Riderci sopra

Riderci sopra Riderci sopra Agosto. Il pavimento della bottega di Pompe Funebri Caianicllo, investita dal sole che in quei giorni colpiva Napoli con l'accetta, era di calce; l'impulso di ritrarne i piedi molestava talmente don Generoso Cerrito, . che egli, adagiato con sufficiente dignità sul rognoso divano, se li teneva quasi in grembo. — Don Enrico, io parola d'onore soffoco — brontolò. — Mi sento nelle vene i falò di Sant'Antonio... se mi toccate sprizzano faville. Il Tùmmolo: — Ho comprato a Forcella un ventilatore americano. Fra poco arriva, e mi darete una voce. Che meraviglia. Era destinato ai nuovi uffici del Comando loro, in Piazza Principe di Napoliqualche sergente lo ha fatto sparire con l'imballaggio e tutto. Il tosatore di ciuchi don Saverio Tinco: — Gesù Gesù. Quelli se non ci vendono sottomano la Statua della Libertà, è perchè gli riesce difficile il trasporto. Don Fabrizio Cuccurullo, il procacciatore di documenti: — Voi la situazione americana, egregi signori, non l'afferrate. Là si tratta di un circolo vizioso. Il Governo li spoglia mediante le tasse; e loro, dove riescono a rimanere per un attimo soli con il Governo, gli levano pure la camicia, fuorviando merci e dollari. Cosi mentre in Russia la proprietà è un furto, in .America, tanto per il privato quanto per la Nazione, la proprietà è semplicemente il risultato degli innumerevoli tentativi "di non lasciarsi derubare. Don Generoso Cerrito: ; — Avete ragione. Ma l'importante è sempre la materia prima: ovvero che da una parte e dall'altra ci siano valori agguanta• bili. A Napoli basta guardare l'abbigliamento nostro e le penne degli uffici telegrafici... che malinconia. Don Enrico, a proposito, come andiamo con i decessi? Don Enrico: — Non è la stagione adatta. Con una simile temperatura la gente bolle, si sterilizza. L'unica eccezione è stata, l'altro ieri, don Guglielmo Tagliamuollo, poveretto. Noi: — Chi, il venditore di fichi d'India? Don Enrico: — In persona. Completamente. Ah ah ah ah, io sto ridendo ancora. Don Fabrizio, rammenterete che Tagliamuollo aveva come voi una gamba di legno:., ora che lo abbiamo perduto, il rione Stella, che prima si bilanciava, è squilibrato, è zoppo. Don Fabrizio, vagamente impermalito: — Che c'è da ridere? Il Tùmmolo: — Perchè don Guglielmo come è vissuto, cosi è morto. Quello era un ateo dei guai e dell'afflizione, un vescovo della gioia, della contentezza... e fino all'estremo non ha cambiato idea. Quanti secoli dovranno ammucchiarsi, effettivamente, prima che si determini tra Foria e Capodimonte un altro don Guglielmo Tagliamuollo? Disgrazie, malattie, contrarietà, scivolavano su di lui 'come fiocchi di neve sull'acqua arruffata e chiara di un torrentello di montagna. Egli era il naturale e maggiore depositario del piacere di esistere, una profonda ingualcibile radice della pianta dell'allegria meridionale, cosi verde e persuasiva quando non geme lacrime di sangue. A diciotto anni, falciato da un tram, dovette separarsi dalla sua gamba destra; il diavolo sa come riuscì ad ottenere l'arto e a seppellirlo in un giardino di via Gonfalone: ogni domenica accendeva un lumino su quel parziale sepolcro; bella mia non tornare, le diceva, sono cresciuto di statura e rimarrei troppo sciancato egualmente. Don Guglielmo era soprattutto noto come venditore di fichi d'India (mentre s'industriava in cento altri modi) perchè quell'attività gli somigliava di più: ciascun frutto da lui sbucciato e offerto, con quel rosso di gengiva, e con la dentatura dei semi forti e lesivi, era una risata nel piattino. Il Tagliamuollo gongolava anche dormendo. Venne il terremoto e lui disse: «Mi ha guarito un orologio che nessuno era capace di far funzionare... osservate se oggi non spacca il minuto ». Venne l'eruzione e lui andò a esorcizzare lava e cenere a Resina: modulò un buffissimo «pernacchio» radiante, uno sberleffo pennuto e variegato come la coda di un pavone; e il Vesuvio, intimidito, s'acquetò. Vennero i bombardamenti aerei del '42: e don Guglielmo, prima di intanarsi nelle grotte, raccomandava sghignazzando a qualche altarino murale del Patrono di Napoli: «San Gennaro egregio, ci siamo, non fatevi far fesso! », Gesù, chi ci aveva sorpresi e divertiti per decenni, con le sue beffe impareggiabili, con i suoi motti astrusi, con la sua faccia scalena, deviata, con la sua mimica essenziale come un telegramma? Chi aveva dileggiato fascisti e antifascisti, repubblicani e monarchici, preti e laici, ricchi e poveri, il si e il no di ogni cosa?, Dietro il suo malfermo trespolo sistemato all'angolo del Museo Nazionale, don Guglielmo vedeva e udiva tutto «Quello è una Maestà a rotelle» disse quando, l'otto settembre, il Re abbandonò Roma. E poi: «Nenni e Togliatti hanno il Mussolini in corpo ». E infine, alludendo 2 un famoso perso¬ ndtds1sdrllrntczsgmsmdetefcicgeGlrscpncsmgsctm1sgdSiipdntsCsEmnqmvavaFrvncPsfgmpplsdgfqmnFlmtnsntpnttdrmvrv naggio liberale mai arresosi al despota nero : « Non m'incantano la fierezza e il coraggio degli uomini che non hanno bisogno del prossimo per vivere... 10 sottoscritto disprezzo i clienti solo a tarda sera, dopo aver venduto ciò che avevo da vendere ». Fu visto crucciato una sola volta: quando, allontanatasi la guerra, ed essendosi Napoli rialzata sui ginocchi, l'esplosione di una nave carica di proiettili insanguinò la riviera. Disse, con una smorfia: «Abbiate pazienza, ma anche il Nazzareno sulla croce, assaggiando la spugna imbevuta di fiele, si senti momentaneamente orfano ». Insomma Tagliamuollo era Tagliamuollo; e lo sterminato gestore dell'Agenzia Caianiello, madido e lucido come Nettuno, continuò: — Mi mandano a chiamare., entro nel suo basso al Vico Tofa, e incominciamo a a stabilire che don Guglielmo, zitto zitto in mezzo ai ceri, strizzava l'occhio. II Cerrito: — Come sarebbe? Il Tùmmolo: — Intendiamoci: le palpebre gliele avevano abbassate, ma la espressione era quella. Anzi don Guglielmo strizzava l'occhio illimitatamente, con l'intera figura. La parentela, disgraziati, mi sbirciavano pensando: « farà anche a don Enrico la stessa impressione? ». E io, mi conoscete, non ebbi difficoltà a certificare che il morto ci sfotteva. Del resto, ne volete la prova? Andiamo per vestirlo e notiamo un gonfiore... un curioso gonfiore sotto il secondo bottone della camicia da notte, proprio all'altezza del cuore. Io tasto: un meccanismo agisce e mi addenta 11 pollice... era uno di quegli scherzi a molla che don Guglielmo commerciava nei giorni di Piedigrotta o in Carnevale. Il Tinco: — Padre, Figliuolo e Spirito Santo! Mentre già gli mancava il fiato, quello aveva predisposto il giochetto? Don Enrico: — Esattamente... e figuratevi il popolino! Chi si spassava e chi distillava i numeri del lotto. Ma non eravamo che all'inizio. Tutt'a un tratto si presenta don Gaspare Acerra, il taverniere dei Cagnazzi, seguito da un paio di sguatteri con le ceste sul capo. Egli ci informa che il Tagliamuollo, da anni, gli aveva ordinato un eccezionale pranzo per quella occasione. « Pregherete la mia famiglia che mangino e bevano alla mia salute eterna » gli aveva raccomandato. Dunque, volenti o nolenti, ci mettemmo a tavola. Roba da « Scoglio di Frisio », roba da « Pietro a mare »... in ultimo deponiamo i tovagliuoli e un progressivo tintinnio ci avverte che stanno avvicinandosi i gelati e i babà di Profeta.. Don Fabrizio Cuccurullo: — S'era inteso pure con il pasticciere? Il Tùmmolo, ironico: — No. Dolci e cremolate ci favorivano spontaneamente... Il tosatore di ciuchi: — Mamma "mia... Don Guglielmo è da invidiare doppiamente: perchè se n'è andato pazziando pazziando, ma anche perchè ora come ora non soffre igsbltsdu il caldo che soffriamo noi. Vi giuro, non ne posso più. Don Enrico: — Non sottovalutate l'America... Ecco in tempo in tempo il ventilatore di Mister come si chiama. Entrò una scatola enorme sulle braccia di un facchino. La sventrammo, liberando l'atteso capolavoro meccanico. Uno scintillio di metalli pregiati ci incbbriò, ci insignorì. Era un ventilatore maiuscolo, a cinque potenti ali, grigliato, liscio e tenuamente azzurro come la pelle stessa di Eolo fra nube e nube. Il Tùmmolo innestò la spina. Una vorticosa brezza si librò e discese, mille fluttuanti braccia umide ci avvinsero. Don Fabrizio: — Siano rinfrescate le anime del Purgatorio! Il Tinco: — Don Enrico, vi dispiace se mi tolgo i calzoni? Il Tùmmolo: — Fate il comodo vostro. Siamo zitellucce, qui? Giuseppe Maratta

Luoghi citati: America, India, Napoli, Roma, Russia