Un esperimento innovatore nel tetro mondo delle prigioni di Francesco Argenta

Un esperimento innovatore nel tetro mondo delle prigioni LA P SICO TERAPIA COLLETTIVA Un esperimento innovatore nel tetro mondo delle prigioni I reclusi sono [atti sedere, a gruppi di dieci-venti, attorno ad un tavolo, per discutere degli argomenti che vogliono, senza fariseismi e sottintesi - E, tutti, dapprima, esplodono in imprecazioni forsennate, ma, alla fine, tornano in cella alquanto riconciliati con la società e con la vita (Dal nostro inviato speciale) Ginevra, 10 agosto. .L'Organizzazione mondiale della Sanità ha dato il via ad un'indagine che si estenderà a tutti i paesi ed avrà per isfondo il tetro mondo delle prigioni. Ha occorre subito avvertire che non si tratta di una delle tante indagini, cui si hanno avvezzato, da tempo, le organizzazioni a carattere internazionale, e che si risolvono in uno sciamare, vacuo ed inconcludente per il mondo, di un nugolo di funzionari ben foraggiati, i quali osservano le cose con un impegno figurativo, potremmo dire burocratico; stendono, alla fine, inutili c podagrosi « rapporti >; formulano conclusioni cui nessuno aderisce; avanzano proposte che nessuno raccoglie. Una svolta L'indagine in corso è affidata ad esperti designati dalla « sezione di igiene mentale » dell'O.M.S. e potrà condurre ad una svolta nei metodi citi si uniforma, tradizionalmente ed universalmente, il trattamento dei detenuti, solo che i risultati ottenuti qua e là, ma, soprattutto, nei paesi anglosassoni, dall'utilizzazione della psicoterapia collettiva — la group therapy — nell'ambito carcerario, abbiano ad apparire, per qualche verso, effettivi, convincenti e durevoli. La group therapy non è una formula magica dalla cui applicazione possa atten¬ dersi, senz'altro, l'emenda del colpevole; il compimento automatico di un processo di rigenerazione atto a dischiudere la possibilità di un anticipato reinserimento del detenuto nell'aggregato sociale, è un indirizzo terapeutico che, senza far tabula rasa dei metodi in atto, senza attentare alle finalità che sono tradizionalmente assegnate alla pena; senza pregiudicare o svilire le esigenze che la società affida o imprime alla pena (retribuzione, difesa, vendetta...), può, vantaggiosamente, inserirsi nel sistema cui si uniforma il governo degli eslege, e che è, tuttora, così arretrato, da noi, come in tanti altri paesi; può rivoluzionare la prassi; può dare all'espiazione un senso nuovo e inatteso, umanizzando, senza pericolose indulgenze, il castigo ed affrettando 1 tempi in cui ha da operarsi la redenzione. Dovunque la group therapy ha trovato applicazione, il consenso, da parte dei detenuti, a questo esperimento rivoluzionario, è stato generale, immediato, istintivo. Il dott. Christophe Eckenstein, già segretario della Commissione internazionale penale e penitenziaria che sedeva a Berna ed i cui compiti sono stati, ora, assorbiti dall'UNO, attesta che nei reclusori di oltre Atlantico, ma, anche, in quelli di Gran Bretagna, la psicoterapia collettiva ha condotto a rapide e mirabolanti trasformazioni nella condotta dei detenuti: svanito, quasi d'incanto, l'egocentrismo, che è la bieca caratteristica dei criminali; ravvivato, in tutti, il senso vero della socialità; ridestato, nella più parte, quello dei valori umani e morali che han da essere a fondamento della vita. Accetta e suggestiva Si può dire che l'applicazione della group therapy è stata colma di suggestione per i detenuti. Oli psichiatri 0 gli psicologi cui è dovuto l'iniziativa (ed è chiaro che un compito così delicato ed avventuroso ha da essere riservato unicamente a psicologi e psichiatri) non si preoccupano di tener celate le vie che adducono alla redenzione o rigenerazione eticosociale del detenuto, non pensano minimamente ad avvolgere di mistero l'iter che può condurre al successo, i meccanismi terapeutici al cui impiego è affidata la salvazione del detenuto. Ai soggetti sottoposti al trattamento psicoterapico collettivo, essi usano parlare in termini umani, ma schietti, con riferimenti ad esemplificazioni di indole tecnica ohe valgono a dare la spiegazione del caso singolo o personale, ma a cui la folla dei detenuti finisce coll'interessarsi nella forma più manifesta. Se si ha da credere a certe attestazioni (e queJa del dott. Eckenstein, il quelle ha peregrinato per i reclusori del New-Jersey, della Oaroliìia e di New York, dove la group therapy ha superato ormai la fase della sperimentazione, è fra le più attendibili ed autorevoli) Freud è più popolare nel mondo dei captivi che in quello degli uomini liberi. Nessuno dei detenuti che sono sottoposti alla group therapy ignora 2'abc della psicanalisi, i suoi principi!, i suoi fondamenti; 1 termini che ricorrono nel linguaggio psicanalitico — osserva Eckenstein — sono diventati di uso corrente nell'ambito carcerario. Del resto, ti Recueil de documents en matière pénale et péni- tentiaire, èdito qui, a Ginevra, ha pubblicalo, di recente, una composizione in versi, dovuta ad un soggetto trattato con la group therapy, che è una ditirambica esaltazione del modernissimo indirizzo suggerito dalla scienza e, nello stesso tempo, un inno a coloro che ne hanno favorito l'applicazione oltre la cinta del carcere. Meno socievole l'europeo? Ma questo trattamento, che nei paesi anglosassoni va incontrando tanto favore — e non solo fra le torme dei detenuti —; che, stando alle statistiche, va offrendo risultati che sembravano mitici ed irraggiungibili con la tecnica comune e tradizionale (la recidiva, fra t soggetti rientrati nella società, dopo la group therapy, si abbassa a valori che sono motivo di stupefazione e di conforto) è applicabile ovunque ed a qualsiasi categoria di detenuti? Serie e fondate riserve sono state affacciate dal dott. Cannat, ispettore degli istituti penitenziari di Francia, il quale, al pari del dott. Eckenstein, ha potuto rendersi conto da vicino dell'applicazione che viene data in America al processo psicoterapico collettivo. Egli parte dal principio che l'americano — e, pertanto, il detenuto americano — è un essere più socievole dell'europeo. L'americano non è scontroso, cerca ed ama la ■vita di relazione, è, indubbiamente, più incline e preparato dell'europeo continentale a un trattamento tera- pteo collettivo. Basti pensa- re che, in America, talune chiese e sètte, che hanno largo seguito di fedeli, spingono l'idea della comunità sino ad imporre la confessione pubblica, da parte degli adepti, dinanzi ai membri della congregazione adunati in riunione plenaria. Ora, avverte il dott. Cannat, la group therapy potrà dare i suoi frutti nel campo della delinquenza minorile, ma potrà urtare, da noi, contro ostacoli insuperabili, ove si voglia estenderne l'applicazione alle schiere, òen più nutrite e compatte, dei detenuti adititi. Gli adulti, da noi, i detenuti adulti, si evitano l'un l'altro, si temono, si spiano, diffidenti e malevoli; sono (luminati da un senso tenebroso e tiranneggiante dell'io, che oppone invalicabili barriere alla vita di relazione. Ma vi ha di più/secondo il dott. Cannat, al quale non si può non riconoscere una vasta e profonda esperienza in questa materia. C'è un complesso curioso, nella personalità del detenuto europeo — soprattutto in quello francese, — che lo pone su un piano opposto o diverso da quello che è tipico o costituzionale per il detenuto anglosassone. Non solo l'europeo è riservato, quasi scontroso, ma egli teme di apparire ridicolo partecipando ad esperimenti e prove collettive che lo costringano a svelare il proprio io, a mettere a nudo i tratti più riposti della propria personalità. Quésto timore non esiste per gli anglosassoni, invece. Ma é, poi, vero che il sottostare ad un trattamento terapeutico ■collettivo possa costituire uj.-i mortificazione, una compressione lamentevole Sella personalità; possa esporre al i-idicolo; ridurre ad uno stato di umiliazione intollerabile e cocente/ Porterebbe assai in lungo prospettare le fasi in cui si compie e si esaurisce il tratta¬ mento psicoterapico collettivo, anche perchè, pur obbedendo a determinati canoni fissi, invariabili, la tecnica della group therapy si adegua o modella ai casi contingenti, subisce variazioni, non solo in rapporto alla eterogeneità dei soggetti, ma anche alle attitudini, all'abilità, alla esperienza del medico che pratica il trattamento. Ma la group therapy, per il tempo in cui si snoda il trattamento — da tre quarti d'ora a due ore, quotidianamente, per una lunga, ma non predeterminata, successione di giorni, — è lo svincolamento dai ceppi, e dalla mortificazione del numero, il ritorno alla vita, l'antivisione della libertà. Riuniti in gruppi di 10-20, a seconda dei casi, i detenuti, tratti dalle celle, siedono attorno ad un tavolo, per discutere degli argomenti che vogliono, senza fariseismi e senza sottintesi. Essi esordiscono, generalmente, con forsennate im¬ precazioni contro la società: fumano, bestemmiano, i piedi poggiati sul tavolo, lo sguardo torvo, l'animo che trabocca di rancore. Per placarli, per raumiliarli, per sedare i loro sfoghi, per pararsi dai loro dileggi, per spuntare le loro provocazioni, per indurli a discorrere della loro sorte, a meditare sulla loro sorte, anziché inueZenire contro la società, i giudici ed i carcerieri, il medico che presiede al trattamento deve, talora, usare la maniera forte: < Infine, di che cosa potete lagnarvi t Dopo tutto, non siete che dei reclusi ! ». Il monito cade in un diaccio silenzio. E via via, scandito da un ritmo che si misura a piccolissimi indici, il processo di rigenerazione si compie. In nessun caso, ai reclusi viene predicata la morale: il senso morale, che ha da essere alla base della vita, essi finiscono per riacquistarlo da soli. Francesco Argenta

Persone citate: Christophe Eckenstein, Freud

Luoghi citati: America, Berna, Francia, Ginevra, Gran Bretagna, New York