Un bel film giapponese

Un bel film giapponese SULLO SCHERMO DEL LIDO Un bel film giapponese 11 caldo, vibrante successo di * Ugetsu Monogatari» («Racconti della luna dopo la pioggia»), di Kenji Mizoguchi - Un film tedesco (Dal nostro inviato speciale) Venezia, 25 agosto. Il recente cinema giapponese deve parecchio alla Mostra veneziana (di qui, due anni or sono, partì il primo riconoscimento a Ra-Sho-Mon, confermato poi in tutto il mondo); ma anche la Mostra di Venezia deve parecchio al più recente cinema del Giappone. Ha infatti partecipato, a queste tre ultime edizioni, ogni volta con almeno un film degno di una Mostra d'arte; e se il criterio dei produttori giapponesi fosse seguito da tutti gli altri, il successo della Mostra sarebbe immancabile ogni anno. Intanto, ieri sera, i produttori di Tokio hanno avuto la ricompensa migliore: uno dei più caldi successi che lo schermo del Lido ricordi, decretato da un'ovazione lunga, compiaciuta, generosa, insistita. La protagonista del film, esile e minuta nel suo sgargiante chimono, non finiva più di profondamente inchinarsi, le manine sul petto, verso tutti i punti cardinali della sala cre¬ pitante di battimani; accanto a lei era il regista, non meno inchinantesi a pendolo compito, Kenji Mizoguchi. E' l'autore de La vita di 0' Haru, donna galante, che l'anno scorso ebbe qui altri convinti applausi e un premio. Il suo film di questa sera s'intitola Ugetsu Monogatari, che è il titolo di un settecentesco ciclo di racconti, e compiutamente tradotto significa «I racconti della misteriosa e pallida luna dopo la pioggia », un titolo che anche al più ignaro fa subito giungere alle nari un arcano profumo di vecchio Giappone. Ma questa piccola sagra di titoli è appena cominciata, a intelaiare il soggetto del film sono stati infatti scelti e fusi due racconti di quel ciclo: il primo è Asaji ga yado («La piccola casa nel seno delle graminacee selvagge ») e il secondo è Jasei no in («La lùbrica perfidia del fantasma del serpente»). Se dopo queste premesse, efficacia del film aiutando, per quasi due ore di proiezione non si riesce a vi- vere fra ombre di samurai e tristezze millenarie in un'atmosfera di cronache e di superstizioni, di saga nipponica e di leggenda orientale, tanto peggio, allora, per chi, nemmeno per due ore, riesce un po' a respirare in quel mondo. * * Anche per un suo cinema il giapponese non ha mai dimenticato le sue più illustri tradizioni, che instancabilmente ricerca nei secolari filoni della sua lirica e del suo romanzo, del suo teatro e della sua pittura. Tuttavia, specialmente fra le due guerre, l'imperialistica urgenza della sua espansione e l'orgoglio di un suo rapido modernismo occidentalizzato, gli avevano fatto alimentare anche un cinema d'atmosfera contemporanea, nel quale avrebbero dovuto avere una loro indiscutibile importanza i grandi alberghi e le grandi « ditte » di Tokio, piccole segretarie in tailleur e piccoli banchieri in bombetta, quando non si trattasse di glorificare recenti imprese militari, rievocate a raffiche di mitragliatrice. Anche quei film d'ambiente contemporaneo avevano talvolta i loro pregi (ricorderemo La pattuglia, del 1938); ma lasciavano dietro di sè come lo strascico di un punto interrogativo, tanto palesi vi erano le derivazioni dai cinema occidentali. Invece, dopo la sconfitta del 1945, i film giapponesi più significativi si riallacciano a traduzioni, derivazioni, persino a contaminazioni, di tutto un mondo tradizionale ancorato nel tempo, ridesto da testi classici e da leggende popolari, da musei e da pinacoteche, su di un filone per lo più letterario, che, a voler adoperare parole grosse, potrebbe essere definito come un piccolo umanesimo cinematografico di laggiù. In questi modi, probabilmente, si può ritrovare anche sullo schermo il necessario desiderio di un ubi consistam, con il ritorno a certe fonti e a certe of-igini, prima di individuare e intraprendere un altro e forse nuovo cammino; I due racconti del ciclo che reggono il film Ugetsu Monopatari sono assai simili e assai diversi.. Ambientati entrambi alla fine del XVI secolo, durante le guerre civili dei signori feudali che lottano per l'egemonia, il primo narra come un mercante, partito per Kyoto a vendervi.le sue mercanzie, sia sorpreso dalla guerra e costretto a vagare per sette anni; quando ritornerà alla sua casa vi sarà accolto dal fantasma della moglie, Miyagi, uccisa dalla soldataglia. Il secondo racconto narra come un altro mercante sia irretito dal fantasma di un serpente nelle parvenze di una bellissima giovane; parecchia letteratura medioevale cinese e giapponese si compiace di unioni fra uomini e umane incarnazioni degli spiriti di animali e persino di piante, altrettanti spiriti del male. Qui dei due mercanti si è fatto un solo protagonista; come spirito del male, al fantasma di un serpente si è sostituito quello di una giovane principessa, Wakasa, morta prima di aver conosciuto l'amore, del quale è più che mai sitibonda, Circe in chimono e degli inferi; men¬ tre il fantasma della dolce moglie fedele più che mai rappresenta, a contrasto, lo spirito del bene. " A narrare tutte le svolte e tutti gli incastri del film occorrerebbe molto spazio, basterà accennarne alcune peculiari vibrazioni. La vicenda si snoda fra realtà e fantasia con un raro tono unitario, senza stacchi apparenti, realtà e irrealtà fuse in un solo mondo, vibrante e fermo. Perchè questa realtà, questa vita di tutti i giorni del povero Genjuro, è trasfigurata in lievi toni di stampa antica, con l'aiuto di una fotografia setosa, intelligentissima: e l'irrealtà si inserisce quasi inavvertita, ha una sua altrettanto lieve ma solida coerenza, che diventa rapidamente indiscutibile. Le due gamme fondamentali, opposte e fuse, hanno poi la continua vibrazione di un commento musicale curato da Fumio Hayasaka, che ricorrendo a temi e timbri arcaici li ha modulati e talvolta esasperati in impasti sovente lancinanti, persino ossessivi. * *' Se Ra-Sho-Mon inseriva modernissimi schemi, quasi pirandelliani, in ambienti del primo medioevo nipponico, e su elementi da saga un po' nibelungica ai piedi di un Fushihama; se La vita di O' Haru aveva anche tutte le risorse decorative della fastosa corte di un grande samurai del 'Seicento; si potrebbe dire, ma un po' troppo facilmente, che questo Ugetsu Monogatari si tiene a mezza via fra quei due film, prendendone da entrambi note quasi sempre in minore. Ma ciò è soltanto apparenza. Qui il modernismo di Ra-Sho-Mon è evidente, ma autonomo, soltanto nella fusione fra realtà e fantasia, fra uomini e fnntasmi; e la preziosità di O' Haru qui riappare, ma necessaria, soltanto nel clima suscitato dalle apparizioni della principessa. Altrimenti è tutto un mondo, poeticamente evocato, da un artista che possiede un suo stile, morbido e acuto, caldo e sagace, posto al servizio di una umanità innegabile e dell'amoroso studio d'i tutta una civiltà. Opera quindi complessa, derivata, persino un po' composita, ma sovente ispirata. I fanatici del concreto, del messaggio sociale, e di altre cose del genere, la rimprovereranno di formalismo; ma la forma per la forma non è degna della minima attenzione; e qui, tutt'al più, si ha il formalismo -del ■ ràcconto-fiabaleggénda di uno squisito, avvincente arazzo, eseguito sul < cartoni » offerti da una letteratura gloriosa. Sarebbe davvero assai triste se, per quei fanatici, dovessimo anche bruciare tutti gli arazzi insigni, tutte le opere di ogni letteratura; e sarebbe altrettanto triste non poter allora apprezzare lo schermo, questo ibrido di industria e di spettacolo' che troppe volte ci affligge, ' una volta tanto che ci dà una apertura su tutto un mondo, una civiltà, una cultura, con visioni inconsuete, forse rare, e sovente scandite dall'arte. Al pomeriggio un mediocre film tedesco, Die grosse VerSu.chung (< La grande tentazione»), di Rolf Hansen. Mario Cromo I giapponesi Masayukl Mori e Machlko Klo In una scena del film « Ugetsu Monogatari »

Persone citate: Fumio Hayasaka, Haru, Kenji Mizoguchi, Mario Cromo I, Rolf Hansen

Luoghi citati: Giappone, Tokio, Venezia