II maestro di Pella

II maestro di Pella CERRETO E' UN PAESINO ORIGINALE II maestro di Pella Jon Felice Perazio, parroco novantenne e arguto, ama la poesia ed è facile verseggiatore - Del suo antico scolaro ricorda che in aritmetica voleva saperne sempre più di lui: e questo è ottimo auspicio Biella, settembre. Pella è biellese, come Sella. E i due nomi fan rima. Come la patria comune, così sia di buon augurio la rima ricca e sonante. E non s'insista mali- gnamente su la diversità delle iniziali. Nell'ordine alfabetico ia distanza tra la labiale e lasibilante, è minima. Auguria-moci che sia tale anche nella tavola dei valori politici. Notiamo intanto, senza trar-ne nessuna conseguenza di congetture e pronostici, che mentre Sella veniva dal Biel- lese montano e industriale, Pella viene dal Biellese colli-noso e vinicolo. Figlio di con-tadini, è nato a Valdengo, un nome che quando c'erano an-cora gli estimatori dei vini prelibati sonava glorioso come quelli dei vicini paesi: Quare- gna, Lessona... Equidistante Vnldpneo èda Quaregna e da Valdengo è Cerreto (nella grafia locale Ce I retto, conforme alla pronunzia ; dialettale Cerèit), altro villag gio vinicolo di cui è parroco il maestro di quarta e quinta elementare di Pella, don Felice Perazio, oggi quasi novanten ne e quasi cieco, ma sempre in gamba, sempre vispo ed ar;guto e (potrebbe dire anche jlui col Venosino) poeta sempre, Permettete che prima di don ; Perazio vi presenti Cerreto o iCeretto. E' un paesino note volmente diverso dai circostan ti, con una fisionomia origina le: un paesino in miniatura, | che sembra uscito da una scajtola di balocchi: ha una chieisjna piccola piccola, un cam posanto pjCColo piccolo, una |casa COmunale che è poco più d'un pollaio. Non attraversato da strade provinciali o consor- zia <• taS> at° 5u°r'tdalla circol'az'one> rimasto tutto su la col: lina (a differenza degli altri paesi che tendono ad allargarsi verso la pianura), Cerreto è ancora quel che era più di mezzo secolo fa, quando ci venne parroco don Perazio. Non una sola ciminiera ' di fabbrica è venuta ad alterarne il paesaggio. Ville ottocentesche, nascoste nel folto dei grandi parchi cintati, sembrano spiare dal declivio la strada che va da Biella a Gattinara. E tra un parco e l'altro corrono lungo i muri di cinta viuzze che non finiscono più, tortuose, ingombre d'ortiche, deserte, che vi danno un principio d'incubo, come se foste entrati, senza badarci, nell'insidia d'un laberinto. Ma vedute bellissime vi ripagano poi ad usura di quell'incipiente malessere. Il castello su in alto, un tempo degli Avogadro, si affaccia a mezzogiorno su la dolce im mensa pianura che dichina a Vercelli e a Novara, e dal lato opposto guarda la catena delle prealpi biellesi, di là da col li e valloncelli Atti di castagni e di querce, dove potete benissimo, se avete un po' d'immaginazione e un po' di letteratura, situare scene idilliche o battagliere del Furioso, della Gerusalemme e del Don Chisciotte. Ma del castello antico non rimane che una torre rotonda con una piccola bifora, e forse il vecchio pozzo, che una leggenda (comune a tanti altri luoghi) vuole comunicante per misteriose vie sotterranee col demolito castello della vicina Quaregna, anch'esso degli Avogadro. Nell'interno della torre, sul battente d'un vecchio uscio di legno, forse si legge ancora, scritta a carbone, questa epigrafe di cui nella mia gioventù io assaporavo con delizia la graziosa ironia ogni volta che venivo a Cerreto: Turris super quam Berta regina se tradidisse dicitur rum ancillis ad filandum et manducandum panem album cum nocetis. Dunque il primitivo 'castello risalirebbe al tempo che Berta filava... Quel latinorum, grammaticalmente impeccabile, l'aveva composto un certo Ballina, Aglio d'una Avogadro di Ceretto e Quaregna, bizzarro tipo di gentiluomo campagnolo del buon tempo antico, quando le regine certo non Alavano più, ma i notari, gli avvocati, i medici e i signori e signorotti sapevano ancora ottimamente il latino. Don Perazio mi ha poi spiegato che l'arguto epigraAsta voleva alludere a una storiellina locale. I terrazzani di Cerreto, frugali come tutti i contadini d'una volta, ritenevano che il più invidiabile lusso gastronomico fesse il mangiare pan bianco con noci. Quando avevano un po' di denaro da spendere, si avviavano a Biella con un sacchetto pieno di noci per comperare il pan bianco. Ma strada facendo sgranocchiavano una dopo l'altra tutte le noci, e il bel sogno svaniva. Solo alla regina Ber¬ iitiiiiiitiaiitiiiiititiijii iiii!iiiiri«iii:riti'iii ta e alle sue damigelle era dunque lecito quello scialo. (Un Alologo osserverebbe per altro che nell'iscrizione non si parla di noci, ma di nocciòle...). Il maestro di Pella, se andate a trovarlo nella sua canonica, invece di pan bianco vi offre vin bianco (eccellente) e in questa imminenza dell'autunno magari anche dell'uva. Eccolo li, con quell'aspetto di vecchierella che assumono spesso i preti molto vecchi, cordiale, gioviale, pronto al motto spiritoso, e siccome non aspira alla mitria e tanto meno alla porpora, qualche volta corrivo alla barzelletta satirica che altri, più circospetto, non arrischierebbe. Ottimo prete, del resto. Non so se al suo scolaretto Pella egli abbia letto e commentato, come ad altri scolari, i famosi versi: «L'albero a cui tendevi - la pargoletta mano... ». So che, quasi pentito d'essersi lasciato sedurre dalla sirena della poesia, una volta chiese al suo piccolo pubblico che cosa c'era di pagano in quelle accorate strofette, dove nessuna speranza viene a consolare il dolore paterno: « inutil vita... sei nella terra fredda... ». Ah, pagano Carducci! Ma al Carducci don Perazio perdona per quanto c'è di cristiano in Piemonte e nella Chiesa di Polenta. I suoi poeti prediletti, però, sono il Metastasio e dietro Paolo Parzanese, dei quali 10 sollecita la facile e melodica vena. E' da loro che ha imparato a verseggiare. E di versi, nella sua lunga vita, ne ha fatti una quantità: per monsignor Vescovo in visita pastorale, per suoi confratelli parroci, per sacerdoti novelli, per neo cavalieri, per insegnare il catechismo ai ragazzi, per feste scolastiche, ma soprattutto per nozze: prime nozze, nozze d'argento, nozze d'oro. Qualche volta, da buon piemontese, amava mettere nei suoi canti un cotal saporetto patriottico, che allora era un'audacia: come in questo inizio di una serie di sestine per le nozze d'oro di due coniugi sposatisi nel 1855, al tempo della spedizione in Crimea: Quando Lamarmora per l'Oriente l'arti ilei Bosforo alla difesa, Uno strategico non uhm valente Apparecchìavasi a un'altra impresa, A un'altra impresa In cui riuscita Doveva rtnilerfili dolce la vita. Le cadenze di Pietro Paolo Parzanese echeggiavano ancora nel presbiterio di Cerreto, e vi echeggiano forse anche oggi. Ma don Perazio non è solamente un facile verseggiatore: è anche un cultore di storia locale. Ho trovato il suo nome tra quelli dei centòdiciotto sottoscrittori alla nuova edizione delle Memorie di Biella di Giovan Tommaso Mullatera, storico settecentista che è come chi dicesse l'Erodoto biellese. Quando gliel'ho detto, se ne è tutto rallegrato. Di preti sottoscrittori non c'era che lui e 11 vicario di Cessato, don Fagnola, morto da tempo. L'edizione, già desiderata da Quintino Sella e curata da Emanuele Sella, è magniAca, e costava dieci lire: «Un patrimonio — mi fa osservare — per un povero parroco di campagna». Ho dimenticato di ricordargli che tra i sottoscrittori c'era anche Luigi Einaudi. Singolare incontro, questo di cinquantanni fa, tra l'umile prete che insegnerà a Pella l'analisi grammaticale e l'analisi logica e il Presidente che gli affiderà il governo di questa travagliata Italia. Ho chiesto a don Perazio qualche ricordo di Pella scolaretto. < In aritmetica ■— mi risponde subito — voleva sempre saper di più di quello che gl'insegnavo ». C'è da trarne un ottimo auspicio, almeno per l'economia nazionale. Anche Quintino Sella, come si sa, era un eccellente matematico. Pietro Paolo Trompeo