La grande paura di Francesco Bernardelli

La grande paura La grande paura Borghesi «molto colti», sublimi « intellettuali », signore che leggono Kafka (e schivano il Manzoni), questo soltanto temono: di non apparire abbastanza snob. E' la grande paura. Infelice chi non avvampa e delira al solo nome di Chagall, e più infelice quegli che non sa chiudersi, freddo e sprezzante, nei suoi ironici pensieri. Storia vecchia. Le « Preziose ridicole » non sono una commedia: sono un aspetto perenne dell'umanità. Qui tra noi, in Italia, lo snobismo si complica con quell'altro vezzo di prendere tutto tremendamente sul serio. Non vi è margine, qui, .per un capriccio, un umore improvviso, per la fantasia e la sincerità. Non v'è posto per quel dolce abbandono del mi piace o non mi piace. Subito i « saputelli », i « letterati » vi colgono in fallo. Dire familiarmente, senza troppo impegno, ciò che si pensa, si sente, si ama, è quasi offensivo: il paradosso* è vietato, la libertà negata, lo scherzo illecito. Antica accademia italiana, conformismo tanto più tirannico quanto più si tratti di cose che vorrebbero essere nuove e innovatrici, spregiudicate e audaci. E' frequente nel letterato italiano l'uso di scrivere non già per sè, a sfogo dell'anima e della mente, e per i propri lettori, ma per i colleglli. Si fa il romanzo, l'articolo, il saggio, sempre con il pensiero lì: e che dirà Caio, romanziere insigne? e che dirà Tizio, saggista emerito? siamo o non siamo in regola? A illustrare quest'animo dogmatico, accademico, astratto, dei letterati « puri » può servire un caso in ogni senso esemplare. Si parla di Benedetto Croce e di quelli che a lui si rifanno, quasi discepoli. Maestro insigne e venerando, luce trasparente e alta per mezzo secolo, Croce ha fatto una specie di rivoluzione nella cultura d'Italia. Ne sono venuti beni incalcolabili, e alcuni mali. I- beni ce li ha messi tutti lui, naturalmente; il male lo hanno fatto i suoi quasi discepoli. In cinquant'anni, essi ancora non si sono assuefatti a quel gran libro dell'Estetica. E ancora gettano grida di gioia per le chiavi facili, troppo facili, che male interpretate e male usate, esso offre all'intendimento e alla critica dell'arte. Non l'hanno assimilato, no, rifatto proprio; ma, aggrappati a quelle pagine come il naufrago alla zattera, essi, ridotto il vivente pensiero a formulette e giaculatorie, credono di dar fondo così alla fantasia e all'arte, e alla poesia del mondo intero. Ne è stato tratto un immaginario codice penale. O così o la morte. E ancor oggi se qualcuno ha dimenticato, o finge di dimenticare quegli alti pensieri per una sua fantasia casalinga e bonaria, gli vengono sotto, alzando il ditino, ed esclamano: — Brutti e cattivi, attenti! Vi metteremo in castigo. I tapini hanno perso l'occasione di apprendere il più grande insegnamento che Croce ci diede; lui che continuamente ripensò se stesso e l'opera sua, e sempre k corresse, e la indusse in forme nuove, più adeguate alla realtà: l'insegnamento di essere liberi davvero, spontanei, istintivi, e di ripercorrere a modo nostro i solchi eterni dello spirito e della memoria. La storia della fortuna e della •fortuna di Croce, ossia delle sue grandi e fertili virtù, e delle assurde, provincialesche imita zioni che ne hanno fatto i po stillatori, insegna come è facile tradire. E quel gran timore di non parere abbastanza raffinati e intelligenti, vi conduce poi a precipizio nei più ameni trabocchetti. Non è difficile, ad escm pio, scrivere di scrittori difficili; di labirinto in labirinto, di oscurità in oscurità un uomo «bile di penna se la cava sempre. Ma essere « intelligentissimi » ponia mo con Goldoni; qui ri voglio. Così chiaro, limpido, alla mano, ci vedi fino in fondo. Lo sai benissimo che dalla piccionaia alle poltrone di prima fila tutti lo intendono come te, o caro critico che hai pur da scrivere il tuo pezzo. E allora che dire? ' Si potrebbe dire, che so: — Oh caro, vecchio Goldoni, quanto sei simpatico, come si sta bene in tua compagnia, com'è tutto onesto, lieto, malizioso e fine quello che hai messo nelle tue commedie, che si capiscono subito, parole e intenzioni... Ma questo sarebbe banale: e allora si cerca, si scruta, si ricorda. Certo Goldoni ebbe le sue traversie, e gli amori e i disinganni; e il suo tempo fu pur tormentoso come tutti i tempi, e magari, quel povero e grande e sincero amico degli uomini soffrì di nervi. Trovato. E un giorno infatti ci toccò di leggere: l'insonne Goldoni. Ma se era « insonne » Goldoni, che diremo poi di Strindberg, di Ibsen, di Pirandello? Perchè, francamente, il fondo delle cose, l'esperienza della vita, gli uomini, le donne, la fantasia sono così familiari, così affabili, così dolci all'uomo che sa vivere secondo il suo « talento », sul filo della sua musica interiore, che via via l'imbarazzo cade d'ogni ambizione intellettuale, d'ogni puntiglio concettoso. E a quella amicizia serena egli si abbandona, e tutto il resto gli parrà vano. E riprendendo la parola appena pronunciata, quel « talento » così intimo e caldo nel suo senso dantesco, potremmo con Dante ripetere il grande srranslevnlscbcracppcdcal sogno di fronte all'arte all'amore alla morte, potremmo invitare la poesia, così, umilmente, a fare con noi il nòstro cammino, a non respingerci e che anzi: vivendo sempre In un talento, di Htnru Insieme crescesse '1 disio. A che si riduce la paura di non essere al corrente, di passare per imbecilli, di non aver letto l'ultimo libro pornografico ed ossessivo, se uri poeta vero vi assiste? E che v'importa di non aver rispettato le regole e le false cerimonie del conformismo intellettuale, e che vi dicano retrogrado, blasfemo, « robetta », se, accolte come si deve, con modesta discrezione, queste rampogne, vi volgete poi, sicuri, al Petrarca od a Leopardi, nella certezza di trovare lì, la pace profonda dell'essere? Sorridete pure, ingenui e accorti, delle convenzioni e delle convenienze della letteratura alla moda, purché rimangano con voi i dolci affanni dell'umana progenie, e l'amoroso canto. Francesco Bernardelli

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