L'aiolà bruciata dramma di Ugo Betti di Giulio Caprin

L'aiolà bruciata dramma di Ugo Betti TEATRO IN CHIESA A SAN MINIATO L'aiolà bruciata dramma di Ugo Betti (Dal nostro inviato speciale) San Miniato, 25 settembre. Da sette anni San Miniato si è fatta una nobile risorsa: l'Istituto del Dramma Popolare, che non è, a rigor di termini teatro popolare, ma d'estate inscena, generalmente all'aperto, drammi moderni di arte raffinata che abbiano una ispirazione religiosa cristiana e che la comunichino al popolo. Religiosità altamente sostenuta dalla poesia. Due anni fa diede addirittura «L'assassinio nella cattedrale », del poeta inglese T. S. Eliot, e lo inscenò in una vera chiesa, nella grande nuda navata di San Francesco. Anche questa sera un pubblico d'un migliaio di persone, nel quale sono letterati e buongustai insieme a preti e a monache, affolla seduto la navata bianca, in cui gli altari di fianco sono coperti, e l'abside è presa tutta da un grande podio: al posto dell'aitar maggiore sotto la calotta è la scena. Scena fissa raffigurante una sala, con mobili neri, che s'incorpora nell'architettura sacra con effetto semplice e misterioso. Scena fissa che non ha bisogno di sipario per recitarvi, novità assoluta, uno dei tre drammi lasciati inediti dal compianto Ugo Betti, nobilissimo'poeta dell'angoscia umana che si fruga e da una di sperata coscienza della colpa universale anela alla giustizia senza trovare pace. Se questo dramma « L'aiolà bruciata » è stato portato nella chiesa-teatro di San Miniato, vorrà dire che, questa volta, il sempre alto tormento di Ugo Betti ha trovato con la poesia anche una pace per l'anima, una speranza nel Giudice Supremo. Diciamo subito che questa volta, l'anelito lacerato si accosta, almeno in un personaggio, ad una salvazione che superi il dramma senza scampo dell'uomo. Sono tre atti intensi di azioni, complicati da urti violenti, dialogati con impeto asciutto, di un teatro poetico ma teatralmente efficace. Però troppe cose succedono e sviscerano se stesse nei tre atti i quali, così densi anche di colpi di scena, raramente raggiungono l'emozione comunicativa. Nell'« Aiolà bruciata» si intersecano e si confondono un dramma politico, espresso piuttosto simbolicamente, e un dramma interiore che è umanamente patito, ma anche questo preso a simbolo perde alquanto del suo vigore patetico. Siamo in una casa posta sul confine immaginario tra due Paesi e due mondi ideologici e armati che minacciano di precipitarsi addosso a fare l'ultima catastrofe. Nella casa misteriosa abita uno che fu un grande capo in un regime totalitario, ritiratosi, con la moglie, in disparte, dacché il loro unico figlio adolescente, lasciato un giorno in casa chiuso perchè non gli succedesse nulla di male, è uscito per i tetti ed è precipitato giù in un'aiolà. L'aiolà da cui forse sarebbe nato il fiore del bene, e invece è rimasta bruciata. Padre e madre si tormentano ripensandolo, senza speranza di rivederlo con il rimorso che il caro giovinetto, intuito l'errore e l'orrore di quella loro vita e concezione della vita, si è ucciso. Il capo politico, di uno spietato regime di metodo evidentemente sovietico, ora dubita di essere stato come tutti un avvelenatore di popoli. E lo dice ai compagni che tornano a ricercarlo. der la sua popolarità, in un momento in cui sembra che anche loro siano decisi a fare condizioni di pace con gli «altri», i quali anche accennano a voler pace E' un inganno, perchè è stabilito che quando lui si avan zerà, nell'alba, al luogo dell'incontro di pace, sventolan do un drappo bianco, lo ucci deranno; e allora il popolo, credendo ucciso il loro idolo dai perfidi nemici, si avvente rà e sarà la catastrofe. E' un metodo che quei due eari compagni, duri di dentro e di fuori, filosofanti sulla loro bestiale ragione politica, hanno già esperimentato su _ altri amatissimi compagni, più utili da morti che da vivi. Di uno di questi è, apparentemente al servizio della causa, una figlia, la quale sa ciò che non dovrebbe sapere. Infermiera volontaria di un altro di codesti capi, Anto, sempre per ragioni politiche, ammalato, la semplice giovinetta intende il vero, comprende la pietà e ha trovato la speranza dell'anima e la fede in Dio. Sarà lei, a conoscenza dell'orribile trama ad agitare la bandiera bianca della pace e del perdono e ad essere uccisa. Se il protagonista alla fine abbia visto la luce o continuerà a torturare ancora se stesso e la moglie nel dubbio messogli in cuore dal suicidio del figlio, non è detto. Lo spettatore segue con ansia la duplice intersecata vicenda, cosi pregna di eventi ma così rarefatta nei perso naggi che. tutti disperati ri frugano le azioni in idee altrettanto disperate, e in parole spesso potenti. Alla fine fi pubblico resta perplesso e confuso come era alla impostazione del primo atto. Questa è l'impressione.'quantunque « L'aiolà bruciata » sia stata realizzata dal « Piccolo Teatro della Città di Roma» e dal suo regista, vigoroso e delicato, Orazio Costa con un equilibrio e uno stile che non si potrebbe pensarne uno migliore per questo dramma alto, difficile, oscuro. I sei attori hanno tratto il massimo effetto scenico dai personaggi proposti da Ugo Betti: dal protagonista, sempre in scena. Camillo Pilotto, con Evi Maltagliati, ai tre antagonisti, Rol- dmtAfiq«tniirvlmilpIPgttumm dano Lupi, Sandro Rufflni, Camillo Da Pasano, tutti tormentati senza speranza, a Stella Aliquò, la giovinetta del sacrifizio e della speranza. E' per questa parte in ombra che « L'aiolà bruciata » di Ugo Betti ha avuto accesso a San Miniato, dentro una chiesa. La interpretazione ha assicurato il successo al dramma che sarà replicato quattro sere. Silvio d'Amico ha commemorato l'autore morto da poco e rammentato il lavoro poetico e ideale che va riconosciuto all'arte, originale, anche se ripercossa da echi diversissimi, di Ugo Betti. _ Giulio Caprin

Luoghi citati: Roma, San Miniato