Il nipote del Maresciallo ce lo descrive in pantoiole

Il nipote del Maresciallo ce lo descrive in pantoiole STALIN MI MA BUTTO Il nipote del Maresciallo ce lo descrive in pantofole Immagine segreta della vita del dittatore - Scherzi del generalissimo - La calvizie e la pancetta del suo segretario gli destano il buon umore - Rimproveri nell'intimità - Come Hitler riuscì a ingannare la Russia - Un telegramma di Ribbentrop male interpretato - Responsabilità del grosso errore condivisa con Zukov e Molotov Stalin intimo, Stalin nella vita familiare, Stalin al suo tavolo di lavoro e nei momenti dell'abbandono e delle confidenze, Stalin in pantofole a casa sua: nessun biografo ci aveva mai dato una immagine cosi compiuta e segreta della vita del dittatore, come quella che Budu Svanidze è ora In grado di offrirci. Per quanto non abbia mal ricoperto alte cariche politiche, lo Svanidze ha conosciuto Stalin e la sua cerchia intima meglio di qualsiasi altro profugo; egli era legato con il generalissimo da un duplice vincolo di parentela. Sua madre era cugina in primo grado del dittatore, e suo padre era fratello della prima moglie; Svetlana gli voleva molto bene: Budu era dunque accolto come un parente stretto e gradito in casa di Stalin prima ancora che, durante la seconda guerra mondiale, entrasse nella sua segreteria e lavorasse per anni in stretto contatto con il grande zio. All'epoca della Rivoluzione d'ottobre, lo Svanidze aveva appena vent'anni: si trasferì a Mosca e fece una brillante carriera negli uffici economici del partito e del Ministero degli Esteri, partecipando anche a conferenze internazionali. Dopo l'intermezzo della guerra, fu inviato in Ungheria e resse l'Ufficio economico di occupazione a Budapest; qui conobbe una ragazza magiara, se ne innamorò e decise di sposarla. Ma da Mosca negarono e il consenso al matrimonio e il visto d'ingresso alla sposa; Budu, allora, preferì rompere con la Russia e rifugiarsi in Occidente. Non ragioni politiche, ma sentimentali sono dunque alla base della sua scelta; ciò spiega perchè le sue rivelazioni siano eccezionalmente serene ed obbiettive. Profugo dalla fine del 1950. Budu Svanidze ha pubblicato l'anno scotso, mentre era ancora vivo il dittatore, un volume su Stalin nella vita privata e familiare, dal titolo « Mio zio Giuseppe » ; ora che il suo illustre zio è morto, fa seguire un volume di rivelazioni politiche sul generalissimo, sul suo entourage e sulla sua attività di statista, intitolandolo, alla Rauschning, « Stalin mi ha detto ». Esso costituisce un documento di eccezionale importanza per la storia recente della Russia, e non soltanto della Russia; «La Stampa» ne presenta per la prima volta in Italia alcuni capitoli, sugli avvenimenti che vanno dall'inizio del conflitto con la Germania agli ultimi episodi della guerra fredda. Sull'inizio del conflitto fra Russia 0 Germania pesa ancora un fitto mistero. E' certo che il mio Paese venne coìto di sorpresa e che centinaia di apparecchi sovietici vennero subito distrutti al suolo, paralizzando l'efficienza dell'arma aerea nella prima fase del conflitto. Come riuscì Hitler a ingannare il servizio segreto dell'URSS, di cui tutti per contro conoscono l'attenta vigilanza t Nella tragedia della seconda guerra mondiale, l'enigma di quei drammatici giorni ha un'importanza fondamentale, tanto più se si pensa che proprio il SS giugno 1941 mio zio se ne stava tranquillamente a pescare in Crimea, e durante una gita in mare ebbe notizia dell'aggressione. Nell'inverno 1941-4S ero addetto alla segreteria personale ,di Stalin; lavoravamo nel rifugio a prova di bomba costruito sotto il Cremlino. Una sera, esattamente il 6 novembre, Stalin volle riunire a cena i suoi intimi; eravamo soltanto Svetlana, il segretario di mio zio gen. PosUrebyscev, il sottoscritto e pochi altri. Per quanto la situazione fosse piuttosto grave (i tedeschi si trovavano a soli 35 chilometri da Mosca), Stalin era di buon umore; scherzava con noi e soprattutto col suo segretario, che prendeva vivacemente in giro per la sua calvizie e per la sua incipiente pancetta, niente affatto bolscevica. Fu proprio Svetlana a portare ad un tratto la conversazione sull'inizio del conflitto. Dichiarazione imprudente «Lo so, to so — disse Stalin — si dice in giro che io e Molotov ci siamo lasciati ingannare da Hitler e da Ribbentrop. Mi si rimprovera soprattutto la mia partenza del 16 giugno per andarmi a riposare a Sochi ». Un'altra cosa, che fra gli intimi veniva apertamente rimproverata a mio zio, era la dichiarazione fatta quello stesso 16 giugno a Voroscìlov: « Ora sono del tutto, certo che Hitler ha organizzato un gigantesco bluff. Tutti i concentramenti di truppe alla frontiera servono a preparare la più grottesca partita di poker diplomatica che la storia abbia mai visto. Ma non ci lasceremo ingannare e rimarremo fermi davanti alle esigenze tedesche! Cederemo appena quel tanto che sia sufficiente a calmarli e tenerli sulla corda, in modo che la guerra non termini troppo presto. Non vogliamo che sconfiggano troppo rapidamente gli anglosassoni e ' dopo si dedichino a noi ». Queste parole il maresciallo Voroscilov le registrò accuratamente, e sono rimaste fra i documenti ufficiali. Quella sera nessuno conosceva ancora il testo di quella dichiarazione, ma tutti eravamo al corrente delle critiche suscitate da quella famosa partenza di Stalin per Sochi. Mio zio, rivolgendosi al segretario, ad un certo momento gli disse: « Tu sei quasi sempre un buon osservatore, compagno, ma alla vigilia della nostra partenza per Sochi non ti sei accorto di una visita in particolare » — e allo sguardo interrogativo del segretario, mio zio continuò: * Sì, la visita del compagno Zukov, il capo di Stato Maggiore ». Poskrebyscev rispose con un'alzata di spalle: « Ma Zukov veniva a trovarvi quasi tutti i giorni e quella volta, se ben ricordo, voleva parlarvi della necessità di annullare l'ordine sulla entrata in azione automatica della nostra aviazione, nel caso di uno sconfinamento di truppe tedesche... ». « Si, proprio io annullai quell'ordine, perchè temevo che qualche nostro compagno troppo entusiasta potesse trasformare un piccolo incidente di frontiera in una battaglia aerea generale, che dopo non saremmo più riusciti ad arrestare. C'erano troppi soldati ai due lati della frontiera, e gli incidenti potevano nascere da un momento all'altro. Ma se avessi saputo che i tedeschi avevano già preso la decisione di scattare all'attacco, non avrei mai annullato quell'ordine. Ci è costato più di duemila apparecchi distrutti al suolo». « Ma perchè allora annullasti l'ordine? », chiese la figlia. « Proprio per le informazioni che mi portò Zukov quel giorno! Noi siamo sempre stati molto fieri dei nostri servizi di spionaggio, i migliori del mondo, ma quella volta — debbo dirlo amaramente — ci siamo fatti giocare ». « E allora perchè non avete agito contro i responsabili delle false informazioni, Zukov e il suo servizio di spionaggio f », interruppe bruscamente Poskrebyscev, che fra l'altro non poteva vedere Zukov. Stupore di Svetlana «Le informazioni non erano false, anche se ci condussero ad un errore grossolano». « Proprio non ci capisco più niente », esclamò allora Svetlana. Mio zio, che nonostante l'argomento scabroso restava di ottimo umore, sorrise e spiegò: « Quel giorno Zukov mi aveva detto, cominciando il suo rapporto: ora abbiamo le prove formali che i tedeschi bluffano. Si. preparano a presentarci delle domande durissime verso i primi di luglio, e tutti i loro concentramenti di truppe alla frontiera non serviranno che ad appoggiare le loro richieste. Così dicendo, mi mostrò la copia di un telegram¬ ma in codice, che Ribbentrop aveva spedito al ministro di Germania a Budapest. « Come seppi dopo, il telegramma era scritto nel "codice di viaggio" di Ribbentrop, che in quel momento si trovava a Venezia, e il codice naturalmente era noto al nostro spionaggio. Il messaggio diceva testualmente: "Segreto di Stato. Trasmettete queste informazioni strettamente confidenziali al presidente del Consiglio di Ungheria. In considerazione dei forti concentramenti di truppe russe alla frontiera tedesca, il Fuehrer sarà costretto, non più tardi dei primi di luglio, a chiarire le relazioni tedesco-russe, e a presentare la richiesta di certe concessioni, che i sovietici troveranno estremamente difficile da accettare". « // telegramma era del 15 giugno. Ora, nella prima metà di giugno tutti noi eravamo presi dall'ansia di chiarire il mistero dei preparativi militari tedeschi alla nostra frontiera. Lo stesso Zukov ad un certo momento fu del parere che bisognava tenersi pronti alla guerra, ma quando, quella mattina, mi portò il telegramma di Ribbentrop, non ebbe esitazioni: Hitler bluffava. E io condivisi il suo giudizio ». Poskrebyscev replicò: « Ma l'errore fu di Zukov! Egli ha tutta la responsabilità, come capo di Stato Maggiore, ed è strano che vogliate coprirlo in questo affare. E' chiaro che Zukov è caduto come un fanciullo nella rete, che i servizi segreti tedeschi ci avevano preparato con quel telegramma. Il capo di Stato Maggiore aveva il dovere di accorgersi dell'inganno! ». Era solo un inganno? « Non sono proprio sicuro che fosse solo un inganno — ribattè Stalin —. Il telegramma di Ribbentrop poteva anche riflettere l'opinione di una certa corrente del governo tedesco, contraria alla guerra con noi e convinta di poter 'ottenere soddisfazione con i negoziati. Qvando parlai di quel telegramma, il giorno stesso, a Molotov, egli disse che il messaggio costituiva proprio una tipica espressione della tattica di Hitler e mi consigliò di partire tranquillo per le mie vacanze. Non succederà niente fino ai primi di luglio, aggiunse Molotov, e io potrò non incominciare subito i negoziati, con la scusa della vostra assenza ». « Allora, papà, — osservò Svetlana — la tua responsabilità è condivisa... ». ■itiiiiiitiiiiiiiiifiiiiiiiiiifiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiii « SI. Zukov e Molotov furono del mio parere, e anche la maggioranza dei membri del Politburò. Ma Voroscilov fu subito dell'opinione che si trattasse di una manovra di Hitler, e ancora non mi perdona il mio errore. Noi avevamo una magnifica rete di spionaggio in Italia, e tutti i telegrammi diplomatici, soprattutto quelli inviati da Ribbentrop nei suoi soggiorni in Italia, finivano immediatamente in copia nelle nostre mani. Voroscilov fu messo in sospetto dal fatto che il telegramma fosse stato spedito proprio da Venezia: i tedeschi avevano sempre evitato di far conoscere i loro segreti di guerra agli italiani, nel timore che finissero in mano agli avversari; telegrafando da Venezia, sosteneva Voroscilov, era evidente che Ribbentrop voleva farci pervenire quelle informazioni; di conseguenza, dovevamo interpretarle proprio in senso opposto. Certo, bisogna riconoscere che Hitler agì in quella circostanza con una astuzia eccezionale. Si dice che gli asiatici siano gli uomini più furbi del mondo, ma gli occidentali, quando ci si mettono, riescono a batterli ». Sempre in quel periodo della guerra, una sera sentii Stalin dettare a Svetlana alcuni appunti da inserire in quello che chiamava il suo « quaderno bianco », e cioè le sue memorie. Ebbi così la ri¬ itiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiitiiiiiiiiiiiiiiiit velazione di uno degli episodi più segreti del conflitto, finora del tutto sconosciuto; il mancato incontro fra Hitler e Stalin sulle rive del Niemen, incontro che doveva ripetere quello famoso del 1807 a Tilsit fra Napoleone e lo zar Alessandro I. I rapporti russo-tedeschi avevano cominciato a peggiorare nella primavera del 1941 per un aspro contrasto sulle consegne del materiale bellico, da noi richiesto a Hitler. Una missione di Mikoyan era fallita, e il nostro ambasciatore in Germania aveva mandato un rapporto allarmante; il Politburò fu convocato d'urgenza, e il 5 maggio decise all'unanimità di affidare a Stalin i poteri per trattare personalmente con Hitler un « compromesso economico e politico », che evitasse la guerra. Immediatamente la nostra ambasciata a Berlino fece sapere che Stalin era pronto a negoziare di persona. II Politburò non aveva stabilito un piano preciso di negoziati e nemmeno le modalità di un eventuale viaggio di mio zio. Pochi giorni dopo, esclusa la possibilità di uno spostamento di Hitler a Mosca o di Stalin a Berlino, fu proprio mio zio a suggerire di riallacciarsi al periodo napoleonico, anche per accarezzare l'ambizione del Fuehrer, e suggerì di combinare l'incontro in un qualche punto delle rive del Niemen, opportunamente neutralizzate. Tuttavia i nostri tentativi per iniziare conversazioni non diedero alcun risultato per più di due settimane. Ad un certo momento il nostro ambasciatore riuscì ad ottenere un colloquio fra il nostro addetto militare e Lutze, capo di Stato Maggiore delle S.S., nel corso del quale venne fatta una dichiarazione ufficiosa circa l'eventuale viaggio di mio zio per l'incontro con Hitler. Il nostro ambasciatore era certo che, aia pure indirettamente, una risposta da Hitler doveva venire. Invece Hitler non rispose. *Io divenni sempre più pessimista — dettò quindi Stalin —. / nostri tentativi non avevano nessuna eco, i concentramenti di truppe aumentavano: evidentemente la Germania si preparava ad attaccarci nella estate del 1941. Fu allora che giunse il famoso telegramma del 15 giugno, che sembrava coincidere con i nostri sondaggi per un accordo. Hitler era riuscito ad ingannarci su tutta la linea ». Budu Svanidze Copyright de « La Stampa » e dell'* Opera Mundi » iiiiiiftiitiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiitiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiia Il nipote di Stalin