Un film satirico italiano di Mario Gromo

Un film satirico italiano SULLO SCHERMO DEL LIDO Un film satirico italiano Buone accoglienze ad " Anni facili „ di Luigi Zampa (Dal nostro inviato speciale) Venezia, 31 agosto. Anche quest'anno la Mostra torna ad abusare della nostra pazienza Brano state fatte e ripetute dichiarazioni precise: questa era una Mostra d'arte, voleva differenziarsi dai soliti Festival con una selezione rigorosa, severa; e il risultato, anche questa volta, è in una ennesima inflazione di film inutili E' stato ridotto il numero delle giornate, ma non quello dei film. Ne è venuto un pigia-pigia di bobine. Abbiamo ' finora avuto ventidue film in concorso; aggiungendovi gli ùndici, spettacoli della retrospettiva francese potremo dire trentatrè; il tutto in undici giorni. Ieri, domenica, per la visione pomeridiana, si sono dati e venduti biglietti per un numero maggiore dei posti in sala; molti spettatori si sono costretti, per più di due ore, a essere dei pigiati fenicotteri, intrawedevano lo schermo standosene ora su dì un piede, ora sull'altro; lo spettacolo è finito alle 20,20; e alle 21,45 cominciava il successivo. Forse non si sono mai avute, qui, condizioni peggiori per serenamente giudicare i film che devono essere giudicati. Ma pare che di tutto ciò non si possa muovere rimprovero a nessuno, tanti sarebbero stati l'Impegno e la buona volontà posti questa volta da ognuno perchè tutto ciò non avvenisse. (E invece avviene. La formula di queste Mostre e di questi Festival rivela ogni giorno la propria insufficienza, ne riparleremo). Intanto fra poco, venerdì sera, « si chiude»; e ciò è senz'altro importante. * * Sala gremitissima per Anni facili, l'ultimo film di Luigi Zampa, il regista che in Anni difficili già aveva delineato una sua pungente satira di alcuni scorci del ventennio fascista. Ora è tornato a quei toni, a quelle intenzioni; e, a contrasto, ha definito anni facili quelli di un dopoguerra nel' quale dominano piccole e grosse corruzioni. Il suo protagonista è lo sparuto professore De Francesco, squattrinato e integerrimo insegnante in una scuola media siciliana; e vivrebbe tranquillo se la moglie, nascostamente ricorrendo a un sottosegretario, non ottenesse il trasferimento del marito a Roma. Per il poveraccio è una mazzata: come farà a vivere, con quarantaseimila lire al mese, nella Capitale? E come ha osato, sua moglie, « disturbare » sua eccellenza Rapisarda? E' semplice. Rapisarda, durante il ventennio, era stato al confino in quella cittadina siciliana, vi si era legato con una schietta amicizia a quell'onesto professorino, naturalmente antifascista; e mai e poi mai il professorino, • avrebbe voluto « sfruttare » quella buona amicìzia. Ma il barone La Prua, ex-podestà, e ora, naturalmente, aspirante sindaco, avendo saputo di quella amicizia, induce il professore ad accettare uno stipendio di cinquantamila lire al mese, incaricandolo di seguire il disbrigo di certe sue « pratiche » nei Ministeri; e pensando che quello saprà sfruttare a suo favore la sua « potente » amicizia. Le scorribande di Ministero in Ministero, con incontri e scontri, equivoci e disguidi, pongono il De Francesco a contatto con tutto un ambiente, nel quale egli trascorre candido e inerme, e dove, naturalmente, non conclude nulla. Il barone si stufa, piomba a Roma, gli farà vedere lui, « come si fa ». Ricorre a vecchi « camerali », sborsa ciò che deve sborsare, ottiene tutto in un amen; e licenzia il povero De Francesco, troppo si è dimostrato, un inetto. E qui il film, se avesse avuto prima altri sviluppi, poteva finire. Umanamente, amaramente. I vari De Francesco si arrabatteranno, stenteranno, non sapranno letteralmente come sbarcare il lunario; mentre i vari La Prua e compagni trionferanno, scialeranno, d'ogni parte milioni. Invece, a questo punto, nel film si inserisce un altro film. Sperduto, angosciato, privo d'un tratto delle cinquantamila mensili del barone, il professore si lascerà indurre a una grave scorrettezza: accetterà centomila lire per promuovere un candidato a un esame. Gli stracci piccoli vanno sempre e subito all'aria, 11 professore è arrestato; un funzionario, che aveva percepito un milione per una sola « pratica », in seguito a un'inchiesta è trasferito; e il film si conclude con la contemporanea partenza di due treni affiancati. In uno, in terza classe, ammanettato e scortato, il professore, sta per iniziare i suoi quattro anni di carcere; nell'altro, in prima classe, con la moglie ingioiellata, il funzionario che si trasferisce da Roma a Milano. * * Se ne sarebbe potuto avere un film audace, di una satira persino corrosiva, un amaro pamphlet. E tutta la prima parte del film sembra mossa da quelle intenzioni. Vi sono episodi un po' facili, un po' ovvii, vignette di giornale umoristico; ma vi sono anche momenti felici e felici battute, un'insofferenza moralmente di buona lega in una cauta sagacia. Tutta la prima parte del film può così apparire come una premessa divertente, spassosa, qua e là sostenuta. E se ne attendono gli sviluppi, si sente che dovrà averli, che non potrà non averli; e invece, anziché precisarsi e accrescersi, il film svolta. L'onesto diventa disonesto, in un momento di aberrazione; poi si ravvederà; e non si difenderà, vorrà espiare; ed espìerà. E' strano come gli esperti sceneggiatori del film siano incorsi in uno sbaglio così grosso. Già erano incorsi nell'errore di inserire tutto un non breve episodio, tratto dalla rappresentazione di una rivista; ma ciò poteva essere in parte anche un intermezzo, ed essere sanato da una «ripresa » efficiente. Invece si cade in un preciso dramma concreto, che vorrebbe essere alla sua maniera edificante, ed appare invece appiccicato, quasi artificioso. Satira docet anche, soprattutto ridendo sino alla fine; non trasformandosi d'un tratto in moralistico e pseudodrammatico apologo. Se questo De Francesco, a contatto della corruzione, ne fosse stato quasi inconsciamente, insensibilmente contaminato; se la lezione del barone La Prua, venuto a Roma per mostrargli « còme si fa», avesse dato i suoi frutti; avremmo avuto il gran gioco di una satira nascosta e aperta, anche se basata su episodi apparentemente minuti, proporzionati alla figura e alle possibilità del protagonista. E ne avremmo potuto avere persino il patetico quotidiano del disonesto suo malgrado, o che sovente non sa nemmeno di esserlo; il patetico che a questa flguretta ha saputo frequentemente dare Nino Taranto, certo nella sua apparizione migliore. Oppure lasciare il povero protagonista macerarsi nel suo brodo. Dopo le opportune premesse, ha finalmente capito come si dovrebbe fare; per adeguarsi al (empi nuovi, agli « anni facili », sa ormai ciò che deve fare; ma, per quanto ci si provi, non vi riesce, non ne è capace. Di qui gaffes e disguidi, inciampi, tutta un'altra satira, un'altra commedia; ma bisognava allora e comunque avere una chiara visione del personaggio, impostarlo con acutezza, e non abbandonarlo mai. Così invece, il film un po' si risolve in un'occasione mancata. Piacerà per molti tratti gustosi, forse desterà qualche polemica; ma la sua portata sarebbe stata diversamente alta e serena se sempre condotta sul ritmi apparentemente giocondi della satira vera, che non pone problemi moralistici perchè in sè tutti li risolve, e sarà poi il lettore, o lo spettatore, a proporseli. Tre applausi a schermo acceso, un altro alla fine. Mario Gromo

Persone citate: Luigi Zampa, Nino Taranto, Rapisarda, Sperduto

Luoghi citati: Milano, Roma, Venezia