La morte dell'anarchico che attentò a Vittorio Emanuele
La morte dell'anarchico che attentò a Vittorio Emanuele La morte dell'anarchico che attentò a Vittorio Emanuele Antonio D'Alba, condannato a 30 anni, era diventato pazzo a Portolongone Roma, 18 giugno. Antonio D'Alba, l'anarchico che nel lontano marzo del. 1912 attentò alla vita di Vittorio Emanuele III, è morto stanotte all'età di sessantadue anni in una corsia dell'ospedale psichiatrico di Santa Maria della Pietà, ove si trovava ricoverato da molti anni, nel reparto « tranquilli ». Antonio D'Alba, che era stato condannato per direttissima a trent'anni di reclusione, era stato colto dalla pazzia dopo nove anni trascorsi nel penitenziario di Portolongone e nel 1923 fu inviato Roma nel grande ospedale che sorge sulla sommità di Mante Mario, tra querci antiche e siepi di bosso. La follia del vecchio anarchico non costituiva da tempo alcun pericolo; egli era divenuto cieco e sordo, non aveva parenti e nessuno si recava a fargli visita; non era ormai che un relitto umano, dimenticato da tutti. Ora il suo corpo giace in una rozza bara di legno chiaro, su una nuda lastra di marmo nella camera mortuaria dell'ospedale, debolmente illuminata dalle fiammelle di quattro candele, poste intorno da pietosi infermieri. funerali avranno luogo domani a cura della Federazione Anarchica romana ma saranno ugualmente modesti. Antonio D'Alba nei lunghi anni passati tra le mura dell'ospedale di Santa Maria della Pietà non aveva mai parlato con gli altri ricoverati nè con i medici dell'episodio clamoroso di cui fu protagonista e che destò in Italia e all'estero vivissima impressione ed indignazione. Erano le 8 del mattino del 14 marzo 1912. Vittorio Emanuele III si era mosso dal Quirinale per portarsi sul suo londau al Pantheon onde assistere alla Messa commemorativa del padre, Umberto 1, nato sessantotto anni prima e ucciso a Monza dall'anarchico Bresci nel 1900. In quel mattino di marzo, tra la folla plaudente assiepata ai margini della strada, ancora un anarchico avrebbe attentato alla vita di un altro sovrano di Casa Savoia. Il corteo reale, cui facevano scorta corazzieri e carabinieri a cavallo, procedeva al piccolo trotto per le vie centrali della capitale. Aveva imboccato corso Umberto ed era giunto all'altezza di Palazzo Doria, quando dalla parte destra, dove sorge Palazzo Salviati, un giovane uomo si faceva largo tra la folla, estraendo di tasca una pistola. Due, tre, quattro colpi partivano in direzione della carrozza reale, senza che nessuno, per la fulmineità della scena, fosse potuto intervenire a fermare la mano del folle. Vittorio Emanuele IH che aveva al fianco l'aiutante di campo generale Brusati, usciva illeso dall'attentato mentre veniva invece ferito gravemente al fiaqco sinistro il maggiore Long, triestino, comandante dei Corazzieri, che caracollava accanto alla carrozza. Il cavallo < Taburno » montato da un brigadiere della guardia del re, rimaneva invece ucciso da una pallottola. Antonio D'Alba veniva immediatamente circondato da un nugolo di agenti, immobilizza¬ to e sottratto a stento alla fol la che voleva linciarlo. Al processo, svoltosi l'8 ottobre dello stesso anno a Roma, il D'Alba ammise di essere stato condannato più voi te per furto e confessò di es sere anarchico. < Sono divenuto anarchico per amore alla nazione», egli disse. Nonostante la valorosa arringa del suo difensore d'ufficio il famoso penalista Enrico Ferri, Antonio D'Alba fu condannato a 30 anni. Egli dunque aveva già da tempo scontata la sua condanna, ma le sue pessime condizioni fisiche avevano impedito che riacquistasse la libertà.
Luoghi citati: Italia, Monza, Portolongone, Roma, Savoia
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