I vespisti coi loro crepiti sono nati senza levatrice

I vespisti coi loro crepiti sono nati senza levatrice i O n STIAMO A I vespisti coi loro crepiti sono nati senza levatrice Industria e tecnica, le parole nuove se le fabbricano da sè - Rifinitura meglio di finissaggio; e invece di pistone diciamo stantuffo - Le regole non sono che licenze cristallizzate - Il poeta inventa, il grammatico annota - Problema del Lei: maschio o femmina? Dai Classici si può imparare non soltanto l'osservanza delle regole grammaticali, ma anche e soprattutto la violazione di esse; imparare quel che il De Amicis, nel suo bel libro sulla lingua, chiama « gli ardiri » e poi spiega, umoristicamente, come « la cravatta per traverso ». Alle regole sì deve il rispetto che alle vecchie zitelle, condito d'un interno risolino circa le loro virtù supposte. Ad affissarle troppo, scoprono mille incertezze, contradizioni, sbavature; e il disgraziato che vi prosciughi su il cervello, vede alla fine un teschio che gli ride. Che cosa sono finalmente le regole, con tutto il loro strascico di sottoregole, restrizioni, riserve, eccezioni, se non licenze cristallizzate? Prima viene il poeta e fa quello che vuole; appresso entra il grammatico, a rappiccicare 1 cocci. Quando Dante scrisse: < parlare e lagrimar vedrai insieme... », non fece grammaticalmente una buona figura: ma i retori, con una controfigura, quella dello zeugma o aggiogamento, consistente nel riferire un verbo a più parole diverse mentre per il senso non converrebbe propriamente che a una di esse, ci misero prontamente una toppa. Ci sono persone delicate che alla prima difficoltà si scoraggiano; e dovendo putacaso scrivere una lettera a personaggio maschile di riguardo, da trattarsi col in e fin con l'eHa. per non sapere come concordare a questi pronomi femminili, gli aggettivi, lasciano di scrivere, spesso con pregiudizio e del loro buon nome e dei loro interessi. Questo fanno non perchè veramente non sappiano (il buon senso ha già parlato), ma perchè col buon senso soltanto non si sentono abbastanza sicuri, temono alle spalle la pugnalata della regola. Si mettano pure tranquilli, e sull'esempio degli antichi che saltavano coll'asta ben altri ostacoli di questo, scrivano: Lei che è tanto buono... Lei è fortunato. Sa Ella che è curiosò?... e vìa dicendo, concordando l'aggettivo sempre col sesso. Del resto c'è una figura retorica (s'è pensato a tutto) anche per questa discordanza: si chiama sillessi o costruzione di pensiero; e permette di dire: Vossignoria è malato; la maggior parte scesero in piazza, e altre ardite piacevolezze. La regola di quando si debba usare suo e quando di lui è delle meno torbide; eppure a starci troppo su, può condurre a rendere il facile, difficile. L'importante è di evitare, ora con l'una ora con l'altra forma, equivoci e oscurità. < Tizio sorprese Caio con sua moglie e lo maciullò ». La regola che vuole il pronome suo riferito al.soggetto della proposizione, è qui perfettamente osservata e s'accorda col buon senso, giacché non può trattarsi che della moglie di Tizio, nessuno è maciullato da terzi per farsi trovare con la propria moglie: è questo il suo diritto (e troppo più spesso il suo dovere). Ma ecco: «Caio fu'maciullato da Tizio perchè sorpreso con sua moglie ». Qui, anche se la grammatica fa il viso brutto e vorrebbe: « con la moglie di lui », il senso tuttavia ci rassicura trattarsi della stessa signora di prima: invertito il costrutto, la situazione è rimasta. L'equivoco, dove può cadere, chi parla e scrive attento, lo avverte subito; e non si scriverà: « Raffaello... a Bindo Altoviti fece il ritratto suo », perchè quel suo, chi lo riferisse al pittore, potrebbe esser cagione che si credesse ritratto di Raffaello, e come tale divulgato, quello che invece è ritratto delI'Altoviti : come per l'appunto è avvenuto, secondo narra il Fornaciari padre; • chi scrisse così non era un imbrattacarte, ma un grande artista anche della penna, il Vasari: per dire come 1 grandi scrittori antichi ci andavano disinvolti. Gli « ardiri », oltreché dai Classici, anche si possono più modestamente imparare dagli industriali. L'industria, e quella sua maggior sorella che è la tecnica, hanno continuamente bisogno di parole nuove. Come devono fare, mandarle a chiedere alla Crusca? Se le fabbricano da sè, secondo le occorrenze; memori (o come se lo fossero) del monito del Tommaseo: «mettersi alla testa, non alla coda dell'uso». Ora però alcuni industriali, deputati a compilare un Vocabolario tecnico dell'automobile, sono colti da perplessità, dubbi, non diciamo rimorsi; qualunque materia tratti, un dizionario è sempre, come diceva il Petrocchi, una camiciata, cioè un'aspra fatica, anche perchè riduce all'incontentabilità le più facili nature d'uomo. E' il momento dei nodi al pettine; e quel che li fa inquieti sono le troppe voci terminanti in aggio, un suffisso che ha sempre puzzato forte di francese. D'altra parte li rincora che Dante abbia usato visaggio, e che vadano tra le meno sospettabili parole della nostra lingua: formaggio, maggio, viaggio, selvaggio, servaggio e molte altre... Per quel che può pesare il nostro debole parere, potendo scegliere, la terminazione ura è però sempre da preferire come più italiana Centratura, meno male di centraggio; montatura (che non potrebbe seriamente confondersi con quella degli occhiali), di montaggio; finitura e più ancora rifinitura, assolutamente meglio, dioneliberi, di finissaggio. Troppo radicato or- mai nell'uso dei tecnici è in-vece alesaggio (e a cambiarlo in alesatura non si guadagnerebbe molto) ; mentre i suoi derivati alesare e alesatrice potrebbero, senza troppo scadimento di senso, sostituirsi con levigare e levigatrice. Il francese pistone non ha ragione di prevalere sull'Italiano e onomatopeico stantuffo; mentre per perno di stantuffo (tre parole) c'è chi, con ragione, propone un semplice spinotto. Ma fuori dì questo lezzo, anche sui termini meno ostici sì fanno questioni. Lampada o lampadina? Nel linguaggio comune, il secondo termine designa o una lampada piccola o quella parte di essa, perina o palla, che manda la luce. Ma quella dei proiettori dell'automobile potrebbe dirsi propriamente lampadina, quando confrontata con quella dell'otorinolaringoiatra, fa figura di lampadona? E più generalmente: si affanno i diminutivi al ferrigno linguaggio tecnicoindustriale? Circa volante, cruscotto, radiatore, cofano e quelle tante altre voci che sono l'unica parte dell'automobile posseduta anche dai pedoni, è probabile che una per una possano essere tacciate di impure e improprie, si che un pedante della lingua, capitandoci in mezzo, ne farebbe quel governo che un leone degli agnelli. Ma l'ultimo di loro è andato in rimessa coll'ultima carrozza a cavalli; e l'automobile, con tutti i suoi neologismi bene avvitati, non si lascia più toccare da nessuno. Ape regina del motore ha seco un corteggio di insetti che hanno diversi nomi, ma che l'uso ormai raggruppa sotto quello di vespe, vittorioso anche all'estero. Ed ecco nati da sè. senza levatrice, i vespisti, coi loro crepiti, le loro amichette di scorta, i loro clubs (uno anche nella Francia dell'ovest, e ne dà notizia il Fi- ì^™) motoculturah I Leo Pestelli

Persone citate: Altoviti, Bindo Altoviti, De Amicis, Fornaciari, Leo Pestelli, Petrocchi, Tommaseo, Vasari

Luoghi citati: Francia, Tizio