Due ex-condannati banchettano a Sanremo di Giovanni Giovannini

Due ex-condannati banchettano a Sanremo Due ex-condannati banchettano a Sanremo Gino Corni e Giuseppe Garaccione erano stati condannati in Francia uno a 20 anni l'altro alla ghigliottina - Come un ispettore ne provò l'innocenza - Una promessa mantenuta: "Ci ritroveremo,. DAI NOSTRO INVIATO Sanremo, lunedi mattina I clienti di un noto ristorante di San Remo hanno ieri a mezzogiorno assistito esterrefatti ad un impetuoso assalto di giornalisti e ,fotografa italiani e francesi, ad un tuvolo dove quattro versone — due uomini e due donne — sedevano tranquillamente. Solo quando i nomi degli intervistati han cominciato a passare di bocca \n bocca, all'interesse è succeduta la simpatia, la cordialità,, l'affetto quasi. Attorno a quel tavolo si concludevano nel più felice dei modi quelli che per lunghi anni avevano minacciato di essere due dei più tragici errori giudiziari del dopoguerra. I/uomo più giovane era stato nel '45 condannato a 20 anni di lavori forzati da un Tribunale francese; il secondo, aveva nel '47 ascoltato la Corte di Nizza che lo condannava alla pena di morte. Il primo era Gino Corni; il secondo Giuseppe Garaccione. l'uno e l'altro italiani. Troppo noto il nome di Gino Corni — della cui vicenda ebbero ad interessarsi le massime autorità e la stampa di Francia e d'Italia — per ricordarne il caso nei particolari Soldato in Provenza durante la nostra occupazione, sfugge dopo l'H settembre alla prigio nia tedesca e rimane a lavo rare seminascosto presso una famiglia di Lavandou nei dintorni di Tolone. Una notte, nel '44, qualcuno, sorprèso mentre tentava di rubare delle galline in un pollaio, spara contro quattro persone e fugge. Del fatto, viene accusato l'ex-soldatino italiano: lo arrestano, lo giudicavo, lo condannano a 20 anni di reclusione. Innocente, Gino ha negato, nega, continuerà a negare sempre. Ed un forte elemento di dubbio rimane evidentemente anche nei giudici, se nel maggio del '47 essi gli dimezzano la pena. Lo consigliano inoltre di inoltrare domanda di grazia al Presidente della Repubblica francese, garantendone l'esito positivo. Sia Corni rifiuta: < Un innocente non può chiedere di essere graziato*. Eppure è alla disperazione. In questo momento, ha la fortuna di incontrare Garaccione. G-luseppe Garaccione — i cui casi, per quanto meno noti, sono ancora più straordinari di quelli dell'ex-soldatino — è il proprietario di una bella pescheria nel centro di Nizza. Appena finita la guerra, riesce a sapere che qualche amico lo ha denunziato di aver consegnato l'anno prima alla Gestapo una famiglia di ebrei, sterminata poi in Germania; fugge. Viene in contumacia condannato alla pena di morte. Per mesi e mesi gira co> muffato in ogni regione di Francia, sempre incalzato dalla polizia, e soprattutto da uno dei più abili segugi della Repubblica, l'ispettore nizzardo Jean Pierre Brun. Ed è soltanto a lui che finalmente Garaccione st decide ad arrendersi. Siamo nell'aprile del '47, nel carcere a Nizza. Ogni alba è tragica per Garaccione che veglia tendendo l'orecchio per cogliere l'eco del passo cadenzato ael plotone di esecuzione: poiché egli è l'unico condannato a morte e solo per lui possono venire i soldati. E all'alba del 7 aprile, ecco il passo de% senegalesi, eccoli che si schierano nel cortile della prigione, eccoli caricare le armi. Garaccione è pronto dietro la porta della sua cella. Ma non per lui suona ancora la campana: suona per un «politico» che, all'insaputa di tutti, era stato portato nell'edificio durante la notte. Mentre di giorno in giorno Vitaliano attende di morire, gli capita spesso di essere lasciato un po' con il suo connazionale Gino Corni che sta inigiando i 20 anni di carcere; a nonostante la tragicità del momento, trova la forza di fargli coraggio: «Vedrai, Gino, la verità trionferà; e in tempi migliori ci ritroveremo insieme, magari in qualche ristorante italiano davanti ad un fupmnlaKsidoasacisstBdmngdteasntel'tnaesf?t—scIrgnznioutèvrzEimDcnistiusvdi , i l . e o fumante piatto di spaghetti*. Si sa come andarono le cose per Gino Corni. Alle sue afférmazioni sempre reiterate d'innocenza credette una donna: la signorina Francesca De Kermedec. che, spinta dal desiderio di apostolato ad abbandonare la sua nobile famiglia orettone, si era dedicata alla assistenza dei carcerati. Fu essa aa interessare al caso un celebre poliziotto, quello stesso ispettore Brun che aveva arrestato Garaccione. L'azione di Brun fu fulminea: cominciò a dimostrare che Corni era mancino, mentre nella tragica notte di Lavandou l'ignoto aggressore aveva sparato con la destra; e a poco a poco smantellò punto per punto tutte le accuse. E alla fine, trionfale scarcerazione di Gino, Altrettanto fulmineo — e ce n'era bisogno perchè la sen tenza di morte poteva essere eseguita da un momento all'altro — Brun fu nei confronti di Garaccione, della cui innocenza si era convinto dopo averlo arrestato. Proprio in Lazpgac•extremis l'ispettore fece una, scoperta sbalorditiva: che l'au-. fore del reato imputato all'ito- ?."!! «^*<grl to in un giovane francese che — in contumacia — era già stato condannato a morte. La cosa parve incredibile: ma era Incontestabile Cosi anche Garaccione fu libero. t Ci rivedremo in tempi migliori»: aveva detto Garaccione a Corni nel carcere di Nizza. Ed ecco la fausta occasione; i due si sono riabbracciati ieri a San Remo: Corni, che ora è guardiano notturno in uno stabilimento di Spilamberto, il suo paesetto emiliano, si è sposato sabato con una giovane graziosa ragazza; e Garaccione lo ha invitato ad iniziare qui la sua luna di miele. Ed eccoli qui tutti e quattro: i due sposi, l'ex-condannato a morte, la benefica signorina De Kermedec. Manca solo il celebre ispettore Brun, trascinato dal suo istinto di segugio in qualche parte della Francia su qualche pista di qualche altro colpevole da arrestare o innocente da proteggere. Ma una volta tanto la frase « essere presente in spirito » ha veramente un significato. ' Il classico lieto fine quindi dei romanzi dalla turbinosa incredibile vicenda: questa volta però si tratta di una storia vera. S'è avverato nella realtà l'auspicio di chi davanti alla morte trovava la forza di ripetere. < Vedrai, Gino, la verità trionferà ». Giovanni Giovannini