rivolo gc a Pinocchio: « Arrivedclla, o ' stia bene e tanti saluti a casa», -1 Arrigo Benedetti i (asvlLedLCnlzCgrrqaenssdsn«dSVsngra■iiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiMiiiiiiiiii iiiiiiiiiiiiiiim

Persone citate: Achille Starace, Aldous Huxley, Arrigo Benedetti, Mascheroni, Massimo D'azeglio, Mussolini

Luoghi citati: Bruno, Francia, Italia, Parigi