Il marchio totalitario di Francesco Argenta

Il marchio totalitario LA LEGGE TRIBUTARIA: COLLOQUIO COI LETTORI Il marchio totalitario Sulla base della pratica fiscale formatasi in tempo fascista, vessazioni e arbitri continuano - In tema di contrabbando Vagente è tabù - Le "visite,, a industriali e commercianti - Tristi conseguenze sull'iniziativa privata e sulle possibilità del lavoro Roma, maggio. Quello che si è detto, nei giorni scorsi, intorno all'applicazione che continua a farsi della famigerata legge 7 gennaio 1929, n. 4, ci ha procurato echi e consensi senza fine. Per assicurare l'adempimento delle prescrizioni imposte dalle leggi e dai regolamenti in materia finanziaria, la legge 7 gennaio 1929 dà facoltà « ai funzionari, agli ufficiali ed agli agenti della polizia tributaria di accedere, in qualunque ora negli esercizi pubblici ed in ogni locale adibito ad azienda industriale e commerciale, per eseguirvi verificazioni e ricerche >. Peggio della legge di P.S. •I/O norma ha una latitudine che stride con le ragionevoli cautele cui si sono attenuti i costituenti nel fissare i principi accolti nella Costituzione, ma non è solo l'altezzoso comando contenuto nell'articolo 35 della legge, è tutta la legge che stride coi principi fondamentali della Costituzione. Alla Camera ed al Senato, nel corso della passata legislatura, non pochi oratori iiiiimiiiiiiiiiiiniiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiii han tuonato contro il T. V. della legge di P. 8., definendolo uno strumento di detestabili vessazioni. Ma la legge tributaria del 1929, che può, anch'essa, aspirare alla dignità di testo unico, per l'intento, da cui è mossa, di coordinare le norme per la repressione^ delle violazioni alle leggi 'finanziarie, è ben più vessatoria della stessa legge di P. 8. Con un'evidenza ben più marcata, essa reca, inconfondibile e intollerabile, il marchio totalitario. E se questo è sfuggito ai legislatori passati, che non sono insorti contro la legge, nè contro l'applicazione che la legge ha continuato ad avere, sulla base della prassi formatasi in tempo fascista, le vessazioni e gli arbitrii che sono resi possibile da questa legge non sono sfuggiti e non sfuggono alla generalità dei cittadini. Le lettere che ci sono giunte sono un unanime coro di recriminazioni e di proteste. Se la legge di P. S. ha dei limiti per l'azione dei pubblici poteri, questi foretti sono insussistenti od inindividuabiìi nell'applicazione che viene data alla legge tributaria. Il cittadino non sa mai quale sia il punto di partenza, nella messa in moto del complicato meccanismo investigativo, nè può prevedere, mai, quale possa essere il punto di arresto. C'è sempre l'ipotesi del controbbando che vagola, aleggia od incombe come motivo di legittimazione per l'iniziativa degli in^ quircnti. E, in tema di contrabbando, l'agente è tabù, tutto quello che fa è tabù. Le raffiche di mitra Già, se interviene in materia di contrabbando, qualunque sia l'ipotesi, l'agente è, per tacita, inspiegabile ammissione, investito di funzioni di polizia giudiziaria, per cui può procedere senza il benestare o l'autorizzazione dell'autorità giudiziaria, ma nelle zone cosiddette di < vigilanza doganale >, la sua autorità si accresce smisuratamente, nessun limite é frapposto alla sua iniziativa. Lo spirito e la lettera della legge che mette in moto l'agente, giustificano o legittimano gli eccessi che tanti lamentano. Cosi, sotto la raffica di mitra, sparatagli dall'agente alle spalle, cade il contrabbandiere che cerca ■ di traghettare, oltre frontiera, qualche chilogrammo di tabacco. Ed è un assurdo inumano, mostruoso. Lia vita di un uomo, la vita di un essere, per miserabile che sia, vale ben più dei pochi chilogrammi di tabacco ch'egli tenta di introdurre entro i confini del propuu Paese in barba alla legge. E se questi sono i casi-limiti offerti dall'applicazione della legge, c'è tutta la varietà dei casi svicolali e secondari, cui l'applicazione della legge dà luogo, che inducono egualmente a meditare; che sono cagione di guai esasperanti; che determinano, in coloro che hanno la disavventura di esserne i soggetti passivi, un moto incontenibile di rivolta. Stando allo spirito della legge, l'agente potrebbe procedere, in qualsiasi circostanza, all'ispezione personale, che è tassativamente interdetta dalla Costituzione nei casi in cui non sia autorizzato con atto motivato dall'autorità giudiziaria. In base al se7nplice sospetto che tizio e caio detenga nel portafogli della valuta o nasconda in un taschino delle pietrine, t'agente potrebbe perquisirlo: se questo non avviene con troppa frequenza, è semplicemente perchè gli agenti si rendono corto che l'iniziativa potrebbe dare luogo a reazioni chiassose, sarebbe impopolare sino all'inimmaginabile. Ma gli agenti, incalzati dagli ordini di servizio, sempre implacabili e severi, sfidano largamente e coraggiosamente l'impopolarità allorché accedano, in qualunque ora, come dà facoltà loro la leg¬ ge, nei pubblici esercizi e nei locali adibiti ad aziende industriali e commerciali. Ed è la forma in cui si compiono questi accessi o queste irruzioni; gli indefiniti limiti di tempo in cui si esaurisce il ciclo esasperante delle investigazioni; le stupefacenti conclusioni cui arrivano gli investigatori e, più ancora delle soggettive conclusioni che essi intendono consacrare a verbale, le conseguenze che ne derivano, le sanzioni pecuniarie che ne discendono, che esagitano l'industriale ed il commerciante cui è toccata la « visita > della tributaria. Melanconiche conclusioni Se i grossi imprenditori riescono a difendersi da questi assalti, i piccoli e medi commercianti ed industriali sono, praticamente, inermi, senza difesa. Ed è per questo che le loro proteste sono univoche, danno luogo ad un coro drammaticamente orchestrato e nutrito. C'è sempre qualcosa che non è formalmente regolare nella contabilità e nella documentazione che il piccolo industriale o commerciante squaderna sotto gli occhi degli agenti. E ogni, sia pur evanescente, irregolarità formale comporta sanzioni astronomiche, a prescindere dal fatto che lo Stato si è attribuito, in tutto il dispiegarsi di queste procedure, poteri e possibilità illimitate. Se il produttore incorre in un errore e paga, a titolo di imposta sull'entrata, una somma che non è dovuta, avrà un anno di tempo per reclamarne il rimborso. E il rimborso non gli verrà. Ma lo Staio, per recuperare, per lo stesso titolo, una somma di cui il produttore ha evaso, dolosamente o in buona fede, il pagamento, si accorda un termine di dicci anni e pretende che il produttore esibisca le fatture che, invece, a termine della legge civile, egli è obbligato a conservare, solo per cinque anni. Ci soìio conclusioni da trarre sulla base di quanto son venuti segnalando i lettori ? Si, e sono conclusioni assai melanconiche. Il moto di rivolta cui dà luogo la pras¬ si instaurata nell'applicazione della famigerata legge del 1929 non è, almeno per quanto riguarda i piccoli e medi imprenditori, frutto di malcostume, ma è un sintomo che il sistema tocca i limiti della sopportabilità. Nel campo economico circolano oggi gli slogans della produttività e della massima occupazione. Afa i due obbiettivi cui si dovrebbe tendere sono largamente frustrati dagli eccessi del fiscalismo in atto. Scrive con tono esasperato un piccolo industriale: <...La squadra della "tributaria" è stata nella mia azienda per 31 giorni, senza nulla trovare di illegale, ma, alla fine, induttivamente, mi ha appioppato più di due milioni aiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiii SUGLI ACCORDI DI tfM CHITARRA di multa, che sto pagando. La mia reazione è semplice: non lavoro più per l'esportazione e i miei dipendenti, che, un anno fa, erano un centinaio, sono ridotti ora a cinquanta... Mentre, per circa quarant'anni, ho lavorato 12H ore al giorno, oggi, non mi resta altra alternativa di ridurre i giorni e le ore lavorative... ». / burocrati che manovrano le leve del sistema tributario credono di fare l'interesse dello Stato colpendo senza pietà e senza discriminazione. E non sanno, invere, che la molla che spinge alla produzione del reddito è neutralizzata e paralizzata proprio dai loro eccessi. Francesco Argenta iiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiii

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