Non è vero che Mossadeq abbia deciso di morire
Non è vero che Mossadeq abbia deciso di morire Non è vero che Mossadeq abbia deciso di morire Malgrado l'accusa di tradimento e di ribellione allo Scià, egli continua a dimostrare un eccellente appetito - Imminente il processo dinanzi al Tribunale militare - Un arsenale d'armi e munizioni scoperto a Teheran - Settantacinque comunisti arrestati Teheran, 10 settembre. Mossadeq, secondo quanto da alta fonte ufficiale dice di aver appreso l'inviato del New York Times in questa capitale, ha iniziato lo sciopero della fame nella prigione della caserma dì Sultanabad, presso Teheran, dove è stato trasferito l'altra notte. Al momento in cui vi venne rinchiuso, l'ex-premier protestò vivamente dicendo che non meritava quella umiliazione e che preferiva di essere ucciso subito. Naturalmente non venne accontentato. Da ciò il suo proposito di lasciarsi morire di fame. Egli ha espresso il desiderio di valersi dei servigi di un notaio per potergli dettare le sue volontà testamentarie. Questa sera però tali informazioni sono state categoricamente smentite dalle autorità, le quali sottolineano che il detenuto non solo non ha iniziato lo sciopero della fame, ma continua a dimostrare al contrario un eccellente appetito. Gli interrogatorii dei vecchio uomo politico sono terminati e contro di lui è stata elevata la accusa di tradimento e ribellione all'imperatore, accusa che comporta la pena di morte. Pertanto il « caso Mossadeq» diventa di esclusiva competenza dei giudici militari. Nulla è stato ancora comunicato circa la data del processo, ma da fonte ufficiosa si è appreso che sarebbe imminente. L'ex-premier che è rinchiuso nella cosiddetta « cella degli specchi » della caserma di Sultanabad, ma che tra poco sarebbe trasferito in altra località, è tenuto sotto continua sorveglianza e non gli è assolutamente consentito di ricevere visite. Si ha notizia, intanto, che agenti della polizia segreta hanno compiuto un'incursione ia una sede comunista della capitale e che durante la perquisizione sono venuti alla luce alcuni documenti, dai quali risulterebbe la stretta collaborazione tra elementi comunisti persiani e iracheni. Oltre a ciò è stata provata l'esistenza di un illecito traffico d'armi tra i due paesi. Perfettamente occultati sono stati rinvenuti inoltre fucili, pistole, bombe a mano e cassette di pallottole. Altre armi sono poi state rinvenute nell'abitazione di un tedesco, che si è però sottratto alla cattura fuggendo oltreconflne. Il Comando della polizia ha dato infine comunicazione che in serata nella capitale sono stati arrestati settantacinque comunisti. Dalla polizia è stato oggi anche annunciato che i familiari di Hussein Fatemi, l'ex-ministro degli Esteri scomparso dopo il colpo di Stato del generale Zahedi, hanno ricevuto un messaggio in cui si afferma che il fuggiasco si trova al sicuro « sano e salvo » in una località del confine irakeno. Nonostante l'autenticità del messaggio che proviene da Bagdad e che porta la firma dell'ex-ministro persiano, le autorità avanzano l'ipotesi che il vero scopo del messaggio "sia quello di sviare il corso delle indagini. Il Governo ha deciso di privare delle loro onorificenze tutti i rappresentanti diplomatici persiani esonerati dalle loro cariche dopo la destituzione di Mossadeq, per avere assunto, durante i recenti avvenimenti, un atteggiamento « incompatibile con la loro posizione e dignità ». Fra i colpiti sono gli ex-ambasciatori in Francia, in Belgio e in Italia, l'ex-ambasciatore in Iraq, l'exministro in Jugoslavia e l'exincaricato d'affari in Svezia.
Persone citate: Hussein Fatemi, Zahedi
Luoghi citati: Bagdad, Belgio, Francia, Iraq, Italia, Jugoslavia, Svezia, Teheran
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