Cordialità con Roosevelt lievi ironie per Truman

Cordialità con Roosevelt lievi ironie per Truman -i- STALI M MI HA » ETTO — Cordialità con Roosevelt lievi ironie per Truman Uno scherzo del Generalissimo; si nasconde nel lavabo, per spaventare Beria - Roosevelt ride ed esclama: "Più vi conosco e più mi convinco che si può arrivare ad un accordo con voi,, - Un'esibizione pianistica di Truman - Ma Stalin si accorge che il suonatore sbaglia le note e per nascondere le stecche pigia sul pedale... L>a mia visita a Mosca nel-[l'autunno del '45 riuscì molto Interessante anche per i parti-1 colari che potei conoscere su-lgli incontri di Stalin con Roo-| se ve li e Truman. In parte li [ebbi direttamente da mio zio,, ìn parte da mia cugina Sve-(tlana. | Il primo incontro Stalin-Roosevelt avvenne a Teheran. Mio zio era piuttosto prevenuto contro di lui, perchè non gli piacevano gli stretti rapporti fra Washington e il Vaticano: In linea di principio, egli era ostile a quanti avessero relazioni con la Santa Sede. < Non possiamo aspettarci nulla di buono dal Papa >, lo intesi dire una volta. Ma incontrandosi col Presidente americano, Stalin comprese che egli era del tutto estraneo a certe combinazioni di provenienza romana. «Lo capii — spiegò — quando Roosevelt mi intrattenne sulla parte dei cattolici nelle elezioni degli Stati Uniti. Roo sevelt era preso dalla sua macchina elettorale, ecco tutto>. Sì può dire che a Teheran si stabilisse subito quella cor dialità di rapporti fra mio zio e il Presidente, che doveva mantenersi immutata anche in seguito. Anzi Churchill si mostrò ben presto inquieto, e si seccava molto quando Roosevelt, con una scusa o con l'altra, evitava di accettare i suoi inviti a pranzo. Il fatto si è che a Teheran il Presidente era ospite dell'Ambasciata russa, ed oltre tutto preferiva nettamente la nostra cucina a quella inglese. Un giorno, anzi, ebbe a parlare di questa sua simpatia, pur dicendo a mio zio che fra tutte preferiva la cucina spagnola, un gusto ereditato forse dal suo grande antenato Teodoro Roosevelt. Il richiamo all'antico Presidente degli Stati Uniti non piacque a Stalin, che lo sapeva grande nemico della Russia, e amico del Giappone nella guerra contro di noi dei primi anni del secolo; il Presidente, però, fu pronto a dare un chiarimento storico sul suo predecessore e parente: «Teodoro — disse Roosevelt — ebbe a pentirsi amaramente di aver sostenuto il Giappone. Ero ancora molto giovane quando mi confessò di aver commesso un terribile errore sostenendo contro la Russia, potenza continentale, i giapponesi, che sono dei marinai, e previde che un giorno il Mikado ci avrebbe sfidati in una battaglia per la vita o per la morte ». Fu proprio a questo punto e in questa circostanza che Stalin, levandosi in piedi, dichiarò solennemente di essere pronto a sostenere gli Stati Uniti contro il Giappone, appena terminata la guerra contro la Germania: ciò accadde il 1» dicembre 1943 a Teheran. Il Presidente si trasfigurò per la gioia: prese la mano di mio zio e stringendola con effusione, esclamò: «E' proprio il più bel giorno della mia vita! Vi confesso che non avrei mai sperato di avere da voi una promessa tanto spontanea. Vi dirò, anzi, che molti di noi pensavano che avreste preferito vederci battere da soli contro i giapponesi, fino al nostro massimo spossamento. Quanto avete detto ora, dà la misura esatta della vostra sincerità». Sicurezza del debitore Un altro argomento discusso a Teheran fu quello di un grande prestito americano all'URSS: Stalin lo sollecitava, perchè il Paese aveva subito danni terribili, e altri ancora molto gravi avrebbe dovuto sopportare prima della vittoria. Roosevelt disse di condividere il suo parere e di aver già esaminato la questione con il segretario del Tesoro Morgenthau, il quale aveva fatto anche una cifra: dieci miliardi di dollari. Stalin rispose a sua volta che la proposta faceva onore a Morgenthau; quindi spiegò che la cosiddetta «autarchia sovietica» era dovuta soprattutto alla separazione della Russia dai Paesi non sovietici. Qui il Presidente interruppe mio zio, facendogli osservare che la teoria della rivoluzione mondiale non favoriva davvero gli scambi nel mondo; per arrivare ad una mu- tua comprensione, bisogna Invece praticare il commercio con tutti i popoli. Un grande prestito americano all'URSS sarebbe stata la prova migliore che gli Stati Uniti non intendevano riprendere la politica anti-russa, come ai tempi di Coolidge e di Hoover. «Del resto — aggiunse — i banchieri non ammazzano mai il debitore solvibile ». Una grossa inquietudine A Yalta si arrivò ai ferri corti sulla sistemazione della Polonia, poiché Roosevelt si associò al punto di vista di Churchill, ma, nonostante questo contrasto, quelle giornate non fecero-che accrescere la ammirazione di mio zio per il Presidente. Si stupiva che Roosevelt, quasi moribondo, facesse migliaia di chilometri, negoziasse senza stancarsi, prendesse iniziative audaci e rivelasse tante qualità di abile diplomatico. Era anche molto inquieto per la sua salute: se per sventura Roosevelt fosse morto a Yalta, sarebbe caduta in mano alla propaganda tedesca un'arma formidabile. Perciò decise che. se ci fosse stato ancora un altro incontro con il Presidente, lo si sarebbe dovuto organizzare su una nave da guerra americana, senza toccare il nostro territorio. Naturalmente a Yalta 1 servizi segreti russi erano mobilitati tanto per la sicurezza dei Presidente che per quella di Stalin, e Beria fu dichiarato dal Politburò personalmente responsabile dell'incolumità di entrambi. Beria, a sua volta, aveva designato il col. Sorokkin e 11 cap. Delianov della NKVD quali comandanti del reparto addetto alla sicurezza personale di Stalin: i due ufficiali non dovevano mai perdere di vista il dittatore, e anzi trovarsi sempre alla minor distanza possibile da lui. Ma un giorno mio zio, stanco per la vigilanza cui era sottoposto anche nella sua villa, giocò un tiro birbone ai suoi angeli custodi; e lo fece prevenendo Roosevelt, il quale si diverti un mondo a quello scherzo, e commentò: «Una volta tanto vi troverete alleato con i capitalisti contro la NKVD! ». Stalin scelse un momento, in cui i due ufficiali erano occupati al buffet; scivolò per un corridoio e si chiuse in un lavabo. Poco dopo udì i colpi secchi degli stivali di Sorokkin e Delianov, che giravano perdutamente per i corridoi e nelle stanze, giungendo anche nel vestibolo che precedeva il lavabo. Sorokkin gridò con la angoscia nella voce: «Compagno Stalin, vi stiamo cercando! Il compagno Berla è inquieto ». Mio zio non rispose, e i due erano così sconvolti che non pensarono neppure di tentare la porta; continuarono a salire e a scendere per le scale, finché Stalin si decise ad uscire. Allora vide che Beria aveva già. fatto circondare la villa da centinaia di agenti: « Per poco che avessi tardato — commentava sorridendo mio zio, nel narrare la storia a Roosevelt — Beria sarebbe stato capace di far arrestare il Presidente america» no con tutto il suo seguito ». . Roosevelt scoppiò in una franca risata quando apprese le reazioni di Beria, poi disse a mio zio: « Più vi conosco, e più mi convinco che è possibile arrivare ad un accordo con voi. Chi è capace di combinare scherzi simili, pur essendo il capo di un grande Paese, è un realista al cento per cento, e un accordo con lui rientra nell'ordine normale delle cose. Hitler non ne sarebbe mai capace! ». La « Marcia turca » « E nemmeno Churchill — aggiunse Stalin. — Nè io, del resto, avrei mai pensato di fare uno scherzo simile nella villa dove abita Churchill, perchè Beria avrebbe adottato molto volentieri misure immediate ». «Povero Winston! — replicò il Presidente. — Avrebbe finito i suoi giorni in Siberia ». Parlando di Potsdam e del suo incontro con Truman, mio zio diceva di « aver trovato in lui un uomo molto intelligente, che sapeva bene quello che voleva; però era un accanito giocatore di " poker " e aveva l'abitudine di trasferire integralmente nella diplomazia la strategia del gioco ». Anche Truman, come Roosevelt, cercava di stabilire una corrente di amicizia personale e di fiducia, ma si sentiva nello sforzo qualcosa di artificiale. Non era più la stessa cosa. «Cercava soprattutto di far colpo su di me col suo virtuosismo musicale. Pensava proprio che fossi un novizio — commentava mio zio — e igno. rava che conoscevo già bene il solfeggio quando studiavo nel Seminario di Tiflis. Cosi mi accorgevo che sbagliava spesso le note, e cercava di nascondere le stecche pigiando sul pedale. Un giorno mi suonò la " Marcia turca ", guardandomi poi con un'aria di trionfo come sn avesse fatto una cosa eccezionale; e pensare che Svetlana la suonava già all'età di dieci anni! Viaceslay (nota: Molotov, discendente da una famiglia di famosi musicisti) mi guardava con un sorriso ironico, e voleva andare al piano per dimostrare la nostra superiorità su Truman. Lo trattenni con un gesto: non bisognava guastare con simili sciocchezze la buona disposizione del Presidente ». Budu Svanidze Copyright de « La Stampa » a dall'*Opera Mundi»