Velieri istriani

Velieri istriani Velieri istriani Storia dell'isola dei Lussini - Un cadavere di città nel '700 - Due borgatelle: da rudi pastori a navigatori stimati - Allegra vita degli squeri Commerci in ogni mare ■ Appare il piroscafo e il benessere scompare (Nostro sertHzio pai'ticolare) Trieste, 12 agosto. Ragazzo, davanti a nulla il mio animo si commoveva tanto come davanti a un veliero. Stavo ore ed ore in ammirazione di un brigantino ancorato nel porto, d'una goletta attraccata alla riva: mi perdevo fantasticando fra sartie e pennoni, coffe e colombieri; rande, nocchi, parrocchetti mi davano un senso d'esaltazione d'ali che m'immergessero nel l'azzurro, come un gabbiano di nido sognante immensi orizzonti. E difatti il mio sogno era di navigare, ma non su quei grandi piroscafi che già'vedevo staccarsi dai nostri mo li, ma su qualche bastimento a vela, su un barco, su una polacca o su una scuna: conoscevo tutte le specie di velieri e dai loro alberi e dalla forma delle loro vele sapevo distinguerli. Mi piacevano quelle sagome eleganti e fin l'odore del legno, delle vernici, del cordame impregnato di salso. Era come se fiutassi lontani richiami, come se la memoria istintiva mi rievocasse remote atmosfere, ancor vive nel sangue. Vecchi lupi di mare Quando in casa la nonna paterna mi raccontava del nonno capitano e del suo bastimento, e dei lunghissimi viaggi che aveva fatti anche lei insier-1 al marito, coi figli ancora piccolini, stavo estasiato ad ascoltarla. < E allora — le chiedevo — papà è nato sul mare? >. < Nato, no, ma ha cominciato a camminare sulla coperta della nave >. Ed io vedevo mio padre, fantolino, barcollare sulle doghe, afferrarsi a un pennone, sostare intorno a un grosso rotolo di canapo incatramato e guardare in sù alla foresta delle vele tese, gonfiate dal vento, fra cielo e mare. < Perchè allora — chiedevo ancora alla nonna, deluso — papà non fa il capitano come il nonno? >. « Oh — mi rispondeva lei — son passati quei bei tempi. La vela non va più L'isola è rovinata >. E vedevo mia nonna chinare il suo bel viso, coronato di trecce castane, in un'espressione di avvilimento e di tristezza. Tale avvilimento lo provai anch'io, profondo, quando ado lescente misi piede per la prima volta sull'isola paterna. E quel caffè dove m'aveva portato mio padre, quel crocchio di vecchi lupi di mare, che rimpiangevano l'epoca d'oro della vela e che scotevano le teste, istoriate dall'esperienza di lunghe e avventurose navigazioni, come se una tremenda inesorabile fatalità avesse tagliato la vena vitale alla nostra terra (la sentivo mia, come ognuno di loro la sentiva propria), me li ricorderò sempre. Questi e molti altri sentimenti del genere ha rimosso in me la lettura dell'Isola marinara del capitano Giovanni Gerolami (edizione Del Bianco, Udine). Anche per quest'opera che colma una lacuna nella storia della navigazione adriatica, dobbiamo dire, come per altre, che i tempi calamitosi della guerra hanno pur permesso che ai margini della loro corrente distruttrice si maturasse qualche buon frutto. Il capitano Gerolami infatti, approfittando dell'ozio a cui lo forzavano quei tempi, si mise a < interrogare vecchi capitani e raccogliere ogni sorta di pubblicazioni apparse intorno all'isola dei Lussini, compulsare annuari e statistiche >. E ne venne fuori un grosso libro informatissimo e scaldato dall'amore per la propria terra. La storia dell'isola dei Lus sini è una storia, si può dire, drammatica. All'epoca romana, sulla estremità settentrionale dell'isola, dove questa s'innesta nell'isola di Cherso, divisa appena da una Cavanella (stretto canale), fiorisce una cospicua città: Ossero. La sua importan za è dovuta alla sua posizione sulla via degli scambi tra Aqul leia e Salona. Tale posizione le gioverà anche dopo la caduta dell'Impero d'Occidente, nella avanzante potenza di Venezia che, come Roma, riserberà a Ossero un trattamento speciale. Ma con la decadenza della Serenissima, Ossero a poco a poco immiserisce, diventa l'ombra di se stessa. A che cosa si riducesse la splendente città romana di 20 mila abitanti, lo veniamo a sapere dal naturalista abate Fortis, che visitò l'isola nel 1770: <Dugentocinquanta abitatori formano presentemente la popolazione di questo cadavere di città, dove v'hanno forse più case disabitate e rovinose che abitatori... L'aria nella state v'è pestilenziale... Ed è per certo lugubre e dolorosa cosa il vedere che una città ben situata e altre volte popolosa, sia ridotta adesso a rovinosa ed inabitabile da un malore che potrebbe esser agevolmente tolto >. Alla scuola dei veneziani Ma, nell'isola, due borgatelle che il Comune d'Ossero aveva considerato proprie frazioni euburbane e trattato da vassalle per secoli, sollevano a poco a poco la testa, s'ingrandiscono, si emancipano dalla servitù, approfittano della rovina del Capoluogo per soppiantarlo. Verso la metà dell'800 non si parla più di Ossero; l'isola la sua prosperità, la sua fama appartengono ormai a Lussingrande e a Lussinpiccolo, e specialmente a quest'ultima che nonostante il nome s'è fatta maggiore della sorella E' commovente seguire lo eviluppo di quelle due borga ielle di pastori rudi e ignoranti, stabilitisi nell'isola al principio del '40Ó; gli sforzi e la tenacia con cui seppero adattarsi alle condizioni del magro suolo isolano e sfruttare la promettente ma Infida ricchez-, ^""contarmi za del mare; da oscuri pastori .farsi a poco a poco pescatori, 1 contrabbandieri, marinai, navi-jgatori conosciuti e stimati ini tutto il mondo. La lista d'onore dei lussigna-ni che al servizio della Sere-:nissima si distinguono in com-! battimenti navali, diventa un ; motivo d'orgoglio per l'isola: 1 insigni fra tutti i membri del-ila famiglia Petrina di Lussingrande. I fratelli Giovanni, Matteo e Agostino Petrina cadono valorosamente per la Repubblica nelle guerre di Candìa e della Morea; un figlio di Agostino è innalzato da Bar- in riconoscimento dei meriti suoi personali e dei suoi antenati, alle condizioni di < libero cittadino >, e un suo fratello viene nominato capitano della fortezza veneziana di San Pier de' Nembi. Un altro Petrina, comandante della nave mercantile Grazia Divina, sostiene nel 1752 una memorabile lotta col corsaro algerino Haggi Bekir; il doge Loredan decreta al Petrina la medaglia d'oro e lo crea < Cavaliere di S. Marco >. I lussignani si educano e si addestrano, sì, alla scuola dei veneziani, ma ben presto uguagliano e qualche volta superano per ardimento e per iniziativa i loro maestri. Cosicché, quando la Repubblica tramon ta, Lussino è preparata, insieme con Trieste e Fiume, a raccoglierne l'eredità e a tramandarne i valori più vivi Verso la metà del secolo XIX i due Lussini possiedono più di 100 bastimenti di lungo corso, con una portata complessiva di 35 mila tonnellate. A Lus sinpiccolo ferve la vita degli squeri, i cantieri d'allora. Si moltiplicano, sorgono da ogni parte dove la costa pianeggia Dall'alba al tramonto « proti > e < mistri > lavorano allegra mente. La dolce cittadina, appollaiata sopra quel lago marino che porta il nome storico di « Valle d'Augusto >, è avvol- ta dai "fumi'della pece, odoraidi catrame, di sego, di legno flavorato; risuona dello stndor delle seghe, dei colpi dei magli, del cigolio delle carrucole. Di padre in figlio, in nipote, l'arte della costruzione si tramanda e si perfeziona empiricamente. Salpano a marzo i bastimenti, ritornano in autunno per svernare, portando all'isola oggetti esotici preziosi, stoffe, ricchezze d'ogni genere e molti zecchini. Varie sono le mete: dal Mar Nero al Tamigi, dal Golfo Persico al Golfo del Messico. Alcuni dì quel bastimenti oltrepassano il Capo di Buona Speranza, altri doppiano il terribile Capo Horn. La guerra di Crimea è una manna per i lussignani. Si arrischia, ma si guadagna. « Fin che la dura, niente paura >, < guerra lontana, affari d'oro >, dicono a Lussino. Quando i capitani, che sono in gran parte armatori o comproprietari della nave, ritornano, hanno mille avventure da raccontare. Ma i loro racconti sono sobri, niente rettorica, niente fiori d'immaginazione. < Il lussignano autentico >, conclude molto be'ne il Gerolami, < ha un sovrano disprezzo per le esteriorità e le parvenze, mentre s'inchina, e profondamente, alla sostanza. Successo e benessere: ecco la meta a cui egli tende >. Tramonto della vela Ma il lussignano sa anche, a proprie spese, che la vita è un continuo processo di mutazioni, che come dal niente si può salire a grande prosperità, così dalla prosperità si può tor nare al niente. La nuova svolta drammatica nella storia di Lussino è stato il vapore, la crisi della vela, la sostituzione degli scafi d'ac ciaio agli scafi di legno, del piroscafo al veliero. Col tramonto dèlia vela, tramonta anche il benessere dell'isola. In pochi anni cessa il fervore, i cantieri falliscono, decadono, muoiono. L'isola dei velieri, dei capitani, della ricchezza del commercio, diventa una stazio ne di cura climatica. I lussignani emigrano, portano altro ve la loro intraprendenza di navigatori e d'industriali del mare. L'isola resta nel loro cuore, dovunque siano, E °Sgi, credo, non ci sarà lussignano che non provi un profondo senso di commozione neI1° sfogliare gli - elenchi di quelle 600 navi di Lussino, che il Gerolami ha registrato con tanta cura ed ha fatto molto bene di mettere in appendice al suo volume. Belli, semplici nomi sapevano dare quei vecchi marinai ai loro bastimenti: Primo, Candido, Dalmato, Azzardo, Tranquilla, Eroe, Utile, Cauto, Probo, Speme, Letizia. Ciò che li ispirava, non era la vanità, ma la sicurezza e la gioia della propria fatica ricompensata. Giani Stuparich

Luoghi citati: Crimea, Fiume, Messico, Roma, Trieste, Venezia