Non v'era nessun dubbio che Elisabetta fosse regina

Non v'era nessun dubbio che Elisabetta fosse regina ~mm L'ALMANACCO PARLANTE =— Non v'era nessun dubbio che Elisabetta fosse regina Neppure un pazzo avrebbe obiettato che il principe huprecht di Baviera, ultimo degli Stuart, è il vero re d'Inghilterra Fervore di festa medioevale - Quando passava il cocchio tutti intonavano l'inno, a fior di labbra, come una preghiera Londra, giugno. J'arcivescovo di Canterbury, À con una bella voce sicura e un accento semplice, chiaro, e insolito, perchè non era quello flautato degli ecclesiastici, dell'esercito, di Oxford, ma forse quello di uno studioso di provincia, chiese quattro volte, ai quattro punti cardinali; « Riconoscete voi Elisabetta la vostra indubbia regina? ». E quattro volte 1 dignitari accatastati gli uni sugli altri nei costumi di velluto e di ermellino gridarono: «Dio salvi la regina Elisabetta! ». Quattro volte Elisabetta, in piedi, di fianco alla «sedia di quèrcia», la grossa poltrona medievale che è il trono di Edoardo il Confessore, si voltò quasi per farsi vedere bene in volto. Le sei dame d'onore spostarono ogni volta la lunga coda di velluto ricamato d'oro o la deposero dietro a lei sul tappeto. Quattro volte, dopo il grido dei dignitari, Elisabetta accennò senza sorridere un piccolo inchino di gratitudine. E quella domanda solenne, la risposta che risuonò nelle volte gotiche, e i graziosi inchini della regina furono forse il momento più inglese della cerimonia. Non vi era nessun dubbio che Elisabetta fosse la regina. Neppure un pazzo si sarebbe alzato per obiettare, a quel punto, e suggerire che l'ultimo degli Stuart, per esempio, il principe Ruprecht di Baviera, è il vero re d'Inghilterra. Tuttavia la domanda era rimasta nel cerimoniale, la regina aveva atteso la risposta ed aveva ringraziato, inchinandosi davanti al suoi sudditi. Quella parte della cerimonia si chiama il « riconoscimento ». (Cinque spade fanno parte ^ del tesoro della Corona e si usano durante la cerimonia. Due (1. Gurtana » o la spada della misericordia, corta e mozza, e un'altra) portano sulla lama la testa di lupo che è il segno degli armaioli di Passau. Una terza porta cinque losanghe e la parola « Prora ». Gli studiosi pensano che sia una finta lama italiana, con la parola volutamente sbagliata che dovrebbe essere « Ferrara». Come le penne stilografiche di imitazione americana, che vendono per i marciapiedi, portano oggi incisa una famosa marca a cui manca qualche lettera. T dignitari che presero parte alla cerimonia o sfilarono a cavallo nel corteo erano visibil¬ mente eredi di una delle c.ja-ilità che si ammiravano un tem- po anche nelle repubbliche: ir portamento. (L'altra era il tratto). Camminavano lentamente, al suonò degli inni religiosi, con nobiltà, il mento lievemente alto senza alterigia, la te?fa dignitosamente piantata sul collo, e non erano impacciati dalle cose pesanti e insolite che dovevano reggere, bandiere, spade, corone, o scettri. Anche i vecchi che, a mala pena, riuscivano a trascinare le gambe e si sostenevano col bastone na- scosto sotto il mantello di vel- ! luto, procedevano come se il lo- ro andamento affaticato fosse richiesto dal rito. Le donne por- tavano il petto avanti e le spalle indietro, in modo da trascinare ben tese sui tappeti le ampie gonne di seta pesante. Altrove restano solo tracce di questa qualità. E' richiesta forse solo ai prelati, al cantanti d'opera, al toreri, e al domestici. Si trova ancora inconsapevole tra le popolazioni meridionali del Mediterraneo: i contadini di Sicilia e d'Andalusia si appoggiano al muro, gli arabi si drappeggiano il baraccano, le donne portano anfore e pesi in capo con eleganza e fierezza. E' vero che i Pari d'Inghilterra e le loro famiglie non si comportano più a quel modo che in poche cerimonie. Normalmente si confóndono con la folla. Cosi era ammirevole e antico l'assetto dei generali e ammiragli in feluca che caracollavano sotto la pioggia dietro le carrozze reali. Il pugno sinistro inguantato di bianco sosteneva con leggerezza le redini alte sul collo del cavallo, la mano destra era abbandonata lungo il corpo o appoggiata alla coscia, le gambe, strette nei pantaloni lunghi, trattenuti dal sottopiede, si stendevano per tutta la loro lunghezza, la punta del piede appoggiata appena alla staffa, il corpo rigi do, il mento alto.. E' l'assetto di Carlo Alberto nel giardinetto vicino al Quirinale e di Vittorio Emanuele II sul suo monumento. (Garibaldi è sempre più disinvolto, scomposto, e romantico). Inchinavano il capo con la feluca piumata, o alzavano appena la mano libera in segno di saluto, e trattenevano 1 cavalli focosi, dal collo torto, con un piccolo gee'o delle redini. Quelli cui riusciva meno beine l'incesso regale e l'assetto da monumento di cento anni fa erano 1 grandi capi dell'ultima guerra, Alexander, Montgome- ry, e Cunningham. Era in loro, forse, un eccesso di autorità, qualcosa di più cordiale, vigo- roso, e duro che negli altri Cunningham, che portava la corona di Edoardo il Confessore, e Alexander, che portava il globo d'oro, procedevano con la troppa fermezza che affettano i padrini costretti a presentare un neonato al fonte battesimale. Montgomery, a cavallo, si divertiva sotto l'acqua ed aveva l'aria sciolta e sportiva, come ae stesse per andare alla caccia. Il più insolito di tutti era Churchill. Vestito nei pa ludamenti cinquecenteschi del la Giarrettiera, sembrava una figura di quadro storico, Colom- bo che spiega ai Reali di Spagna gli scopi del suo viaggio, a cui avessero' tagliato il volto e sostituito con quello di uno gnomo grasso, ironico, divertito, e sornione. T a cerimonia, come si è t- svolta sotto i nostri occhi, è un mosaico di molte epoche. L'Abbazia è stata ricostruita nel secolo scorso. Le corone e gli altri attributi della sovranità sono della metà del Seicento, quando il gioielliere di corte rifece tutto quello che Cromiceli aveva distrutto e disperso. La sedia di quercia, sotto cui sta la pietra di Scone, è senza dubbio del 1000, salvo le riparazioni, costruita da Edoardo il Confessore. Le musiche sono del Settecento, dell'Ottocento, e alcune contemporanee, composte per la cerimonia dell'altro \ giorno. Il cocchio dorato e rococò, costruito per Giorgio III. Il rito è antichissimo, simile a quello con cui si consacrava il re di Francia. Antichissimi sono anche i paludamenti ecclesiastici dei prelati, che sono auasi intatti quelli della Chiesa Cattolica, e il manto regale tessuto d'oro che indossa la regina quando viene incoronata, che è forse romano della decadenza e viene ancora messo, da noi, alle immagini della Madonna. Meno antiche sono le uniformi della guardia alla Torre, gli Yeomen, detti « mangiatori di manzo ». le quali risalgono, come alcune livree di corte, al Cinquecento. Il resto risàie ioIo al 1847, all'incoronazione di Vittoria. Quando nel 1902 si dovette incoronare Edoardo nessuno si ricordava più nulla di una cerimonia che non si era vista da sessantacinque anni e fu ricostruita dai quadri, dai documenti, e per ana¬ logia con altri riti. Quella di Edoardo VII fu la prima in cui si riprodusse volutamente l'antica cerimonia, con l'orgoglio per la sua antichità, e si fissò deliberatamente ogni cosa. Il fervore della festa era medioevale. Pervadeva ogni cosa la miracolosa unità delle cose antiche che forse l'Italia non ha mai conosciuto. Il rito era dedicato a Dio, alla regina, alla patria, alla Chiesa, alla storia, allo Stato, al popolo (« the bulldog breed >), alla gloria passata, alle speranze future, in una meravigliosa confusione. Medioevale era la folla che, in una grande città moderna, aveva atteso giorni e notti, sotto l'acqua, per vedere passare la regina. C'erano vecchi decrepiti, giovani, veterani di guerra con le decorazioni appuntate sulle giacche borghesi fradice di pioggia, bambini che giocavano tra le gambe di tutti e che i soldati dei cordoni si misero davanti, all'ultimo, perchè potessero vedere bene. La sera prima, per addormentarsi, o per passare il tempo, nella notte, all'alba del giorno dopo, tutti cantavano in coro le vecchie canzoni inglesi, canzoni di guerra, di mare, di campagna, gli inni sacri e quelli patriottici, le canzonette amorese. E su tutti cadeva inesorabile la pioggia fitta e sottile che appiccicava i capelli alla fronte e disfaceva i giornali su cui molti erano seduti, riducendoli in poltiglia. Le vecchie e i vecchi erano specialmente commoventi. Una donna di una settantina di anni, col volto ridente rigato dall'acqua e i ricci grigi ridotti a un groviglio gocciolante, avvolta in una coperta da letto, guidava un coro di giovani con una ocarina di latta, in Oxford Street. Mi disse: « Ho visto seppellire suo nonno e incoronare suo padre. Poi l'ho vista il giorno delle nozze. Ora la voglio vedere incoronata. E' una gran cosa e non mi importa nulla se prendo la polmonite ». Quando passava il cocchio d'oro tutti intonavano l'inno. Non lo gridavano con fervore patriottico, come si grida la Marsigliese. Lo mormoravano a fior di labbra, quasi lo ripetessero a se stessi, con devozione, come si canta talvolta in chiesa, anche perchè il loro inno nazionale è anzitutto una invocazione a Dio. Luigi Barzini jr