La responsabilità degli amministratori nel fallimento del Lanificio Canavese
La responsabilità degli amministratori nel fallimento del Lanificio Canavese La responsabilità degli amministratori nel fallimento del Lanificio Canavese Passivo 300 milioni, attivo di difficile realizzo • Ingenti somme dissipate hanno provocato il dissesto dell'azienda, che occupava 180 persone (Nostro servizio particolare) Ivrea, 3 settembre C'era una strana cosa nella vicenda del Lanificio Canavese di Castellamonte. Che il mandato di cattura emesso contro Elio Ranza, procuratore generale della società, tardasse ad essere eseguito. Il provvedimento era stato preso fin dall'aprile scorso dall'autorità giudiziaria di Ivrea, in conseguenza delle responsabilità emerse a carico del Ranza nel dissesto dell'azienda. La sentenza di fallimento era stata seguita dalla sua denuncia per bancarotta fraudolenta, insieme col ragioniere Giuseppe Guglielmi, amministratore della società, « per aver distratto, occultato e dissipato denaro, frutto di debiti ingentissimi contratti per conto della società». Mentre il Guglielmi, presentatosi al magistrato, un mese e mezzo dopo veniva scarcera- to perchè gli indizi a suo carico non erano sufficienti a giustificare l'arresto, il Ranza rimaneva latitante. Una paradossale latitanza, che gli permetteva di spostarsi indisturbato con le sue lussuose e veloci macchine, e di fare sbalorditive apparizioni a Torino, a Milano, a Roma, e nella stessa Castellamonte. Egli è già stato denunciato per truffa, ottenendo tuttavia la libertà provvisoria dopo qualche mese di carcere. Questa era appunto la sua posizione giuridica quando venne colpito dal mandato di cattura per bancarotta fraudolenta. Sabato scorso il Ranza, al ritorno appunto da un suo viaggio a Roma, è stato bloccato a Milano, e condotto a Ivrea in stato d'arresto. La vicenda del Lanificio è dovuta a qualcosa di più che a uno sfasamento fra produzione e vendite, o a una cattiva amministrazione, come dimostra la duplice denunzia contro i suol dirigenti. Lo stabilimento produceva ottime coperte di lana, aveva un imponente giro d'affari, dava lavoro a 180 persone tra operai e impiegati. Intervenne a un certo momento qualcosa che non è ancora stato chiarito, come misura delle responsabilità, e che sembra doversi ricercare nella vita privata dei due amministratori, particolarmente in un tono di vita lussuoso sproporzionato alle possibilità finanziarie. Ci si rivolse alla cassa dell'azienda, assottigliandone le disponibilità. Furono cercate sovvenzioni di svariate diecine di milioni; furono contratti mutui ingenti. Ma le somme ricavate non avrebbero preso la via della cassa. Dove sono andate a finire? I due incolpati di aver distolto tanti milioni indebolendo pericolosamente l'azienda (e conducendola infatti al suo tracollo) non lo hanno spiegato. Il Guglielmi ha asserito che 70 milioni furono spesi nel costruire una centrale idroelettrica, e altri nell'acquisto di macchinari. Ma fra i creditori (per un totale di 253 milioni) oltre ai fornitori di lana figurano l'impresario che costruì la centrale e la ditta che vendette le macchine. Le somme mancanti sarebbero state distolte. II dissesto infatti è venuto a galla in seguito alla dimissio¬ ni del Ranza dalla carica di procuratore generale, avvenuta nel novembre '51. Nella domanda di ammissione all'amministrazione controllata, presentata dal Guglielmi nel gennaio '52, egli ha affermato di essere privo di adeguati mezzi finanziari per far fronte ai gravi impegni assunti a sua Insaputa e arbitrariamente dal Ranza. Nel corso dell'amministrazione controllata, affidata al dott. Giovanni Regis, sono stati compiuti vari tentativi da parte di gruppi biellesi e milanesi di rilevare il pacchetto azionario posseduto dal Guglielmi. Sono tutti naufragati per la sua opposizione a cederlo La Società non si è messa in grado di presentare un' equa proposta di concordato preventivo. E così il 2 aprile scorso, scaduto il termine di un anno previsto dalla legge, la procedura di amministrazione controllata è stata chiusa con dichiarazione di fallimento per un passivo di circa 300 milioni contro un attivo di difficile realizzo, e conseguente denunzia di bancarotta fraudolenta a carico dei presunti responsabili. Un reato che in fase istruttoria non comporta la libertà provvisoria e che il codice punisce con la reclusione da tre a dieci anni. Il giudice istruttore Sacchetti e il Procuratore della Repubblica Cordone, stanno esaminando le rispettive posizioni per stabilire la misura delle responsabilità. Gli avvocati Oberto e Fuhrmann curano gli interessi del Guglielmi; il Ranza si è affidato all'avvocato Piero Auberti di Torino. g. f.
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