Quanto tempo ci vuole per fare una rivoluzione

Quanto tempo ci vuole per fare una rivoluzione L'ALMANACCO PARLANTE Quanto tempo ci vuole per fare una rivoluzione Café-chantant di Pietroburgo poche ore prima del colpo bolscevico • Uno scherzo di Roosevelt fece arrossire Churchill - Prolungare la dolce infanzia: le girls di cinquant'anni - Esempio di cattiva manutenzione, le rovine romane Ci discorreva dì Cina, tra ^ giornalisti che erano stati in Cina, in un piccolo bar di New York dove i giornalisti che si occupano di problemi esteri qualche volta si incontrano. Un giovane chiese a un veterano: «Quanto ci vuole per cambiare il carattere di un paese? Quanto ci vuole perchè una rivoluzione veramente muti 11 volto di un popolo? ». Il veterano glorioso avrebbe dovuto rispondere che il carattere di un popolo non muta mai, che le rivoluzioni richiedono decenni per trasformare non solo la retorica ufficiale e le leggi ma i costumi. Il veterano, George Sokolski, disse: « Poche ore. La sera prima che i bolscevichi si impadronissero del potere noi giornalisti mangiammo in un buon ristorante di Pietroburgo, serviti impeccabilmente, poi andammo al cafè chantant per tirare tardi, perchè tutti si sapeva che all'alba sarebbe successo qualche cosa. Là, chansonnier, comici, canzonettiste, scherzavano sui bolscevichi, che credevano di impadronirsi della Russia, uomini rozzi, incolti, senza una preparazione politica. Alle quattro della mattina il colpo di Stato era compiuto, gli edifici pubblici occupati. Tutto era finito. La Russia era come è oggi ». T 'illusione di Franklin RooM-4 sevelt era quella di poter risolvere i problemi più duri e difficili, arrivare perfino a evitare rivalità e guerre, solo parlando a quattr'occhi con Joseph Stalin. La prima volta che si incontrarono, raccontò poi il Presidente americano, Stalin era riservato, silenzioso e non sorrideva. Allora Roosevelt cominciò a prendere in giro Churchill, a tentare di farlo arrabbiare, parlandogli della decadenza dell' impero britannico, finché il primo ministro gli rispose mule, facendosi rosso in volto. Stalin, per la prima volta, rise. Da allora in poi il ghiaccio era rotto e Roosevelt chiamò il dittatore russo «Joe», poi anche € linde Joc» per il resto del tempo. Tutto ciò sembrava gioco di bambini al vecchio statista inglese. Come si poteva mutare il corso della storia con la cordialità, gli scherzi, i nomignoli, le amabilità, e tutto questo attraverso l'interprete, un su bordinato che certamente non osava riprodurre con esattezza le battute irriverenti che i grandi si potevano direi E in realtà le cose non vennero influenzate dai sorrisi e dagli scherzi, perchè le cose hanno una forza loro e quando anche i grandi si fossero guardati in cagnesco, se doveva venire pace o guerra o si dovevano stringere alleanze, ciò che deve avvenire avviene. Per tutto questo, la proposta fatta a Margate l'altro giorno da Sir Winston, al congresso dei conservatori, che ripeteva una proposta fatta VII maggio, di organizzare un incontro tra i grandi, russo, americano, britannico, e forse francese, era sorprendente. Egli ha detto: « Io sono d'opinione che conversazioni amichevoli, personali, senza cerimonie tra i personaggi- principali possano fare del bene senza molto rischio e che una buona cosa tiri l'altra. Questo umile e modesto progetto, annunciato' come la linea politica del governo, ha provocato grandi discussioni e, per quanto non siamo riusciti a convincere i nòstri amici americani della sua utilità, non si può ancora dire morto e sepolto. Io ancora penso che gli uomini responsabili delle varie nazioni possano incontrarsi privatamente senza tentare di fare bella figura di fronte a un pubblico eccitato o impiegando eserciti di esperti che adunino e ricordino tutte le difficoltà e gli ostacoli ». Come mai l'opinione del vecchio statista è mutata in questi pochi anni"! Come mai egli oggi crede possibile ciò che era impossibile al tempo di Roosevelt f Forse Churchill (il cui massimo desiderio è quello di vincere la pace così come anni fa ha vinto la guerra e di lasciare trionfalmente il potere e ritirarsi ai suoi studi, alla pittura e alla gastronomia, circondato dall'aureola di salvatore del mondo) pensa che ci sia qualcosa di nuovo t L'intuito gli ha segnalato che oggi, che almeno la parità delle paure è raggiunta, forse basta veramente poco per deflettere il cammino della storia, come basta un nulla a spostare una bilancia in perfetto equilibrio t E questo nulla può appunto essere la faccia sua, quella di Eisenhower, quella di Malenkoff, viste a breve distanza, senza esperti, qualche pranzo, una conversazione familiare, uno scherzo t Certamente uomini che vivono chiusi nei loro paesi, difesi da subordinati, finiscono per esserle prigionieri dei loro pregiudizi, della logica dei loro stessi argomenti, della lettura dei giornali ispirati da loro stessi che riecheggiano e amplificano le loro stesse idee, ingigantendole e semplificandole. Forse gli fa bene andare all'estero e guardarsi in faccia. 11 vecchio padrone di casa americano (gli uomini erano rimasti dopo pranzo a chiacchierare, a bere porto attorno alla tavola in disordine, mentre le signore scomparivano di là, occupate delle cose proprie) a un certo punto disse: «Raggiungiamo le girls, le ragazze ». Le girls erano cinque donne che avevano tutte passato la cinquantina, alcune la sessantina, fasciate strette nei busti come balle di cotone nelle liste di ferro, qualcuna con occhiali, denti finti, capelli colorati artificialmente. I soldati americani che offrono al loro paese i migliori anni della loro vita e, quando è necessario, tra le risaie di un paese sconosciuto, nella giungla, tra montagne ostili, anche la vita stessa, si chiamano the boys, i ragazzi. Tanto le vecchie signore, madri, nonne, mature e provate dalle esperienze, quanto i soldati che rischiano la pelle, hanno senza dubbio il diritto di essere chiamati, gli uni « donne » e gli altri « uomini ». Gli eufemismi rivelano forse l'orrore per la responsabilità che va con l'appellativo più grave, un curioso desiderio di prolungare, nella vita, il più possibile, la dolce esistenza dell'infanzia, anche solo con una parola. /■Ìli Stati Uniti (avevo scritto qualche settimana fa in queste colonne) fioriscono specialmente quando il resto del mondo è paralizzato da una guerra, perchè solo allora le immense possibilità agricoloindustriali, superiori alle necessità interne, possono essere interamente sfruttate. Il problema non esisteva nel passato: immensi territori da aprire, coltivare, sfruttare, città da erigere, strade, ferrovie, ponti da costruire, e l'influsso di milioni di emigranti nuovi ogni anno davano alla sovrabbondante energia e iniziativa degli americani modo di sfogar¬ si. Venti anni fa H. L. Menken, il giornalista famoso, mi aveva spiegato il fenomeno in un'intervista. Aveva detto: «Gli Stati Uniti sono come un uomo in bicicletta. Finché pedala, sta dritto e va avanti bene. Quando rallenta, o si ferma, finisce per terra ». Un vecchio signore americano all'antica, di quelli che non si lasciano commuovere da frivoli pensieri, mi disse: « Voi vi vantate delle rovine romane e le mostrate con orgoglio a tutti. Io me ne vergognerei. Sono, dopo tutto, esempi di cattiva manutenzione » Luigi Barzini jr.

Luoghi citati: Cina, New York, Pietroburgo, Russia, Stati Uniti