Sceiba si infilò in ascensore e lasciò zitto zitto il Viminale di Vittorio Gorresio

Sceiba si infilò in ascensore e lasciò zitto zitto il Viminale UN MINISTRO ESASPERANTE Sceiba si infilò in ascensore e lasciò zitto zitto il Viminale Quando si era insediato al Ministero dell'Interno, la polizia era in isfacelo - "Se fossi un comunista - egli disse ■ farei la rivoluzione domani,, - Riorganizzò invece la difesa dell'ordine - E a cose fatte se la prendeva con i rossi per tutte quelle spese "improduttive,, - "Ma quando mai si è visto • esclamava - che la polizia debba possedere carri armati?,, (Dal nostro corrispondente) Roma, 16 luglio. Martedì sera Sceiba era segnato siti taccuino delle udienze di De Gasperi come ultima persona'da ricevere. Verso le nove, il commesso Pranzetti addetto alla persona del Presidente del Consiglio, si fece sulla soglia dell'anticamera per avvisare il suo collega che è ai servigi del Ministro dell'Interno che era il turno di Sceiba. Le due anticamere — quella del Presidente e quella del Ministro — sono di fronte, al secondo piano del Viminale, separate da un largo corridoio. Traverso il corridoio, i due commessi si trasmettono a gesti le comunicazioni come se fossero due marinai; la sola differenza è che non usano bandiere. Pranzetti, dunque, fece un segno: disteso il braccio con la mano aperta, lo ritirò piegandola al di sopra della spalla. Significava che il Ministro aveva la via libera per arrivare ai Presidente. L'altro commesso, dall'altra soglia, rtspose in modo affatto inaspettato: allargando le braccia. Questo era un segno di rammarico: stava a indicare una contrarietà. Forse il Ministro era occupato? Pranzetti, uniti i cinque polpastrelli della mano destra e agitandola fece intendere all'altro di aver bisogno di un chiarimento. L'altro rispose tenendo il pollice in direzione della porta del Ministro; poi alzò l'indice e lo scosse ad attestare una negazione. Sceiba — era chiaro — non aveva intenzione di incontrarsi con De Gasperi. Non lo incontrò, difatti, nè quella sera, nè la mattina dopo. Il giorno dopo, mercoledì, verso le due del pomeriggio, Sceiba in punta di piedi usci nell'anticamera. Vi trovò un giornalista che io attendeva, sperando di potergli domandare se avesse preso una decisione, e quale fosse, circa la sua permanenza al Governo: « Signor Ministro... », cominciò il gior 1 nalista interrogativo. E Scel- IIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIlllillllllllllllllllllllllllllllllllll ba, con prontezza: «Ufi sa dire se il Presidente è ancora nel suo studio?». De Gasperi era ancora nel suo studio, gli potè assicurare il giornalista-, che sul primo momento non si avvide neppure della stranezza della domanda. Era infatti soltanto un espediente del Ministro per evitare di riceverne. Egli difatti si infilò in ascensore e lasciò il Viminale. Bugie e benpensanti In questo modo Sceiba è uscito dal Governo, di cui faceva parte da sei anni. Non sono valse le insistenze dei gruppi parlamentari, gli appelli di De Gasperi, e neppure una comunicazione riservata che il Presidente Einaudi, nella sua qualità di comandante supremo delle forze armate, .gli aveva fatto giungere nel pomeriggio di martedì: gli faceva sapere, appunto in quanto comandante, che Esercito Marina ed Aeronautica avrebbero ritratto certamente un ragguardevole beneficio se Sceiba avesse posto le sue capacità di organizzatore ed amministratore al servizio della causa della difesa nazionale. Nulla è servito: Sceiba è rimasto fermo nel proposito di dimissioni, e chi lo ha visto in questi giorni tiene ad assicurare che il motivo è da cercare esclusivamente nelle sue condizioni di salute. Non sarà vero, ma giova crederlo. Sceiba, del resto, è un uomo singolare e non è questa la prima volta che ne dà prova. Fu l'unico Ministro che si dimise nel '47 quando si discuteva sull'opportunità di firmare il trattato di pace che ci era stato imposto dalla conferenza di Parigi. Era allora Ministro dell'Interno da dieci giorni, nominato il 1" febbraio nell'ultimo Gabinetto del tripartito che vide la forzata coabitazione dei democratici cristiani con i comunisti. Esattamente dieci giorni dopo, VII febbraio, si dimise. Don Sturzo aveva scritto che non dovevamo firmare il trattato, e Sceiba, che era stato segretario del fondatore del'partito popolare, condivideva le opinioni del maestro. De Gasperi lo indusse a ritirare le dimissioni, ma Sceiba il giorno stesso ci ripensò, e tornò da De Gasperi a presentarle di nuovo. Una seconda volta il presidente lo convinse a ritirarle. " / Forse per questo precedente l'on. De Gasperi ha sperato fino all'ultimo momento di convincere Sceiba affinchè rimanesse: ma Sceiba è in fondo un uomo schivo. Sei anni fa, nei giorni della prima crisi del 1947, il Ministero dell'Interno sembrava in ballottaggio fra tre «omini:' Tupini, Sceiba e Aldisio. I comunisti avevano stabilito quest'ordine di successione come una graduatoria di preferenze, attribuendo a Tupini la minor dose di energia e ad Aldisio la massima (ex ufficiale dei carabinieri, ai attribuiva ad Aldisio di possedere un pugno di ferro): e perciò era sembrato che De Gasperi, per far contenti tutti, avesse ripiegato sulla via mediana. Sceiba in quei giorni non si era fatto vedere. Era rimasto chiuso nel Ministero l'elle Poste di cui aveva il portafogli, in un atteggiamento di distacco che era sembrato quasi offensivo. De Gasperi, difatti, incontratolo un giorno per puro caso, si lamentò che in giorni come quelli non si facesse mai vedere. « Ma io penso che se tu avessi bisogno di me, mi faresti chiamare — rispose Sceiba — e mi troveresti in ufficio ». E così fu che la notizia della scelta di De Gasperi la seppero per primi i concor¬ renti esclusi, Tupini e Aldisio; e dopo i concorrenti i giornalisti, e finalmente Sceiba. Al Viminale si dovette accorgere che tutto era da fare. La polizia avvilita, disorganizzata, male attrezzata: erano i tempi che mancavano le scarpe per gli agenti, che i commissariati non disponevano neppure di una bicicletta, che la razione viveri era insufficiente e le paghe irrisorie. La prima relazione che il generale Pieche, un tecnico della pubblica sicurezza, fece al Ministro insediato di fresco al Viminale fu nettamente pessimistica: le forze dello Stato non sembravano in grado di fronteggiare una offensiva dei partiti rivoluzionari, se questi avessero avuto l'intenzione di scatenarla. « Se fossi un comunista'— commentò Sceiba freddamente — farei la rivoluzione domani». Pieche restò un po' scosso dal cinismo di quel nuovo ministro. Come nuovo ministro, tuttavia, Sceiba cominciò subito a negare che sussistesse la possibilità del minimo sovvertimento. <Non era il caso di far sapere — spiega adesso — che lo Stato non aveva la forza di tutelare l'ordine». Perciò tutte le volte che in Parlamento gli contestavano notizie di preparativi pericolosi, di occultamenti di armi, di disordini in corso, Sceiba, negava impavido. Per quasi tutto il 1947 continuò a mentire tutti i oiorni. Le bugie che diceva alla Camera e che faceva stampare dai giornalisti che andavano ad intervistarlo, non si contano. Le reticenze, le omissioni, i suoi silenzi di allora sul problema delle armi nascoste che la polizia non aveva i mezzi, nè quindi il coraggio, di andare a ricercare, gli assicu-, rano un posto tra i maggiori simulatori di tutti i tempi. Questo sia inteso nel senso buono, naturalmente. Ma i benpensanti che non capivano il gioco, che erano appena usciti dalla grande paura del 1945, e che non avevana ancora smaltito tutto 10 spavento, si domandavano angosciati: < Ma è possibile che sia così cieco ? », e lo tenevano per un buono a nulla. Ci volle tempo perchè Sceiba si acquistasse la fama di duro che lo ha poi reso gradito ad una parte della opinione pubblica e che gli ha valso d'essere considerato dai comunisti, per qualche anno, come il nemico pubblico numero uno. La sua prima ufficiale dichiarazione di guerra contro gli estremisti di sinistra, « quegli «omini che come una lebbra sono nell' organismo statale per dissolverlo », reca la data del novembre 1947, quando si teneva a Napoli il congresso della Democrazia Cristiana, « Afa se il momento dovesse giungere — concluse Sceiba — noi useremo la forza dello Stato contro ogni tentativo di violenza». Durante i pugilati Era la bella promessa che tutti attendevamo da tempo, e che Sceiba non aveva formulato mai, perchè mai prima d'allora si era sentito di poterla mantenere. Ma da quel giorno, per via della promessa e forse anche per l'accenno alla lebbra, la popolarità di Sceiba si accrebbe in modo impressionante. Piaceva anche per 11 modo con il quale fronteggiava in Parlamento i più feroci attacchi dell'estrema sinistra. Quell'uomo gelido, tranquillo, che parlava senza aggettivi, con un tono di voce tanto più irritante quanto più era incolore, inaugurava alla Camera uno strano costume polemico. Agli avversari che lo interrompevano con enormi clar mori non obbiettava nulla; li lasciava sfogare, paziente • indifferente. Accadeva talvolta che l'emiciclo si trasformasse in pedana di pugilato; deputati correvano per aggredire gli avversari e si picchiavano, ed urlavano, e si lanciavano le sedie e il tavolino degli stenografi: e Sceiba stava in piedi al banco del Governo, pieno di fredda melanconia, in silenzio annoiato. Quando poi gli toccava di riprendere la parola, ricominciava esattamente ripetendo la parola che aveva scatenato il tumulto; e riscoppiava la battaglia e Sceiba ritaceva tutto il tempo, lo -sguardo perso in direzione della cupola coi vetri colorati. Poi riprendeva ancora, dal medesimo punto di partenza; di nuovo si levava la voce fredda senza accento del Ministro esasperante. «Mi piace Pajetta» Questo Ministro esasperante è un uomo arguto, malizioso, sottile. Quando conversa, i suoi piccoli occhi gelidi si illuminano per allegria: « Sono un burocrate, ma mi sforzo di non perdere il senso dell'umorismo ». Il solo comunista che gli piaccia è Giuliano Pajetta: « E' spiritoso. Quando si prese una randellata in testa durante una dimostrazione di piazza, mi scrisse un biglietto per rimproverarmi di non avergli mandato una boccetta di linimento sloan ». Gli stessi comunisti, d'altra parte, a poco a poco incominciarono a stimarlo. Uomo morale, uomo esemplare nella vita privata, antifascista intransigente dall'inizio, repubblicano da lunga data, sinceramente progressista, lavoratore serio, incorruttibile, inaccessibile alle umane debolezze, i suoi diretti avversari trovavano difficile attaccarlo se non facendo ricorso ad una bassa demagogia. Poco alla volta non ci provarono nemmeno più; ne perdettero il gusto. Di recente, scherzando, si diceva alla Camera che i partiti politici avrebbero adottato lo stesso uso delle società calcistiche di iscrivere nelle liste di trasferimento, per metterli all'asta dì anno in anno, alcuni loro campioni, e un comunista domandò: tC'è Sceiba in lista di trasferimento? Perchè Sceiba noialtri ce lo compriamo subito ». Non. se lo possono comprare, non è in vendita, nessuno pensa a metterlo in una lista di trasferimento, ed egli stesso è d'altra parte così contrario ai trasfeiiiiiimiiimmiiiiiiiiiiiiiiiiiiiimiiiiiiiimiiiiu rimenti che ha rifiutato di passare da un Ministero -a un altro. Ci farà un certo effetto, senza dubbio, non rivedere Sceiba al banco del Governo quando la Camera sarà riaperta. E' un uomo che rimane nella nostra memoria per l'impronta che lascia in tutto questo singolare periodo della vita italiana, dagli anni degli agenti senza scarpe al giorno di oggi, che è passato lo spavento dei borghesi per il temuto « colpo di forza » dei comunisti. In tutti questi anni, finito il tempo delle bugie che era costretto- a dire nel 1947, egli è apparso ai borghesi come il santo patrono dell'ordine italiano, per tutti i mitra, tutti i carri armati, tutte le jeeps che è riuscito a trovare. E non sapevano i borghesi — e se lo avessero saputo, senza dubbio lo avrebbero amato di meno — non sapevano certo che il ministro Sceiba nei suoi momenti di sincerità si lamentava: « Ecco le spese improduttive: la polizia. Che bell'affare, questi comunisti. Dopo le spese militari che ci hanno tanto rimproverato, dopo le spese coloniali che rinfacciano agli imperialisti, adesso ci costringono a tenero una polizia di questa forza. Ma quando mai si è visto che la polizia debba possedere carri armati? ». Vittorio Gorresio ■ ■[iiiiMiiiiiiiiMiiiiiiiifiiiiiriiiiiiriMFPMii ri A Londra già si sta pensando alla moda autunnale

Luoghi citati: Aldisio, Londra, Napoli, Parigi, Roma