La condanna del Candiani a 25 anni di reclusione

La condanna del Candiani a 25 anni di reclusione ex»iimoao nnimimA TRAanniA ni busto La condanna del Candiani a 25 anni di reclusione Alla lettura del verdetto l'imputato si abbatte con un tonfo sulla panca - Riconosciuto colpevole d'omicidio volontario - L'eloquente arringa di difesa dell''avv. Gonzales - / difensori ricorreranno in Appello (Dal nostro inviato speciale) lMilano 30 aprile t- Carlo Candiani, ricono- tp«ciuto colpevole di ratto a scopo di libidine, di omicidio volontario esclusa l'aggravante della crudeltà e dei motivi abietti, e di occultamento di cadavere, viene condannato alla pena complessiva di venticinque anni di reclusione,.. Con una voce incrinata dall'emozione il Presidente Maccone leggeva la sentenza, ma a questo punto nel silenzio dell'aula si è udito un tonfo. Con un lieve gemito Carlo Candiani si era abbattuto sulla panca. Al lugubre richiamo di quel tonfo, chi ha potuto trattenere un brivido, pensando all'agghiacciante analogia con un altro tonfo: Silvia che cade nel solaio? I carabinieri gli furono accanto a sorreggerlo. Ma r.on era uno svenimento. Candiani si riprese subito, pur rimanendo seduto. Col fazzoletto agli occhi continuò ad ascoltare la voce del Presidente che proseguiva nella lettura: — ...viene assolto per insufficienza di prove dal reato di atti di libidine,- e condannato al risarcimento del Satin! verso la parte lesa, nella misura di trecentomila lire ad Antonio Da Pont, 280 mila alla madre di Silvia, e 200 mila Pila sorella. Vittorio Tosi viene assolto per insufficienza di prove dal reato di concorso in ratto e di atti di libidine. Squallido pianto Accolte dunque .juasi integralmente le richieste del Pub blico Ministero. II Presidente ha tolto immediatamente l'udienza. Mentre dalla folla partiva il clamore dei commenti, sorretto dai carabinieri il vecchio Candiani lasciava l'aula. Una mano stringeva il fazzoletto cne teneva agli occhi. Lo "i vide sparire, curvo, con passo strascicato, all'inizio della scaletta. In camera di sicurezza, in attesa che il cellulare lo riportasse in carcere,' si accasciò sulla panca. Piangeva senza parole. Squallido il pianto di questo vecchio! Poco prima, durante l'attesa della sentenza, in quella stessa panca aveva continuato a ripetere: — Sono innocente. Desidero tornare a casa mia. Anche se mi danno poco, morrò in carcere. Ora, dopo la sentenza, piangeva senza più parole. Così si è concluso il iluplice dramma di Silvia Da Pont e di Carlo Candiani. A ^siomaggiore una ragazza di ventanni in una tomba; qui un vecchio che non tanto deve guardare ai venticinque 6 ini della pena, quanto a quei suoi settantadue che sono forse un peso più grave della condanna. L'udienza del mattino, dedicata interamente all'arringa dell'avv. Gonzales, si era conclusa con questa patetica invocazione: < Intorno a questa larva di uomo gira una giostra più grande di lui. Questo è un caso tipico dell'irrimediabilità del l'errore giudiziario. L'irrimediabilità è là, in quella gabbia. La sua speranza siete voi giudici e la Provvidenza che vi illuminerà >. Un'aula gremitissima, una miriade di gente che aveva affollato ogni spazio libero, e si accalcava di là dalle transenne, e di qua fra i banchi degli avvocati e dei giornalisti. L'avv. Gonzales, un austero settantenne alto asciutto ha iniziato alle 9,35 la sua arrm ga che durerà tre ore, ora pacata ora scattante, di una elo quenza forbita, chiarissima nel la documentazione e dialetticamente insidiosa. Egli ha co minciato ringraziando il Pub blico Ministero per avere smorzato, nella conclusione della sua requisitoria, quei toni da drammaccio giallo che la vi cenda aveva assunta; e per avere riconosciuto che al centro della causa si era infittito un mistero che il dibattito non aveva chiarito, e precisamente il mezzo con cui sia stato determinato empiricamente 11 sonno di 44 giorni di Silvia. < Una condanna mìnima sarebbe ugualmente una pena capitale per Candiani — ha detto l'avv. Gonzales. — Cinque anni o l'ergastolo per lui è la stessa cosa. Considerate l'irrimediabilità della pena. Proprio in questi giorni è il caso di quel Christie, dove è risultato che tra le tante vit nsbvCatime uria ve ne fu per la qua- le un innocente è salito sul patibolo. Gli indizi, la cosiddetta testimonianza delle cose, l'impronta sul pavimento, la pan- tofola, la chiave nella carbO' naia. Si è vista una impronta nella polvere e non si è pensato che a Silvia. Può essere stata prodotta dal sacco di libri che, trascinato per terra, vi lasciò un segno. < L'accusa pensa che quando Candiani trasportò il cadavere dalla carbonaia alla cantina dei Nimmo, la pantofola cadde. E allora l'astuto delinquente provvede, il 29 ottobre, a metterla nella cantina. Ma Candiani avrebbe avuto interesse a far sparire la pantofola, a bruciarla. Averne trovato una sola poteva significare che il cadavere fosse stato portato da fuori. E infine la chiave. Abbiamo visto la porta della carbonaia. Non c'è mai stata una serratura, la carbonaia non ha mai custodito il terribile segreto di una Silvia sulla sedia a sdraio >. Possono sembrare parole inutili, ora, dopo la condanna. Ma bisogna considerarle come il generoso e nobile slancio di un illustre penalista verso .un infelice. .'XJUunjca certezza della causa — ha continuato l'oratore -ììùna certezza paurosa-, è il cada' vere di Silvia. I morti non parlano; noi Silvia la faremo parlare. A quando risale la scomparsa? Al 7 settembre, questo è certo. Certa è anche la data in cui il cadavere fu scoperto 28 ottobre. A quando risale la morte? Si è detto: 20 ottobre. Questo non è certo. Mongelli chiese al perito Cavallazzi, dopo che questi aveva fatto la autopsia: " E' possibile che Silvia sia morta il 7 settembre? ", Cavallazzi rispose che era possibile, e la magrezza sarebbe stata determinata dall'ambiente aerato che avrebbe prosciugato il cadavere. E allora abbiamo il diritto di dire che Silvia può essere morta il 7 settembre. Ma c'è il fatto dell'inedia. E qui comincia la girandola delle ipotesi > Il patrono della difesa si è soffermato anzitutto su quella del suicidio. Morta tra gli spasimi cNon siamo noi a fare confusione tra suicidio e sitofobia. Silvia è morta fra gli spasimi. La posizione del cadavere è appunto la conferma della morte per sitofobia. Ma perchè sopprimersi, povera creatura? Noi non sappiamo nulla di lei. Ha 20 anni, è tarda di mente, ma non conosciamo nulla dei suoi occhi pieni di lagrime, di quelle due parole tragiche che dice al lattaio: «Va male ». La sitofobia, che presuppone la schizofrenia, è un altro elemento di questa girandola delle ipotesi. Sia ben chiaro che io non accuso i carabinieri di avere accusato un innocente o di avere alterato scientemente la verità. Essi sono partiti dalla persuasione che autore del fatto non potesse essere altro che Candiani. Hanno peccato di eccesso di zelo >. L'avv. Gonzales ha continuato: «Ognuno a suo modo ricostruisce la vicenda. Ma tutti partono da un'aggressione che il 7 settembre Candiani avrebbe commesso contro Silvia. Qui comincia 11 vertice della follia. Silvia era domestica dei Nimmo. Assurdo che egli attui il sequestro della ragazza nella stessa casa, con la prevedibile ricerca della acomparsa, i sopraluoghi, gli interrogatori. Nè Candiani poteva immaginare che la polizia fosse cosi negligente da trascurare di guardare nelle siié stanze del solaio. Incredibile è pure il fatto che i Nimmo non abbiano sentito nessun tonfo giungere dal solalo che sovrasta il loro appartamento. Ma c'è di più. C'è che Candiani aveva interesse a lasciare Silvia in solaio. Ma poiché la ragazza è stata trovata in cantina, l'accusa pensa al trasloco. E spunta la cassa. Sollevata sulle braccia, si dice in un primo tempo. Poi si riflette al vecchio dte.betlco, al miocardico, all'ernioso, e si dice: la cassa è stata fatta scivolare sugli scalini. E Candiani e Tosi non hanno incontrato nessuno durante la lunga operazione? Questo vecchio invalido poi toglie da solo la ragazza dalla cassa e la depone sulla sedia a sdraio >. Il patrono di difesa ha poi esaminato il particolare delle feci e della macchia d'orina, per concludere che se sono di Silvia si deve ammettere che mtovvlvFurzpmprcmtgstdtldsecdfmrsclotsccttèdf]a ragazza era libera nei buoI rmsscv movimenti, dato che poteva soddisfare le elementari necessità. Ma se era libera di muoversi, poteva essere vista: e come mai allora nessuno la vide? «Dunque era la sitofoba che tenacemente si nasconde per morire. Se quei resti non sono suoi, vuol dire che Silvia era una donna finita. E in questo caso non si può dar credito alla confessione di Candiani. quando egli dice che tentò fino all'ultimo di alimentarla con latte e vino. Perchè la portò poi nella cantina dei Nimmo? Dice l'accusa che ve la portò allo scopo di farla scoprire. E perchè non ve la portò prima, visto che i. Nimmo non c'erano? Ma io vi chiedo: Quando ve la portò? Dovete rispondere a questa domanda. Giorni? Settimane? Io vi dico che Silvia vi era dal 7 settembre >. Il mago e l'alchimista Riferendosi alla consulenza tecnica, l'avvocato Gonzales dice che soltanto un esperto di anestesia avrebbe potuto tenere addormentata e in vita Silvia Da Pont, per un tempo così lungo. E Candiani questa tecnica non la- conosceva. SI è cercato quale farmacista gli vendétte la papaverina? L'istruttoria non ha dato risposta a un tale quesito. «Parliamo, ora di Candiani — continua l'oratore. — Come spiegare ' il divampare improvviso, a 70 anni, di una così imponente personalità criminale? Non avrei disonorato la toga accettando la difesa di un cosi abietto individuo. Candiani è un povero vecchio rassegnato alle rinunce dell'età, rassegnato alla sua povertà. E' stata creata una personalità criminale. Ma occorreva il mago, l'alchimista. E occorreva anche un artista della simulazione. E si è trovato un vecchio che fumava mezzo to? . no e beveva un bicchiere di vino bianco. « Ed ecco — ha detto l'avv. Gonzales. avviandosi alla fine dell'arringa, — un altro punto che desidero chiarire. Siamo stati accusati di avere diffamato là povera Silvia, portando qui Tuzzolino. Ma non è stato lui solo a parlare di passeggiate, di gite in campagna. Non c'è nulla da scandalizzarsi. Silvia era giovane, conduceva una vita grigia, alimentata da speranze deluse. Non aveva che quelle brevi oasi domenicali. Nulla di male che si accompagnasse con un ragazzo della sua età. E possono capitare cose belle e cose brutte. Perchè Silvia ha paura di andare a casa? Anche questa è una ipotesi, ma bisogna farla. Ricordatevi di quella cameriera che due anni fa, a Roma, fu arrestata perchè sospetta di aver rubato un anello alla padrona. Chiusa in camera di sicurezza si appiccò il fuoco alle vesti e si lasciò morire bruciata senza un grido, senza un lamento. « E' stato o non è stato Candiani? — si è chiesto l'oratore, trattando le argomentazioni conclusive. — Perchè non portò via il cadavere serven¬ dosi del furgoncino? Chi ci dice che egli non lo sappia gui dare? E poi c'era Tosi, 11 suo complice inconsapevole. Non dico che sia così. E' possibile che sia cosi. Tutto è possìbile e tutto è impossibile. E ancora: Silvia era o no vestita? Quella era la testimonianza delle cose, altro che la pantofola vagabonda o l'impronta. Ci siamo sentiti dire che gli indumenti sono stati inumati E perchè non sono stati esumati? Questo sarebbe stato zelo. E l'orina? Da essa si eliminano i veleni E il perito trova quella preziosa fonte di analisi, e non gli viene la curiosità di interrogarla, di chie derle forse il segreto del mi stero. «Attorno a Candiani ruota una giostra più grande di lui. Egli non è che una larva. Non fa che ripetere ai suoi difen sori: «Hanno infangato la mia vecchiaia >. Questo è un caso tipico di irrimediabilità dell|errore. Errore e orrore. Non c'è appello che conti dopo una sentenza di condanna E tuttavia la speranza non l'ha mai abbandonato. Egli chiede a voi assistenza. Assistenza a uno sfortunato, a una vittima del destino. La spe ranza Siete voi giudici. Che Iddio vi illumini ». Le conclusioni presentate alla Corte sono state formulate nella richiesta di una assoluzione per non avere commes so I fatti. Una battaglia perduta non è una battaglia inutile. L'udienza è stata ripresa alle 17,10. Il Presidente ha chiesto all'imputato: ■w- Candiani, avete qualcosa da dire a vostra difesa? Candidili si è aggrappato alle sbarre, il viso gli si è congestionato: ■ Non posso che confermare quello che ho sempre detto ai miei difensori. Silvia l'ho vista l'ultima volta la mattina del 7 settembre. Poi non l'ho più rivista. — Con voce quasi strozzata ha aggiunto: — Io sono innocente! Sono innocente! L'ultima attesa La Corte si ritira; anche Candiani lascia l'aula. E' cominciata l'attesa. Folla enorme. Brusìo, cicaleccio, contrasti fra sostenitori dell'una dell'altra tesi. Trascorsero due ore e 40 minuti. Alle 19,50 squilla il campanello. Candiani viene introdotto nella gabbia. E' pallido. Dalla parte opposta, in piedi su una panca, i genitori e le sorelle di Silvia. Uno spasimo di liberazione contrae il volto di Maria, poco dopo si indurisce nel pallore in una smorfia d'angoscia, Accanto a loro è il capitano Mongelli. Un silenzio teso. Il Presidente comincia la lettura del dì spositivo della sentenza. La sua voce è lievemente rauca. Lo diventa un po' di più a quel tonfo di Candiani che piomba sulla panca. La folla poi si è riversata fuori. I parenti di Silvia sono usciti in gruppo, circondati dalla gente. « E' stato un atto di giustizia — ha detto Maria. — Noi volevamo soltanto che ci fosse resa giustizia per Silvia >. In silenzio si è allontanato il capitano Mongelli. Candiani ha pianto ancora, finche non è arrivato il cellulare, finche non è rientrato'in carcere. Non lo ha affatto placato l'annuncio che i difensori ricorreranno in appello. « Non ci sarò più », ha detto. Giuseppe Faraci Carlo Candiani dietro le sbarre, accasciato sotto 11 peso della sentenza, (Telefoto) HE Candiani nella lunga attesa del verdette Tra poco sarà folgorato dalla condanna fti

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