Corsa alla bomba atomica e inizio della guerra fredda

Corsa alla bomba atomica e inizio della guerra fredda — STALI UT fi I MA I» ETTO » Corsa alla bomba atomica e inizio della guerra fredda /ino del Caucaso e conversazioni confidenziali - Stalin teme che i tedeschi arrivino a mettere a punto l'ordigno - Dopo lo scoppio di Hiroshima s'impone la necessità di cambiare dalle fondamenta la politica estera russa Nessun interesse ad affrontare una nuova guerra - L'URSS si difende con l'incremento degli spazi controllati Le preoccupazioni per le ri-1cerche atomiche tedesche in-' cominciarono nel gennaio '42: ■ si sapeva che Hitler stava attuando il « piano Viking » e procedeva anzitutto ad accumulare riserve dì acqua penante in Norvegia. Se il nemico fosse arrivato a scoprire il principio della scissione nucleare, avrebbe avuto in mano il segreto «e allora — com■nentò un giorno Stalin — le nostre Industrie avrebbero il testino segnato! ». Qualche tempo dopo (si era net mese di febbraio) fui pre-|sente al Cremlino ad una visi-1 ia del professor Kapitza. Ne|avevo già sentito parlare come di un grande scienziato le 11'atomo; lo zio lo aveva invitato a colazione, e per la prima volta lo vidi osservare qualcuno con uno sguardo pieno di ammirazione. Anzi, parlava con Kapitza come uno scolaro parla col suo maestro; gli poneva delle domande quasi timidamente, scusandosi sempre che le sue richieste «di- mostrassero una completa ignoranza >. Kapitza rispondeva con semplicità assoluta e sì riferiva spesso ai dati della fisica elementare per farci comprendere meglio quello che diceva. Debbo confessare di non aver mal sentito una spiegazione cosi semplice e lineare. Mi ricordo che egli disse fra l'altro: «Dal punto di vista strettamente di laboratorio, la disintegrazione atomica è alla portata di quanti hanno studiato la fisica in liceo. Basta conoscere il principio di Ampère.. ». «Allora ci potremo mettere facilmente In. g-ado di applicare la disintegrazione atomica agli scopi di guerra? » domandò Stalin. . Kapitza ci guardò pensoso, e poi replicò: «Non credo! Si parla molto, ora, di bomba atomica, ma io vedo molte difficoltà e penso che ci vorrà molto tempo prima che si possa [mettere a punto il terribile or I digno i « Quindi non credete che I tedeschi arriveranno in tempo per utilizzarla contro di noi?» chiese ancora mio zio. Kapitza fu categorico: «E' dn escludere! E' vero che stanno creando forti riserve di acqua pesante, ma da queste alla bomba atomica ci corre assai... ». Vidi Stalin molto contento per questa dichiarazione. Parlò ancora con Kapitza per mezz'ora; verso la fine del colloquio entrò nella stanza un uomo accompagnato dal segretario di mio zio; un tipo spiccatamente armeno, piuttosto piccolo, con gli occhiali cerchiati di tartaruga. Mi accorsi che Kapitza non accolse con molto entusiasmo il nuovo venuto, e con la scusa del lavoro prese congedo. Lo zio mi presentò lo sconosciuto: «E' Il compagno Alikhanlan, il nostro giovane e valentissimo studioso atomico, membro del partito ». Alikhanlan Iniziò subito un attacco a fondo contro Kapitza, accusandolo di « mancanza di fede nella scienza sovietica », di « gravissime deviazioni filosofiche » nel suo Insegnamento, di « rinnegare il dogma scientifico del comunismo », e Infine di credere alla continuità della materia. Confesso che fui molto sorpreso vedendo che mio zio ascoltava attentamente, replicava ad Alikhanlan e faceva certe osservazioni, come se fosse in pieno al corrente dei contrasti fra 1 due scienziati... Il prof. Alikhanian Passò parecchio tempo dopo quell'Incontro: ero stato al fronte, avevo lavorato con il gen. Ptozaenko, ero tornato al Cremlino; Analmente nell'apri le del '45 andai con mio zio in Crimea. Una sera partecipai ad una riunione, alla quale oltre Stalin erano presenti Svettane, il segretario Poskrebyscev e un vice-segretario, Mikhail Pavlov. Poco dopo entrò la figura ormai a me ben nota del prof. Alikhanian, fiero di mostrare sulla giacca 1 nastrint delle nuove decorazioni: nelle settimane precedenti la stampa sovietica si era occupata dello scienziato con altissime lodi, e l'accademico Joffè l'aveva nominato suo primo assistente. Nonostante la delicatezza dell'argomento, Stalin Invitò tutti a restare, e così sentimmo lo studioso dire a mio zio: «Vi ho già scritto che 11 risultato dei miei studi sul campioni dimostra chiaramente come essi (e sottolineò la parola " essi ") non potranno arrivare alla bomba atomica che fra qualche anno ». Stalin replicò sorridendo: « E' proprio un buon lavoro! Mai nessun reparto dei nostri servizi segreti mi aveva messo a disposizione così rapidamen te e così Interamente segreti di tanta importanza! ». La frase mi stupì, perchè pensavo che « essi » fossero i tedeschi, e ormai tutti si sapeva che la resistenza della Germania non poteva. durare più di qualche settimana; intanto Alikhanian continuava: «Le loro ricerche nel campo magnetico sono ancora incerte, ed essi non potranno produrre che cento grammi al giorno, non di più ». è a e o o o a . . i e r anoe te nà oe o, e uo e o e i i oi e oo. « Adesso comincio a capire interruppe a questo punto Stalin — perchè Roosevelt a Yalta è stato così avaro di particolari; forse nemmeno lui crede di poter arrivare presto a un risultato concreto ». Il nome dì Roosevelt mi illuminò: ora capivo chi fossero « essi ». Lo scienziato armeno soggiunse che « i nostri amici » del Canada erano categorici: prima del 1947 gli americani non sarebbero giunti in porto. « Molto bene — commentò allora mio zio. — Bisogna accelerare la nostra produzione di uranio ed evitare a tutti i costi che gli altri abbiano la bomba atomica e noi no. Si produrrebbe uno squilibrio troppo grave nelle forze mondiali ». Alikhanian assicurò che l'avremmo avuta nel 1949. La conversazione con lo scienziato si protrasse per più di due ore; mio zio era in forma, anche perchè versava a tutti del buon vino del Caucaso e ne beveva un poco pure lui, nonostante la proibizione dei medici. « Guarda bene quest'uomo. Buda — mi disse ad un certo punto. — Il compagno Alikhanian è il nipote del capitalista Alikhanian di Tiflis, padrone della fabbrica di scarpe dove lavorò anche mio padre. Quell'AUkhanian non era davvero gentile coi suoi dipendenti e licenziò mio padre, perchè aveva reagito contro li capo reparto che l'aveva chiamato " cane georgiano ". La mamma pia-nse una settimana intera, perchè restammo nella miseria più nera. Ora il nipote lavora con noi ed è molto bravo; nè io ho mai pensato di vendicarmi su di lui per la miseria, che suo nonno portò in casa nostra». Mi accorsi che Alikhanian era piuttosto imbarazzato: da noi in Georgia vige la legge del taglione, che impone la vendetta fino alla sesta generazione... Nell'autunno del '48, quando già avevo occupato il mio posto a Budapest, andai per qualche giorno in licenza a Mosca e fui invitato una sera nell'appartamento di Poskrebyscev al Cremlino: il segretario di mio zio festeggiava, con degli invitati davvero ragguardevoli, l'Ordine di Lenin che aveva ricevuto da pochi giorni. Fu il consigliere della ambasciata ad Ankara a portare il discorso sull'atomica, rilevando che, dopo I'esplOBlone di Hiroshima, la stampa turca stillava entusiasmo da tutti I pori, e molti articolisti non escludevano che gii Stati Uniti, dopo aver piegato il Giappone, si rivolgessero contro la Russia, priva ancora della terribile arma. « E' assurdo! — ribattè un ufficiale dì Stato Maggiore. — Gli americani non sono tanto pazzi da rischiare un conflitto con nói per i begli occhi dei turchi ». L'ambasciatore Suritz sembrava meno ottimista. Molotov (rivelò) aveva convocato una conferenza al ministero degli Esteri e intendeva chiedere il parere dì tutti gli ambasciatori sul sensazionale fatto nuovo dell'atomica: dal canto suo, il ministro era del parere che bisognasse cambiare dalle fondamenta la politica estera russa e prospettarsi l'inevitabilità di un conflitto militare. « E gli altri partecipanti alla conferenza, che hanno detto? » gli fu chiesto. « Sono tutti d'accordo col compagno Molotov. Del resto, dopo quella riunione abbiamo già avuto le istruzioni del compagno Stalin... ». Equilìbrio spezzato A questo punto l'attenzione degli ascoltatori si fece più intensa. « Il compagno Stalin — continuò Suritz — pensa anche lui che l'equilibrio fra noi e il mondo capitalista si è rotto a nostro danno, dopo l'atomica americana. Si è creata ora automaticamente la minaccia di una nuova guerra, che non abbiamo nessun interesse ad affrontare. Stalin è del parere che occorre prepararci ad eliminare questa minaccia con una serie di misure urgenti e con una nuova politica in Asia ». « Bisogna prima di tutto avere l'atomica anche noi », Interruppe • il ministro della Sicurezza. « D'accordo — riprese Suritz, — ma non possiamo sapere quando l'avremo, e dobbiamo compensare questa deficienza con le carte che possiamo gettare ora nel gioco internazionale. All'enorme incremento della potenza militare americana dovuto all'atomica, dobbiamo opporre un incremento dello spazio controllato da noi; dovremo non solo ampliare questo spazio in Europa, ma crearne uno nuovo in Asia, ovunque sia possibile farlo senza arrivare ad una guerra ». Gli astanti rimasero un po' silenziosi e assorti. Infine il segretario di mio zio si decise a chiedere: «E se il nemico incominciasse la guerra prima che noi riusciamo a creare questo spazio di difesa?». « Le direttive del compagno Stalin — replicò Suritz — prevedono un'estrema prudenza nell'applicazione dei nostri plani: nessuno dei Paesi, che entrano nel nostro sistema di difesa, sarà assorbito con la violenza Si tratto di creare una situazione di democrazia formale, nella quale il partito comunista, attraverso i due posti-chiave dei ministeri degli Interni e della Guerra, giunga al dominio assoluto senza offrire mai all'U.N.O. il pretesto per intervenire ». Così conobbi in quella conversazione le direttive fondamentali della « guerra fredda ». Budu Svanidze Copyright de « La Stampai» e dell'*Opera Mundi»