Sul baratro

Sul baratro Sul baratro S* casa ora stata costruita svrlForio di uno sprofondo che in paese veniva chiamato il baratro sebbene non fosse altro che un piccolo cratere cosparso di sassi • d'erbacce. L'abitava una specie di poeta nordico dalla zazzera lunga e dalla penna sempre in moto. Si alzava anche nel cuore della notte per scrivere versi. Al mattino rileggendoli li trovava mediocri sia come forma sia co me contenuto e li buttava nello sprofondo. Per parecchi anni si videro laggiù, tra le pietre e le ortiche, pezzi di carta azzurrina scoloriti dalla pioggia e raggrinziti dal sole. Il bardo settentrionale cercava di esprimere nel miglior modo possibile quel pessimismo eroico così caro a certi filosofi moderni t considerava un atto di bravu ra, se non di coraggio, polverizzare l'apparenza e la sostanza delle cose fino a ridurle a un bel nulla. Un giorno un furioso ventaccio di primavera s'ingolfò nel baratro, rapi col suo turbine. un pezzo di carta rimasto a metà strada e, dopo averlo mulinato a lungo, lo depose sull'orlo del l'abisso. Lo trovai e lo lessi. Si trattava di quattro versetti che dicevano cosi: Solo un cervello futile e stolto In larga dose non comprende l'inutile delle universe cose. Mi divertii a riportare all'autore questa sciocchezzuola. Benché d'opinioni diametralmente opposte, eravamo due buoni amici. Guardò per qualche istante il suo epigramma, poi sorrise mi disse: «Roba di nessun conto, specie dal lato formale. Però c'è di peggio. Senti. ». Mi lesse un'altra quartina scritta allora allora. Nel mare dell'esistenza che tra due nulla risciacqua la nostra umana demenza non fa che buchi nell'acqua. Aggiunse: «L'idea c'è, ma la espressione è veramente tapina ». Prese il foglietto di carta, lo avvolse intorno a un grosso ciottolo e lo gettò nell'abisso. « Garantito che questo non tornerà mai più su » sentenziò. Si mise in bocca la pipa vuota I aspirò l'aria a più riprese. Fumava sempre cosi, lui. Pensai: Quando poseiam respirar* l'aura fresca e salutare è una vera assurdità e un passatempo bislacco pompare un'aria che sa di taiiaro e di tabacco. *I1 poeta Brandel aveva compiuto da poco quarantasei anni e toccato da molto il vortfce del suo nichilismo il giorno in cui ricevette in eredità, da una cugina norvegese, Lisàbetta e Greta. Erano due ragazzone bionde timide c ancora sgomente per la repentina morte della loro madre. Furono accolte dal nostro pessimista in modo non troppo cordiale. Si sentirono dire: «Rimarrete presso di me finché dureranno quei pochi denari che avete realizzato vendendo la vostra casetta e la mobilia. Poi vi spedirò nel Sud Africa dal fratello del vostro nonno ». Decisamente Brandel era anche misogino. Ripeteva sovente la vecchia frase: «Chi dice male delle donne le conosce poco e chi ne dice bene non le conosce affatto». Le conosceva lui? Forse meno di chiunque altro. Le aveva bandite a priori dalla sua vita, fedele, fin dalla prima giovinezza, alla massima di Schopenhauer che definiva la donna come un essere dai capelli lunghi e dalle idee corte. Da principio Lisàbetta e Greta, dinanzi alla glacialità del parente scorbutico, si mantennero chiuse e impacciate, poi quei due fiori nordici, scaldati dal sole meridionale, sbocciarono con una tale prepotenza che tutta la casa fu piena del loro profumo e della loro, bellezza. Brandel venne ravvolto da una atmosfera intensamente primaverile, ebbe degli strani turbamenti e la penna gli cadde più volte dalle mani mentre componeva le sue rime inutili. Soltanto facendo un terribile sforzo riuscì a scrivere: Ogni forma femminile è una nuvola d'aprile che si disfa totalmente perchè dentro non c'è niente. Dopo aver gettato macchinalmente la quartina nel baratro se ne andò a letto. Era una notte di maggio, il tempo in cui il dèmone dei sensi si comporta come la linfa nell'albero. Sale dalle radici dell'essere e fa fremere tutta la pianta. Questo dèmone non si limita a mettere in agitazione il sistema nervoso dell'uomo ancor valido. Talvolta parla dal fondo con tono aggressivo. Il poeta nel sonno e nel sogno lo udì sibilare: «Nuvola la forma femminea!? Vapore la bellezza muliebre!? Ma che hai il cervello allo stato liquido o gassoso? Qui si tratta di qualcosa di più consistente, solido e sostanziale. Polpa di frutta densa ed aromatica. Poeta, col nichilismo che nella mente ti frulla hai portato al parossismo il tue non capire nulla che resta sempre al di qua di qualsiasi verità e annichilisce a priori tutto quell'insieme d'errori vivi, deliziosi, intensi che sono gli errori del sensi >. Il sibilo del dèmone cessò verso Falba. Brandel dormì fino a mezzogiorno e quando uscì dal sonno si sentì giovane come non lo exa stato mai neppure a vent'an• ni. Trovò che il mondo era pieno di fiori olezzanti, di voci incantevoli, di desideri che si chia¬ sscsvvpsqtpottclepizccttmccdrtl n o n i e a n e l a o i e a o o mavano, si rispondevano, si calamitavano a vicenda con un fremito piacevole. Notò che gli occhi di Lisàbetta e Greta avevano lampi e bagliori d'aurora boreale, che due labbra di ciliegia fanno pensare al preludio di una musica di baci, che la vicinanza di una bella ragazza è come un fulmine ih procinto di scagliarsi dritto dritto sopra un fienile, che il tempo, a una certa età, passa veloce e bisogna quindi staccare la corsa per inseguirlo, raggiungerlo strappargli ore d'estasi, minuti di tenerezza, attimi di felicità. Scoperte queste e altre importantissime cose, Brandel cambiò vita, umore, abitudini, filosofia. Le due orfanello divennero le reginette della casa. Ebbero vestiti, scarpette, cappelli, braccialetti, collane e il pianoforte, col quale accompagnarono a quattro mani il canto del poeta che diceva così: Bisogna vivere, bisogna amar non vale scrivere, meglio sognar. [numento La donna è stabile qual moe inossidabile più dell'argento, ci sa guidare verso l'amor stella polare del nostro cucr. Come si vede l'entusiasmo, la fiducia, l'ottimismo non avevano migliorato la poesia di Brandel. Ma il bardo settentrionale non si preoccupava più della forma. Si appagava della sostanza ch'era un giulebbe di illusioni rosee e di dolcissime speranze. La finestra che guardava il baratro rimaneva chiusa per settimane intere. Aperta sempre era. invece, la porta che dava sul giardino da cui si scorgeva il profilo delle montagne lontane. Intanto altri versi nascevano e l'autore li conservava gelosamente nel libro segreto dei pròprii sogni. Brandel innamorato delle due nipoti che lo circondavano di premure, di tenerezze e di moine, si sentiva tormentato dall'imbarazzo della scelta e scriveva: Il mio cuore fa la spoletta con indecisione inquieta fra le grazie di Lisàbetta e le seduzioni di GretaNumi, vogliatemi indicare la donna ch'io debbo sposare. Ma i numi non suggerivano niente e mentre il dubbio durava le ragazze, ormai sveltite, conoscevano giovanotti, frequentavano balli, facevano provini negli studi cinematografici. Il poeta di tutto ciò ne sapeva poco o niente. La sera andava i letto alle nove per sognare a lungo cortei nuziali, spose vestite di bianco, lune di miele, estasi e felicità. Però un mattino al risveglio trovò sul pavimento della sua' camera, infilata da sotto la porta, questa lettera:- « Caro zio, scusaci se partiamo senza salutarti. Gli addii e i sospiri avrebbero turbato il tuo cuore nobile e generoso. Non essere in pensiero per il nostro avvenire. Siamo in procinto di diventare due stelle. Ci rivedrai' presto. Sullo schermo. Baci. Li-i sabetta e Greta ». Fuggite! E dove poi? Verso: quel paese di perdizione chiamato Cinelandia. Ma Brandel, già pessimista per partito preso ed ora ottimista ad oltranza per necessità sentimentali, dopo una settimana d'abbattimento, era di nuovo in piedi con la cetra in mano. E non sullo sprofondo ingombro di sassi e d'erbacce bensì sopra un abisso più voraginoso: il baratro delle illusioni. Dimenticando là sua età, la zazzera bianca che gli incorniciava la testa e le diverse rughe che gli solcavano il volto, cantava fiducioso: Nel cielc a pecorelle si " smarriscon le stelle la prima che cadrà Brandel la sposerà. Sono ormai tre anni che attende e spera. Al corrente di molte cose sto sempre lì lì per cantargli di rimando: Dal cielo a pecorelle la verità non piove, da tempo le due stelle son già cadute altrove e rialzate da parecchi amici sono quasi felici. Ma non oso turbare quel fiducioso ottimismo, che aiuta Brandel a vivere ed a sognare ancora. D'altronde non siamo un po' tutti sul baratro di qualche illusione? Luciano Folgore

Persone citate: Luciano Folgore, Schopenhauer

Luoghi citati: Sud Africa