«Ho bisogno di dimenticare» ha detto Tacconi alla madre di Gigi Ghirotti

«Ho bisogno di dimenticare» ha detto Tacconi alla madre «Ho bisogno di dimenticare» ha detto Tacconi alla madre L'affettuoso incontro con i genitori a Padova - II giovane cercherà subito un lavoro e si sposerà presto - E' uscito dalla prigione col volto segnato dal dolore; ma non ha perso la speranza i o è a a d i è o r , i o ti o o e, o à. e (Dal nostro inviato speciale) Padova, 28 settembre. Alfio Tacconi se ne è uscito dal carcere sema far chiasso, le spalle un po' curve, lo sguardo preoccupato, la grossa valigia di fibra gialla sulla testa. Stringeva la mano agli agenti che gli sorridevano nel vestibolo: < Arrivcdersi, arrivederci. Anzi, tanti saluti. Di riveder questi luoghi non ne avrò più voglia dt sicuro ». Era il crepuscolo di domcnir ca; fuori, nessuno lo riconobbi : soltanto un amico di famiglia, Tiziano Perantom, lo attendeva all'uscita. Al punto in cui s'erano fermate le cose il giorno prima — con quella rinuncia della Cassazione a decidere immediatamente sulla sua libertà provvisoria — c'era da temere un'altra ventina di giorni di attesa, sempre più amara ed esasperata. E i ge nitori suoi avevano rinvialo la partenza per Padova, i giornalisti se n'erano andati senza il < servizio » e anche i fotografi avevano preso il treno delusi D'improvviso, nel ginepraio di errori e di cavilli, nel dedalo delle interpretazioni procedurali si è aperta una strada: la più diritta e la più imprevista. Il ministro Azara ha proposto domenica al Presidente della Repubblica la concessione della grazia; nella stessa mattinata Luigi Einaudi firmava il decreto. Sul filo del telegrafo partivano l'annuncio e le istruzioni: le porte del carcere di Padova si sono cosi spalancate come per incanto davanti al povero Tacconi, smarrito ormai in un vicolo senza uscite. Egli si trovava in quell'ora al cinematografo dei reclusi, tanto per passare l'ora. < Che cosa si proiettava sullo schermo? » gli abbiamo chiesto, <Non mi ricordo più nulla». Le discussioni giuridiche sul caso Briganti-Tacconi avevano ormai raggiunto le più sottili raffinatezze, tutto nei codici è studiato, previsto, vagliato. Storno in Italia, madre del diritto. Ma ogni tanto si scopre che qualche cosa non funziona: non si riusciva a trovare per esempio la strada giusta per liberare dalle catene due innocenti messi in carcere per errore e ivi trattenuti per un fatale susseguirsi di equivoci. « La Cassazione — diceva oggi il patrono del Tacconi J.W. Ermanno Panella — è gelosissima nel tutelare le sentenze passate in giudicato. A rigire. Tacconi e Briganti avrebbero cos'i dovuto attendere che la condanna di Giuseppe Speziali — il vero assassino di Tavernelle — diventasse <cosa giudicata». Questione di anni. E per di più, se oggi lo Speziali dovesse morire o se fosse preso da pazzia, nessun tribunale potrebbe più giudicarlo e la sua condanna non passerebbe mai più in giudicato. L'assurda conclusione teorica del caso Tacconi-Briganti avrebbe potuto anzi essere questa: scontare fino in fondo l'ingiusta pena » Questa vicenda minacciava di entrare nella sfera dei parados si quando il buon senso di Azara e l'autorità di Einaudi l'hanno troncata. Ora i giuristi discutano pure sulla forma per salvare il codice di procedura e la < cosa giudicata »; Tacconi sta dormendo in una casa amica di Padova e nessuno pi/i pensare più di fermargli il passo nel suo faticoso ritorno alla vita. « Da molte notti non riesco a dormire; non mangio più, le gambe mi tremano. Sono stanco, ho bisogno di tornare a casa. Di questa storia ne ho ormai abbastanza», ha ripetuto \oggi Aldo Tacconi. Ma il suo avvocato, Panella, lo ha ricondotto oggi alla porta del carcere per un'ultima necessaria formalità: davanti al direttore dottor Zaballi, il Tacconi ha sottoscritto una dichiarazione con cui la grazia del presidente viene accettata come un dono gradito e inatteso, ma con la rccintrbccpzdGpqtavcplrmicRrnpfgptsd a a riserva che essa non pregiudichi la revisione del processo che lo condannò. Egli chiede insomma che la propria riabilitazione sia completa e non di ripiego. Entrato in carcere nel febbraio del 10-16 il Tacconi ne esce con i segni evidenti d'una precoce maturità. Aveva 17 anni e pochi mesi quando firmò, senza rileggere, quella che poi fu definita la sua < confessione ». Gli misero subito le manette ai polsi; s'accorse del passo falso quando già la china era diventata troppo ripida. Ora esce turbato e disfatto, a. venticinque anni. La sua giovinezza l'ha trascorsa nel carcere di Arezzo ad aspettare il processo; poi tre anni in quello di S. Geminiano, a prepararsi con i ferri della calza maglioni e ventriere; altri tre infine in quello di Padova, a. costruire telai da biciclette. Rassegnazione, sconforto, speranze, grigiore delle interminabili giornate, divenute sempre più lunghe da quando, sul finire dell'anno scorso, un segno della vera giustizia apparve anche nel suo sventurato destino. Le circostanze in cui Giuseppe Speziali confessò il suo delitto sono un capitolo a par¬ te, un romanzo allucinante nella tetra cornice di questa storia. Giuseppe Speziali si ravvede, dopo aver assistito a una discussioìie tra detenuti; chiede carta, penna e calamaio ed esattamente sette anni dopo il delitto scrive con la sua grezza calligrafia: « Il vero responsabile del delitto di Tavernelle sono io: scrivo questo perchè obbligato dalla mia coscienza ». La sua confessione non viene creduta, passano i mesi e Speziali chiede di parlare con il giudice istruttore: espone il caso, racconta limpidamente i fatti, ricostruisce l'itinerario, fornisce tutte le prove. In udienza, nell'estate scorsa, ripete il racconto, chiarisce ogni più piccolo mistero che era rimasto senza spiegazioni in quell'atroce misfatto. « Il responsabile sono io, ma più colpevole è il mio complice Gabrescech, che avendo più istruzione di me, avrebbe dovuto sconsigliarmi e portarmi lontano da quella casa ». C'è dell'impegno nello Speziali. Egli vuole pagare il suo tributo nella giusta ?nisi<ra. Questa impronta virile e coraggiosa nella confessione resa ai giudici, è definitiva. La giustizia non può rifiutarsi di condannarlo, eèdBnggaplrmtiadGPcmuAspeztffcap e cosi si apre, per una via che è quasi miracolosa, lo spiraglio di luce nelle celle di Tacconi e Briganti. Quando il patrono di Tacconi, oggi, rievocava questa pagina, la mamma e il papà del giovane appena scarcerato avevano gli occhi lucidi di pianto. Ora tutto è passato e l'epilogo è prevedibilmente sereno. Aldo tornerà a casa, domattina all'alba si metterà sul treno per Genova insieme con i suoi genitori, che ' stamattina alle 5 erano andati a svegliarlo nella cameretta preparatagli dagli amici Perantoni, in via G. B. Mosca, alla periferia di Padova. « Sei tu, mamma? Sono stanco, sono stanco, lasciami dormire. Spegni la luce ». Aldo è un ragazzo di poche parole. Accarezzò i capelli grigi della sua mamma, strinse forte suo padre al petto. Rimasero tutti e tre in silenzio, nel buio, senza parlarsi. Ascoltarono il battere delle ore fino a che non fu mattina piena. Poi arrivò la folla degli intervistatori, arrivò l'avv. Panello, arrivarono i cappellani del carcere che lo accompagnarono nel loro appartamentino, presso la casa di pena, per un amichevole rinfresco. Aldo Tacconi non ha toccato cibo in questa sua prima giornata di libertà. Domani sarà a casa e *a Genova starò meglio. Ho bisogno di non pensare più a queste cose ». Quanto prima sposerà la fanciulla che conobbe nel 1944 — Amalia Parodi — e dalla quale in tutti questi anni ha ricevuto affettuose letterine di conforto. L'ultima di queste letterine gli è giunta proprio stamane, respinta dal carcere e rimessa nelle mani del cappellano. L'ha aperta con un po' di emozione. Era la prima lettera non « aperta per censura» che gli arrivava dopo tanti anni. Si cercherà un mestiere: lavorare gli piace. Forse lo chiameranno a fare il soldato: *ma cosi come sono ridotto oggi, mi rimanderanno a casa », ha detto con un po' di speranza negli occhi. Un tempo sapeva cantare, aveva una bella voce, ora non riesce più a intonare una canzonetta. Le stagioni sono passate grige e pesanti sulla sua giovinezza: si trova uomo, con i capelli radi radi, il volto segnato da una scontrosa amarezza. Gigi Ghirotti Ciiiiiiiiiiiiiiiiiiiitiiiiiiiiiiiiitiiiiiiiiiitiiiiii iìii hpmsnsf—qrclsepplr L'avvocato difensore abbraccia Santi Briganti. (Telefoto) niiiiruii iiitiiiiiMiiiiiiitiiiììtiitiiiiiitiiiiitiiiiiiiiitiiiiiiiiitiiiiiitiiiiiiiiiiiiiitiiiitiiiiiiiii i