Per una vita di Croce

Per una vita di Croce NEL PRIMO ANNIVERSARIO DELLA MORTE Per una vita di Croce Sempre, a chi si proporrà di scrivere una vita di Benedetto Croce, alcune parole di lui saran presenti come una prescrizione, o almeno come un fortissimo dubbio, le parole scritte dal filosofo cinquantenne in un libretto il cui solo titolò è l'esplicita soluzione dello stesso dubbio, Contributo alla critica di me stesso: « la cronaca della mia vita, in ciò che può presentare di ricordevole, è tutta nella cronologia e nella bibliografia dei miei lavori letterari ». Egli, Croce, poteva solo abbozzare la critica, e perciò la storia del suo lavoro quale apporto al lavoro comune, la storia della sua vocazione o missione. E' certo che, nemico d'ogni vanità, egli aveva ragione, e quel suo breve scritto, sotto ogni riguardo, riuscì utile e stupendo, e così esemplare da togliere a ogni altro la voglia di parer meschino nella ricerca di semplici dati esteriori, di qualsivoglia importanza. Che non diminuisca mai tale riserbo! Eppure questa biografia si farà e dovrà esser fatta, non già perchè i pettegoli e i pedanti non mancano mai, ma perchè tale esigenza risponde al desiderio più naturale del mondo, all'infrenabile istinto della storia, di conoscere a fondo il rapporto fra ciò che è stato espresso e ciò che l'ha condizionato, fra quel che apparve visibilmente e le pieghe che l'ombra vi fece intorno, quasi a difesa o a vaghezza. La vita di un uomo grande è un paradigma e nessuno che abbia un animo generosamente altiero o generosamente umile rifiuterà mai di confrontarsi con quella, perchè di qui nasce una delle grandi, inalienabili ragioni che sospingono il mondo a salvare i valori individuali. Non oserei mai dire che a una biografia di Benedetto Croce si può attendere anche senza conoscere il suo pensiero, o magari solo dandone una notizia aneddotica o una descrizione notarile: in questo caso, fin la erudizione scadrebbe a dilettantesimo. Ma sono convinto che una simile biografia dovrebbe rispondere anche ad altre domande, per così dire di ordine morale, le quali scaturivano già ogni volta che ci si poneva dinanzi a quella vita inapparente eppure straordinaria. Fu una vita calma * sdrammatizzata al possibile, almeno fino alla maturità compiuta, e salvo le angosce giovanili: così si manifestò a tutti, quasi irritante nella sua olimpicità e come aliena da ogni miseria quotidiana. Senza fragori, senza tempeste; e ci fu chi naturalmente la paragonò a quella di un altro nume nazionale, che amò e odiò e fece battere i cuori, il Carducci. Ma, a parte il fatto che se una forza si comunica dall'umanità carducciana, a chi sappia coglierne il massimo pregio, è proprio quella che nasce dall'assidua, ostinata e regolata pazienza di studioso e di educatore, e che, d'altro canto, l'intimità di un Croce fu tutt'altro che priva, anzi ricchissima di un pathos singolare, a parte questi fatti dunque, bisogna pensare alle generazioni che il critico e filosofo ebbe la missione di indirizzare, a quello di cui esse avevano bisogno, ed era per l'appunto di correggere o moderare gl'influssi dei nuovi prorompenti romanticismi che ben sappiamo quali frutti ebbero a nutrire. Se l'Italia crebbe una generazione capace d'intendere i valori della semplicità, della serietà, dell'-operosità, senza interessi pratici che prepotessero, questo, in un'età dannunziana e fascista, non è stato merito che di Croce: del suo strenuo cursus, ma anche, direbbe un Bacchelli, della sua ironica vigilanza. Chi non ne profittò, suo danno e sua colpa. I giovani che si trovarono pensosi e con il batticuore delle vigilie dinanzi ai problemi del '43, e molti li affrontarono con una decisione che li portò all'estremo sacrificio, non negarono mai di essere suoi figli. La sua fu una vita fortunata? Si potrebbe dir di sì, per certi tratti esteriori. Anche se non a caso gli tornasse nello spirito il lamento di Carlomagno nella Chanson de Roland («.si péneuse est ma vie! »), senza dubbio la sua vita conobbe molti agi e tranquillità. Ma l'importanza è di saper essere responsabili della propria fortuna; avendola, di non farsene un avaro vantaggio. Si veda anche il solo caso della sua' rivista La Critica, riserva grandissima, sicuramente, dei suoi interessi e del suo affetto. Fu anche merito di Croce, o solamente fortuna, ch'essa non fosse distrutta come tante altre? Ma il suo creatore e direttore non ne volle profittare, con uno scrupolo così delicato che voglio riferirlo: « Me ne astenni anzitutto perchè in un paese in cui nessuno poteva parlare libe ramente non mi pareva buon s gusto che chi per fortunata combinazione aveva conservato una qualche libertà, ne facesse uso eccessivo, senza riguardo per i tanti che soffrivano di esserne privati affatto». La vita di Croce fu lunghissima. Un tempo si sarebbe visto in questo un segno di favore divino. Qualcosa di simile poteva pensare chiunque contemplasse stupefatto quella esistenza robusta, tenace, quasi indomita, dove non sì arrestava mai il pensiero, mai s'indeboliva la energia morale: durante la quale tutto fu detto quello che doveva esser detto da lui, e fatto quanto gli era consentito di fare.. Un modello di ordine, di disciplina, d'interno rigore: solo la nostra inettitudine ce la poteva rendere fastidiosa. Amiamo di più le vite romantiche? le vite troncate a metà, i destini incompiuti, i pensieri inespressi, le opere imperfette? Possiamo anche circondarle di tenerezza, come di tenerezza e indulgenza circondiamo i nostri e talora anche gli altrui difetti; non ne faremo mai un ideale fino a quando avremo dell' esistenza umana un concetto virile, cioè di quel che dobbiamo condurre a termine, nei limiti possibili del dovere, e non di quello che dobbiamo compiacerci di abbandonare per via. Se, in forma di epigrafe, volessimo trascegliere qualcosa di supremo nella lezione etica di Croce, io per me proporrei queste parole incisive nella loro cosciente e perciò, si comprenda il bisticcio, orgogliosissima umiltà: « Non posso far altro e debbo far questo »; il grande tema della vocazione-missione. In una biografia di Croce, dunque, io mirerei a mettere in luce gli emergenti significati di quel vivere come una forza naturale, nell'estremo espandersi di se stesso. Ma c'è poi tutto un periodo nel quale il Croce sconosciuto ai più, si scoperse, dal 1915 in poi e particolarmente, dopo essere stato per tanti anni come sentinella perduta (lettera all'amico Vossler, del '32) dentro e fuori d'Italia, dalla fine della seconda guerra alla morte, allorché egli fu, anche troppo per i malintesi che nacquero fra lui e il « pubblico », una sollecitata voce della nazione. Ecco una storia da scrivere: Ma a che cosa egli, prima di morire, non ha pensato? E' tutto pronto. Opere nuove inedite non più: quell'ultimo frutto delle sue predilezioni erudite, la Vedova del cinquecentesco Cini, è apparso in questi giorni, ma già perfezionato delle sue cure. Tutta la ricchezza inedita sono la maggior parte dei suoi taccuini di lavoro e l'epistolario: una miniera, che pure è un nulla, una scaglia del suo immenso lavoro. Una compiuta biografia si potrà avere dunque quando l'archivio delle sue carte sarà accessibile: sessant'anni dopo la sua morte, nel 2012? Intanto qualcuno, opportunamente, con la freschezza della memoria, ha avviato questo lavoro: l'ammirevole Nicolini nella Nuova Antologia, e il giovane esperto studioso Raffaello Franchini che ha steso le sue «note biografiche» (Ed. Radio Ital.) con l'aiuto estremo dello stesso Croce. Sono in entrambi linee vive e chiare che inquadrano elementi quasi per intero già noti. Ma trovo nel Franchini un accenno a un episodio del '43, riguardante una riunione da Bonomi infruttuosa per l'assenza di Caviglia, che non mi pare ben conosciuto: su questa strada c'è tutta una serie di ricerche e raffronti da fare. Abbiamo assistito al trionfo e anche al lento declinare delle dottrine crociane: più che naturale. Sarà, questo della fortu-n 1111:1111 m 111 n 1 m 111 m 1 n 111111111111 u 111111111111 u 11 na, un capitolo da aggiungere: l'importante fascicolo dedicato a Croce dalla Rivista di letterature moderne, quello che gli dedicherà la rivista diretta dal Flora, la raccolta di utili «saggi sull'uomo e sull'opera » edita dalla Radio Italiana, cui è da accompagnare quello del Parente intorno alla Critica e il tempo della cultura crociana (ed. Laterza), aiuteranno a fornire una idea del riposato pensiero dei contemporanei privati di quel Maestro e indotti da lui a comprendere che bisogna saper essere maestri a se stessi. I « coltelli » di cui Croce parlava con arguto vanto non servono più a nessuno? Rispondiamo riferendo a lui quel che egli scrisse nel chiudere il geniale « ghiribizzo » della pagina sconosciuta di Hegel: «Come che sia, Hegel ora ci appartiene; e che non ci basti è ovvio effetto del suo appartenerci e del possesso che di lui abbiamo, perchè il possesso di un pensiero vale solo in quanto prepara nuova vita e nuovo pensiero ». Franco Antonicelli

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