Echi di musiche

Echi di musiche Echi di musiche Si danza Si danza sur una musica, o parallèlement a essa? o, senza preposizione e avverbi, si < danza una musica »? o, perfino, da>is une musique? La questione grammaticale è anche estetica, e specialmente mira a determinare la relazione di una danza con una mùsica, sorta non c ballabile >, bensì autonoma, in quanto è opera d'arte, e ha in se stessa compiutezza e finalità. Proposta da Dinah Maggie nella Revue musicate, mi pare degna d'attenzione soltanto se la composizione musicale < utilizzata > dalla danza, cioè da danzatori, sia un'opera d'arte. Ogni altro caso ci lascia indifferenti. Poiché l'« utilità », divenuta in questi ultimi decenni frequente, è stata giustificata con strane pseudoteorie, vai la pena di chiarire quel « sopra », quell'c In », e via dicendo. Altre locuzioni sono pur usate: Je danse une certaine musique, Je compose un haliti sur ielle 011 feHe partitton. Cominciamo: danser sur... Bach, Gluck, Beethoven, Schubert, Wagner, Franck, Chopin, i quali non si proposero di offrire ai posteri pretesti di arbitrarie figurazioni. Solitamente questo uso viene classificato: interpretazione. Isadora Duncan fu probabilmente la prima danzatrice e coreografa a qualificare così il suo atto. E la Maggie le dà ragione, subito ammettendo che l'interpretazione musicale può essere visuvlle ou auditive. Non consi dera dunque che un'opera d'ar- i te, o musicale, o pittorica, 0ìverbale, è da interpretare nonlaltrimenti che in sè, nel suo ! spirito e nei suoi propri! mezzi: i' suono, il colore o la parola poetica. Interpretare è conoscere, penetrare, non cercare equivalenze o traduzioni. Una opera musicale la s'interpreta 1 e la si realizza nei suoni dispo lsti dal sue creatore. Come un poema non ha bisogno di vignette illustrative, così un'opera musicale. Che avviene, di solito? Eccettuate rare eccezioni, risponde la Maggie, si vedono « movimenti anarchici », che i danzatori tentano di far coller con la pagina musicale, fantasticando, per .giunta, su trame sentimentali anch'i-isi- o estranee. Le eccezioni? Stavolta, no, non intaccano il principio, che resta saldo. Danser une musique... La Maggie si preoccupa dell'incoi turp contrappuntistica di troppa coreografi, e dei danni die derivano dal disaccordo iella composizione e della coreograha, e francamente dichiara: La danse sur la musique se présente souvent sous l'aspect d'un crime: ici, les assassinai* ne se comptent plus. D'accordo. Lanser parallèlement... Cioè: la musica completa il balletto con « una progressione emotiva parallela », ed è come la voce dun recitante, mentre gli Utor: agiscono, muti. Ma in tal caso occorre precisare: parai leiamente a un'opera composta n ta'. fine, o presa a prestito pfrchè più accomoda? Danser dans une musique.. Qu: il dans indicherebbe la per fezione: un concerto o una tiu fonia e una danza concepiti per fondersi integralmente, evitando qualsiasi primazia. Si direbbe: una danza calata in una musica. Proposte, metodi, osservazioni. E siano quattro i casi, quaili ort ricordati, o siano più, ba st chiamare le cose con 1 ioro nomi, e non presumere o Uluuen- di interpretare. Ci son tante musiche « buone a '.ul*. ) fare », e tanti compositori pronti a scrivere ogni sorta di musica. Perosi giornalista Un accenno di Adelmo Da- me,rlm £Ile corrispondenze giornalstiche di Lorenzo Perosi, neI saS&l° critico ora opportu namente ristampato (ed. Biet- ti, Milano), mi ha indotto a cercare nell'abbondante e lacunosa biografia di Arcangelo Paglialunga (ed. Paoline, Roma) i testi delle lettere da Ratisbo- na all'Osservatore cattolico, e anche i commenti che lo stesso Perosi aggiunse ai programmi dei concerti da lui diretti a Venezia. La lettura m'è piaciuta, perchè le descrizioni, le impressioni, le valutazioni, benché fugaci e non limate, recano una semplicità vivace, una consapevole commozione, un franco fervore, non comuni, e con sicura candidezza, talvolta con scattante vigore, riflettono il carattere delle più personali opere di lui. Giovanissimo, nel '93, era incantato delle musiche belle. E tante volte questo aggettivo ricorse, come il più proprio e specifico del suo godimento all'udì, zione di Palestrina, di A. Gabrieli, di Lasso, di Hassler, alterno con locuzioni quasi sinonimiche: gioiello, capolavoro, capo d'opera, qualcosa di straordinario. Viveva infatti fra le grandezze, essendo le immancabili mediocrità escluse dalla severa scuola dello Haberl. La sua gioia era turbata da un rinnovato rammarico: la mancanza in Italia del culto della nostra eccellente polifonia. Anche l'indignava, nel confronto specialmente con la recitazione di Solesmes, la praticacela nostrana dèi gregoriano. Rammarico, indignazione; e se ne accorava lamentosamente o prorompeva a gran voce, non in quanto musicista o sacerdote, ma per essere italiano. Nelle parole sgorganti dall'intimo si sente la musicalità sua, sensibilissima e ingenua. Visitato il maestro del coro del monastero di Sekau, annotava: < Che sorriso di cielo in quella cella! »; soave, quanto una sua melodia. Più d'una volta il suo commento, procedente dall'analisi morfologica, si svolgeva squisitamente estetico, quasi critico; quello, per esempio, del Te Deum dell'Alieno, l'altro dei 'mottetti Voce mea e Benedicamus del Croce: <A lui non ci va la tela vasta, ma la lunetta e il piccolo quadro gli bastano; non dipinge a colori vivi, ma il suo colorito appaga; un'aria di pietà spira da quelle soavissime melodie, pietà che qualcuno oserebbe oggi dire malinconica, ma che al contrario è vera pietà, quella che fa erompere dalle melodie della Chiesa il Gaudeamus, accompagnato da un dorico che i mondani direbbero mestizia, quella che fa cantare il Resurrexit con un tenuissimo ipofrigio ». Così, gli articoli per giornali o le illustrazioni di concerti provavano il suo entusiasmo dell'arte e della cultura, e assai giovavano allo stato del cecilianesimo e alle grandi conoscenze in Italia, sessanta e cinquantanni or sono. A. Della Corte

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