Nel regno del Sud

Nel regno del Sud Nel regno del Sud La Bniyere è arrivato, dopo tre secoli, nel Italia meridiona- le. E non dobbiamo lamentar- perche, di quadretto in quadretto, di battuta in battuta, vien fuori qualcosa di più e di meglio di quei racconti a sfonde, sociale, dove gli schemi classistici e il vecchio romanticismo vanno sottobraccio, col barone che cavalca la contadina, il popolano che piglia a frustate la baronessa, l'incendio del castello, e l'ammazzamento finale del caporione delle plebi in rivolta. Nei Caratteri (ed. Einaudi) di Mario La Cava siamo.al livello del galantuomo che ha fatto i suoi studi, derivando dai modelli umanistici dignità e saggezza, e riflette, annota, medita. Al La Cava, gioverebbe però una maggiore condensazione stilistica, un tono più epigrammatico. Difficile è il genere degli aforismi, e vuol nitida pagina, robusta tempra di moralista: orripilanti difatti gli Oracoli sommessi di Gino Nibbi (ed. Agnelli) per la frenesia delle immagini, la gonfiezza della espressione, astratta e contorta anziché concreta; deboli ancora, e sovente comuni, gli spigliati Vernieri vecchi e nuovi di Oreste Frecchiami (ed. Guanda) un artigiano di Treviglio che arditamente si è provato nel genere. Il libretto del La Cava può servire di preludio Ai tempi di Re Gioacchino (Bologna, ed. Palma verde) in cui Roberto Roversi racconta storie di briganti con sapore e colore. Quei tempi son ritratti stupendamente nelle malnote fra noi Lettres d'Italie di Paul-Louis Courier, il quale scriveva come un greco antico guerrigliando in Calabria, e i senza una parola di più ha fissato per sempre la visione dei villaggi bruciati, delle donne sforzate, degli agguati degl'insorti contro i francesi. Non saprei far migliore elogio al Roversi che dicendogli come il capitolo di diario che egli intitola «Nell'autunno del 1809: ricordo italiano di un ufficiale napoleonico », sia degno di star in margine a Courier e a Stendhal per quanto c'è di sentimentalmente spaesato nel protagonista straniero, innamorato della moglie giovinetta, tenera e subito lontana, a cui vagheggia di ricongiungersi, ma tentato dalla fiera donna del bandito Bizzarro, che si dà a un altro durante l'assenza del brigante; e poi liberato al ritorno dell'ostaggio. Terreni gelati, selve, solitudine, notti senza stelle, boschivi amori, lampade a petrolio in casipole basse ammucchiate attorno a una chiesetta, rapine e gozzoviglie, ogni cosa è sobriamente toccata, con delicatezza di arte: «Addio mare! Non ci resta che salire alle cime della Sila, coperte di neve. Abbiamo abbandonati i cavalli. Uno di noi geme, con un braccio spezzato. La terra è fradicia. Sentiamo lontani rumori ». Uno dei personaggi dei Tempi di Re Gioacchino ricompare in Dio semina gli uomini (Bari, ed Leonardo da Vinci) di Ettore Maria Margadonna: la monaca di casa, ossia la zitella che si chiude nella dimora paterna, vittima ed espiatrice di un tragico amore. Ma i tre lunghi racconti di Margadonna, si aprono con la vivace e festosa comicità che di lui gustammo nel film Due soldi di speranza. Abbruzzese anziché calabrese, egli pure appartiene al regno del Sud, e ce ne dà una delle più curiose, attraenti e pittoresche rappresentazioni che a noi, vecchi fedeli di Nicola Misasi, e di Petruccelli della Gattina, subito lodatori della Sigìiora Ava di Jovine, da un pezzo sia capitato di leggere. Piccolo mondo semifeudale, che sta mutandosi in borghese, ricco di bei tipi, dai nomignoli singolari, di gente originale, dialogante con epiteti ed espressioni sboccatissime; un microcosmo di passioni gagliarde, di pettegolezzi atroci, di rivalità' implacabili. Siamo all'indomani dell'unità, e i conquistatori piemontesi impongono la costruzione dei cimiteri, ordinano che cessino le inumazioni nelle fosse comuni scavate nelle chiese. A Sagliena, don Boccadoro, sindaco progressista, regala pel campo mortuario il terreno di un suo oliveto; si nomina becchino, l'unico uomo del paese che, col parroco don Giovanni Cacciadiavoli, non abbia paura degli spiriti. La civiltà è all'opera. Ma, caso strano, nessuno più va all'altro mondo, prosperano i novantenni, l'inaugurazione è rimandata di mese in mese. E allora comincia un'amenissima e assieme lugubre gara: quella di vedere chi sarà il primo a salire, fra quattro assi; la collina dell'oliveto. Tutti si sorvegliano, si spiano, notano la malattia dell'uno, il colore del viso dell'altro, Tindisposizione del terzo, comprano corna contro il malocchio, evitano di ricorrere al farmacista per non dar sospetti si tappano in casa per smaltire le indigestioni onde non si parli di colera, premiano serve e messaggere recanti nuove di altrui sconcerti, aspettano con ansia che la sorte stabilisca chi sarà il primo inquilino del camposanto. Quando si sparge la voce di un epidemia, tutti si provvedono di liquori e sciroppi, e i cacciatori si metton all'ingresso dei paese per tener al largo i forestieri. Le funzioni corporali stanno in cima ai pensieri: una diarrea, un'interruzione, sconvolgono intere famiglie. Finché, i cafoni tumultuando in piazza, i carabinieri sparano in aria, e colpiscono la figlia di un povero sarto, una ragazzina ignara. La prescelta sarà lei. Di colpo, l'atmosfera febbrile sj rasserena. Ma al becchino, ri- masto solo con la morta, dà un po' di volt* il cervello, sì da ren- derlo disattento alle grazie della procacissima moglie. Mentre egli parla con l'ospite del cimitero, e poi con le salme degli altri trapassati, la donna scappa con un amante. E così, il custode lascia l'impiego («Il Signore m'ha chiamato »), si porta appresso l'asino, e si fa eremita, finché un giorno di neve, resta sepolto sotto la chiesetta in onore di San Falco che, pietra su pietra, aveva edificato. Chi gli teneva bordone, era don Giovanni Cacciadiavoli, prete borbonico e specialista in esorcismi. Margadonna, in pagine assai mosse e colorite, ne descrive le operazioni, ne celebra le glorie: ma i tempi declinano, e le grandi zuffe con gl'indemoniati inferociti, che sputan chiodi, matasse di spago, zolfanelli, fra il salmodiar della folla attonita, si fanno sempre più rare. I diavoli battaglieri e prepotenti, astuti e insidiosi, diventan invisibili, rodono il peccatore come tarme, lo sbriciolano, lo riducono in polvere senza che se ne accorga. E don Giovanni Cacciadiavoli ha un fratello pazzo per una diavolessa, la quale l'attira con donnesche libidini, ma non la spunta a convertirlo: toccherà alla sorella, la monaca di casa, ad aver partita vinta, e a far morire la ganza senza sacramenti, «perchè figlia di strega ». Chi piglierà la rivincita, grazie alla fresca carne popolana della figlia, dello stuolo delle irregolari, sarà invece Vasinaccia, gettando Rosariuccia nel letto del padrone. 011111 immillili imi 111111111111 Ettore M. Margadonna, come appare da questi accenni sommari — ma bisogna veder com'è nutrita e abbondante di particolari la narrazione, gustoso il dialogo, e numerosa e varia la folla delle comparse — si rifa a una tradizione che // processo di Frine dello Scarfoglio, riportato in luce dal recente zibaldone cinematografico grazie a De Sica e alla Lollobrigida, aveva consolidato sul finir dell'Ottocento, e poi era stata abbandonata. Molti racconti e romanzi di ambiente meridionale recentemente pubblicati, hanno messo l'accento sulla lotta di classe, anziché rappresentarci, senza secondi fini, uomini e paesi, lasciando all'evidenza dell'arte ombre e luci del quadro, Una specie di pàtina ideologica ricopre, falsa, annebbia l'osservazione. Nulla di ciò Dio semina gli uomini, libro senza tesi, il cui autore si abbandona al piacere di ritrarre un mondo forse non ancor del tutto svanito, come si vede dai Caratteri di La Cava, certe scene dei quali potrebbero entrare pari pari nei capitoli di Margadonna. Solo che, coi tempi nuovi, le passioni sembrano divenute più meschine, i personaggi più malinconici ed esitanti. La pianta uomo, anche nel regno dèi sud, intristisce. Garbatissimo, il La Cava registra, raffina. Margadonna va più in là: prende a piene mani una materia ricca e drammatica, la padroneggia, ci suscita dinanzi ancora uomini e donne dal sangue caldo, creature dalle passioni ardenti, pronte al riso e all'amore. Arrigo Cajumi 1111111 imiimmimiiiiii 111 illumini

Luoghi citati: Bari, Bologna, Calabria, Italia, Sagliena, Treviglio