Polemiche in versi dai banchi di Montecitorio

Polemiche in versi dai banchi di Montecitorio TRA LE PAUSE DELLA LUNGA BATTAGLIA Polemiche in versi dai banchi di Montecitorio Le quartine di Bettiol e la risposta di Failla . Montagnana rispolvera l'Ariosto - Tonengo vittima di un giornalista maligno - Una citazione di La Pira e le perplessità di Gronchi (Nostro servizio speciale) Roma, dicembre. Migliore di tanti altri, questo Natale: e lo dico perchè gli ultimi giorni sono stati in diversi modi ricchi di interesse, portatori di qualche sorpresa, e talvolta non privi di garbata fantasia, talaltra comici davvero; insomma di una settimana natalizia di questo genere non ci possiamo lamentare perchè ha anche avuto una sua amabile funzione edificante. Charlot è arrivato un giorno che i nostri deputati erano in clausura per la battaglia dell'ostruzionismo contro la < legge-truffa », com'è chiamato dai fascisti e dai comunisti il progetto per la nuova legge elettorale: e Luciana Viviani che rappresenta alla Camera i comunisti di Napoli, tenendo anche alta la memoria di suo padre, grande e compianto attore del teatro vernacolo, subito a Montecitorio trovò modo di parlare di Charlot. Ne disse cose convenienti, ed io non credo che avesse colto quello spunto solo per prolungare, divagando, la discussione ostruzionistica sul progetto di legge; parlava invece con profonda coscienza di ammiratrice, ed anzi quasi tutti i deputati, al suo intervento furono concordi nell'apprezzare le parole sull'arte inserite nella grigia discussione politica. Pure, è strana la sorte di Luciana Viviani, detta affettuosamente Lucianella. Quando ci fu a Montecitorio, la primavera del '49, il primo esperimento di battaglia ostruzionistica (si voleva impedire l'adesione dell'Italia al Patto atlantico) Luciana si era già dovuta impegnare per difendere un attore: era suo padre, quella volta. Ella difatti aveva denunciato, in un discorso polemico, che l'onorevole Leone, democristiano, aveva detto in un comizio di paese che i russi hanno la coda che cioè sono bestie, non cristiani. Leone aveva protestato vivacemente contro Lucianella: « Queste cose le dice tuo padre! ». Protesta di Pajetta L'on. Pajetta, generosamente mosso anche allora dal desiderio di evitare che faccende di famiglia venissero a turbare discussioni politiche, urlò, rivolto all'onorevole Leone: « Mascalzone.'*. Ne scoppiò un incidente, che poi fu chiuso dopo gran chiasso, con un omaggio della Camera all'arte esimia dell'attore di Napoli <... che fa ridere, sì — tenne a chiarire lealmente l'onorevole Leone — ma sulle scene, come è suo vanto e suo diritto ». Quest'anno, nella nuova edizione natalizia della battaglia ostruzionistica, l'onorevole Leone aveva le funzioni di vice-presidente della Camera, e come tale non si è pronunciato nei confronti di Charlot, nè di Raffaele Viviani. In queste senso eredi di Leone sono invece stati un deputato commediografo, Guglielmo Giannini, e un giornalista, Alberto Giovannini. Giannini ha detto che non sarebbe intervenuto alla serata di gala indetta per la proiezione di Limelight alla presenza del Presidente della Repubblica, e questo perchè in abito da sera — luì, Giannini — si veste solo quando va a vedere il Papa. Alberto Giovannini è stato ancora più puntuale, richiamandosi proprio alla memoria di Raffaele Viviani, Ha scritto di essersi stupito che l'arrivo di Chaplin in Italia fosse stato salutato alla Camera da Lucianella Viviani, dalla figlia, cioè, < dell'immenso Don Raffaele, che nessuno più ricorda e che pure facendo le stesse cose, è morto povero come la gen- te che impersonava sulla scena ». Facendo le stesse cose, cioè facendo ridere e facendo pensare, Raffaele Viviani non si è dunque arricchito, mentre pare che a Chaplin non si debba perdonare di esser riuscito a mettersi al riparo dalle insidie della fortuna, pur praticando solamente un'arte. Allora Lucianella ha scritto molto appropriatamente che, se suo padre avesse potuto leggere le frasi di Giovannini, avrebbe esclamato, con quella dolorosa ironia che si era accentuata negli ultimi anni della sua vita: « S'arrecurdene 'e me sule quann'anna 'a parla malamente 'e 'llate>: che vuole dire: si ricordano di me solo. quando debbono parlare male degli altri. Umani accenti come questi non sono stati senza effetto nell'aula di Montecitorio. I deputati, infatti, ne sano, itati richiamati, pur durando la battaglia ostruzionistica, a ispirazioni artistiche. Bi è visto l'onorevole Bettiol, presidente del gruppo parlamentare democristiano, un uomo duro che generalmente è ritenuto anzi un violento, curvarsi a compitare sulla tavoletta del proprio banco una risposta in versi al deputato comunista Amerigo Cloechiatti, operaio di Parma e Piacenza. In questo modo la polemica politica si è avviata lungo i sentieri della poesia, e veramente non ha importanza che i versi di Bettiol siano mediocri (<. Siamo, o caro e buon Clocchiatti - in quest'aula catti e gatti - ma sarai di me fratello - nella pace dell'avello*): quello che importa è l'affetto cristiano dei due aggettivi del primo verso, nonché l'ammonimento, atich'esso pieno di spiritualità cristiana, a ricordarsi della nostra sorte umana per il giorno in cui speriamo che ci saranno rimessi tutti i nostri peccati. Ma l'onorevole Clocchiatti non si è sentito di cimentarsi sul terreno arduo delle rime. Operaio, e modesto, ha affidato l'incarico della risposta al suo compagno di partito Virgilio Failla, dottore in lettere e deputato di Catania. Meridionale, superstizioso, Failla ha prontamente verseggiato: <No. Neanche nell'avello - ti vorrei di me fratello - e per questi tuoi argomenti - tocco ferro immantinenti >. Devo avvertire a questo punto che mi sono permesso una variante nel trascrivere i versi di Failla, per toglierne un accenno di natura oscena che nell'originale è contenuto nel verso quarto. Per la stessa ragione non mi sento di riprodurre intiera la risposta di Bettiol, che cominciava: « O simpatico Failla - il cervello tuo scintilla...*, perchè il resto è irripetibile. Si poteva temere che di questo passo si finisse a cadere nella pornografia: invece, per fortuita, senza abbandonare la poesia, i nostri deputati hanno saputo sollevarsi fino ai classici. L'ottava della frode Il comunista Mario Montagnana, torinese, volendo infatti denunciare il partito democristiano, come fraudolento, citò l'Ariosto nella ottava che contiene la famosa similitudine della frode (< Avea piaccvol viso, abito onesto un umil volger d'occhi, un andar grave - un parlar si benigno e sì modesto - che parca Gabriel dicere ave; era brutta e difforme in tutto il resto - e nascondea quelle fattezze prave • col lungo abito e largo e sotto quello attossicato avea sempre il coltello *). Recitò bene, con buon accento e con espressione, tutta l'ottava, per concludere: < E questa è proprio la democrazia cristiana onorevoli colleghi.'*. Attacchi simili, imputazioni specifiche di truffa, i de1 mocratici cristiani ne hanno subiti in cosi grande numero che probabilmente questa nuova accusa sarebbe caduta nell'indifferenza; anzi qualcuno si sarebbe magari rallegrato per questa bella traduzione in versi delle consuete badiali ingiurie che hanno corso a Montecitorio. Ma ci fu un giornalista, di temperamento ingeneroso, che volle trarre profitto comico dall'episodio insolito. Scrisse difatti nel suo resoconto che il deputato Matteo Tonengo, contadino democristiano di Chivasso, aveva commentato la citazione della ottava con questo apprezzamento: « Che brutti versi! *. Al che, secondo quel giornalista che inventava battute e interruzioni per una specie di suo gusto maligno, l'on. Montagnana avrebbe risposto: € Sono di Ariosto, caro collega ». Ed allora Tonengo (sempre secondo le invenzioni del giornalista malvagio), avrebbe fatto confusione tra Ludovico Ariosto, e il deputato Egidio Ariosto, rappresentante socialdemocratico di Brescia, e avrebbe detto: « Non posso credere che l'on. Ariosto li abbia scritti. I socialdemocratici non sono anticlericali ». A questo punto per concludere la storia inventata, il Presidente sarebbe intervenuto: « C'è un equivoco, onorevole Tonengo, non prosegua: si tratta di un altro Ariosto... ». La pace riconquistata La storia è stata pubblicata lunedì scorso. Tutta inventata, come ho detto, l'on. Tonengo l'ha letta con profonda meraviglia e comprensìbile dispiacere. Dignitoso, è salito nella tribuna stampa, si è presentato al giornalista mistificatore e gli ha detto con tono addolorato: < Signor dottore, io sono un contadino, ma lei ha voluto farmi passare per un buffone. Non è stato bello da parte sua*. Il giornalista, iti verità, restava imbarazzato, come accade O i,v,,,c ul,w,uC allorquando ci si scopre nel itorto e fu allora Tonengo a |'souerc/iiaWo: <Lei saj nevvero, la derivazione di quel verso < che parea Gabriel dicere ave*? Se legge Dante, Purgatorio; canto decimo, verso 40, troverà scritto: < Giurato si saria ch'e' dicesse ave *; se lo ricorda, vero? E immagino che anche lei saprà che Dante alla sua volta l'aveva derivato dal lVangelo di Luca (1-S8): «Ave Maria, gratia piena, Dominus tecum, benedicta tu in mulierìbus... >. Il giornalista cattivo, sopraffatto, rispose appena: « Certo, onorevole, sono cristiano anch'io... : gli disse: « Mi molto piacere, che almeno per Natale se ne ricordi*; e se ne andò facendo auguri. Ma qualche cosa dì evangelico era, davvero entrato, si era diffuso in Montecitorio. Se ne è avuta la prova con la lettera che l'onorevole La Pira, sindaco democristiano di Firenze, ha inviato al presidente della Camera. Il presidente, l'altro giorno, aveva deplorato che l'onorevole La Pira non si fosse sentito in dovere di dimettersi da deputato, essendo stata dichiarata incompatibile la carica di sindaco di città capoluogo di provincia con quella di parlamentare: anzi, nonché dimettersi, non aveva neppure risposto alla Giunta delle elezioni che gli aveva chiesto di manifestare i suoi propositi. Allora, finalmente. La Pira scrisse e nella lettera citò il Vangelo ili Matteo (X, 14): <E se qualcuno vi respinge, nell'uscire da quella casa o da quella città, scuotere la polvere dai vostri piedi *. Come risposta era insolente, e fa pensare che La Pira si sia adirato perchè i suoi argomenti (egli ritiene che non vi sia incompatibilità fra le due cariche che ha) non sono stati presi in considerazione. Sta di fatto che Gron- e Tonengo |fa piacere, j i1 I chi, avuta la risposta, ha cominciato a considerarla con una certa perplessità: ha poi preso il Vangelo per rileggere il capo decimo di Matteo. Ivi si tratta della missione dei dodici apostoli, e il caso di La Pira è quindi quello di un apostolo cui sia toccato di entrare in una casa indegna. In questo caso, dice Matteo, <... la vostra pace torni a voi*. Così La Pira ha riacquistato la sua pace, rinnegando Roma e Montecitorio dove non lo hanno ascoltato. Quanto a Roma, Purtroppo, le dovrebbe toccare, secondo Matteo (X, 15). di essere trattata, nel giorno del Giudìzio, peggio di Sodoma e Gomorra. Avendo letto tutto questo, Gronchi ha scosso la testa, e ha sospirato: « C'è Vangelo e Vangelo; per dir meglio, ci si trova dì tutto. Ma preferisco quello di Tonengo a quello di La Pira ». Vittorìo Gorresio niiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiH