I predecessori di Beria morti misteriosamente

I predecessori di Beria morti misteriosamente I predecessori di Beria morti misteriosamente Quando, all'indomani del trionfo della rivoluzione bolscevica, fu istituita in Russia, col decreto del 19 dicembre 1917, la famosa « Ceka », Lenin chiamò alla sua direzione un comunista polacco di origini aristocratiche : Felice Dzerzinskij : un fanatico rivoluzionario, dal viso lungo ed emaciato terminante in una barbetta a punta, che lo faceva somigliare a don Chisciotte. Con lui la « Ceka », incaricata di combattere la controrivoluzione, ossia di sterminare tutti gli avversari — borghesi o socialisti — della dittatura del partito bolscevico, divenne quel che la Pravda poi chiamo « la spada folgorante del proletariato », « il difensore delle conquiste della rivoluzione d'ottobre ». Dzerzinskij mandò tranquillamente a morte decine di migliaia di uomini e di donne durante il periodo del « comunismo di guerra », in cui la rivoluzione, poco sicura del suo avvenire, ricorse per difendersi al terrore inalzato a sistema. Dzerzinskij morì due anni dono Lenin, il 20 luglio 1926, abbattuto da un attacco al cuore, tre ore dopo una seduta plenaria del Comitato centrale del partito, nel corso della quale aveva pronunziato un violento discorso contro Trotzkij, Kamenev e Piatakov ed era stato, a sua volta duramente trattato dall'opposizione. Aveva soltanto quarantanove anni. Gli succedette a capo della « Ceka », diventata la « Ghepeu », un altro comunista polacco, V. P. Menzinskij. Un singolare personaggio, anche lui, le cui origini non erano maggiormente proletarie di quelle di Dzerzinskij. Aveva ricevuto un'ottima educazione e possedeva una vasta cultura. Quando egli morì, il 10 maggio 1934, i giornali di Mosca dichiararono che era soggiaciuto « a una lunga malattia » ; e la sua necrologia fu fatta nelle Izvestia da Buchàrin, lo sciagurato Buchàrin che doveva finire fucilato, quattro anni dopo, al termine del famoso processo del marzo 1938 contro il « blocco antisovietico dei deviazionisti di destra e dei trotzchisti ». Buchàrin chiamò Menzinskij il « grande compagno d'armi del Cavaliere senza paura della " Ceka ", Felice Dzerzinskij ». Egli fece un elogio senza riserve di quel poliziotto che aveva studiato le matematiche superiori, leggeva Apuleio in latino, e conosceva alla perfezione il giapponese e la letteratura nipponica; e pianse la scomparsa di quel « fedele soldato della rivoluzione ». Ora, nel 1938, durante il processo detto « dei Ventuno » che abbiamo testé ricordato, la pubblica accusa sostenne che Menzinskij, nonché essere morto di malattia, era stato vittima di un « assassinio medico », al pari di Kuibiscev, di Massimo Gorkij e di suo figlio Max Piechov : assassinio perpetrato per ordine del suo successore, Jàagoda. Interrogato dal pubblico accusatore, Viscinskij, Jàagoda confessò di aver dato al medico Levin l'incarico di assassinare Gorkij e Kuibiscev; ma, all'udienza dell'8 marzo, dichiarò : « Io non ho fatto uccidere né Menzinskij né Piechov ». Enrico Jàagoda, succeduto nel 1934 a Menzinskij, era un comunista di origine lettone, il quale godeva allora l'intera fiducia del partito, di Stalin e del Governo. Con lui la « Ceka », ribattezzata in « Ghepeu », mutò nuovamente nome: diventò il « Commissariato dell'Interno », il N.K.V.D. Jàagoda? Nel suo libro su Stalin, Trotzkij lo chiama « il farmacista dalla testa di volpe » e afferma che quel sinistro personaggio fu, insieme col suo segretario Bulanov, il creatore dei « metodi tossicologici » usati dal nuovo Commissariato per sterminare i cosiddetti « nemici del popolo ». Egli ebbe, evidentemente, la fine che meritava: fu giustiziato, con altri diciassette condannati a morte, il 15 marzo 1938. Commentando le sue deposizioni al processo, Koltsov, nella Pravda del 9 marzo di quell'anno, lo trattava da « sporco carnefice e spione », da « cane sanguinario », meritevole di essere fucilato tre volte, ecc. Quanto alle Izvestia del 10 marzo, esse lo qualificavano da « vipera velenosa » e lo descrivevano in questi termini: «Egli si tiene ritto alla sbarra degli imputati come un miserabile sciacallo cui siano stati strappati i denti... Parla con voce bassa, fissando il suo sguardo opaco sull'incartamento in cui sono registrati tutti i particolari dei suoi mostruosi crimini... Jàagoda non è un semplice criminale, è due volte tale. Ecco perchè merita doppiamente la morte ». Ed ecco, infine, l'ultimo dei grandi « cechisti » prima di Beria: Nicola Jeiov, un russo. Forse fu quello che lasciò il più spaventoso ricordo nel popolo sovietico. Egli ebbe il tristo onore di dlegare il proprio nome al aperiodo più terribile della cdittatura staliniana: quello idelle epurazioni massicce del 1938-39. Bruto sadico, Jeiov fece arrestare, deportare, massacrare in tutto il Paese migliaia di comunisti e di non-comunisti. Walter Duranty, allora corrispondente del New York Times da Mosca, scrisse in proposito nella sua Storia della Russia dei Soviet.; « Non si trattava più di .un'epurazione del tipo di quelle che il partito bolscevico aveva già conosciute, ma di una frenesia orgiastica, che colpiva a destra e a sinistra, quasi a casaccio. Il numero delle vittime fu spaventoso». Avvertito da Kaganovic e da Voroscilov, Stalin si decise, nell'agosto 1938, a mettere fine a tali massacri; e fece appello a Beria, il quale diventò prima vice-: commissario (12 agosto), poi commissario all'Interno (8 dicembre). Jeiov all'inizio del '39 scomparve. Duranty ritiene che abbia con- dcdvtpvddPsnrsl«LinvisdiiiiiiiiiiiiiiiiiniiiiiiiimiimmiiiiiimmiiiiiiJiiii diviso la sorte fatta subire a tanti; secondo altri, inve ce, sarebbe stato rinchiuso in un manicomio. Tale fu, in breve, la drammatica carriera politica dei quattro predecessori di Lavrenti Beria. Prima di venire giustiziato, quest'ultimo sarà forse l'eroe di un processo pubblico nel quale verrà trattato, come Jàagoda, da « vipera velenosa » e da « miserabile sciacallo » ? Per il momento, i giornalisti di Mosca, attingendo nella ricca riserva d'ingiurie offerta dalla lingua russa, si limitano a chiamarlo « Giuda », « rinnegato », « borghese degenerato ». . André Pierre Copyright de « Le Monde » e, per l'Italia, della «Stampa».

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