La grande speranza

La grande speranza La grande speranza « Secol si rinnova, torna giustizia e primo tempo umano, e progenie discende dal del nova ». Così, in volgare illustre, Dante traduce nel «Purgatorio» (C. XXII) l'inizio dell'egloga quarta di Virgilio, che per secoli è stata una « croce degli interpreti ». Oggi, dopo il libro stupendo di Eduard Norden, Die Geburt des Kindes («La nascita del Bambino ») — frutto saporosissimo dell'umanesimo ottocentesco, anche se uscito nel 1924 — nessuno pensa più a mettere in dubbio che quei versi misteriosi, fra i più solennemente belli del sommo poeta italico, segnino un culmine dello sviluppo religioso dell'antichità; di quello sviluppo che ben possiamo chiamare, con i Padri più antichi e Venerandi della Chiesa, « preparazione evangelica ». Siamo innanzi ad una profezia. « Venuta è ormai l'età ultima predetta nel carme della Sibilla Cumana: la grande serie di secoli ricomincia dall'inizio. Di già torna la Vergine, torna il regno di Saturno ». Seguono i versi che abbiamo letto già nella traduzione dantesca. Quindi il Poeta prosegue, vaticinando la nascita del Fanciullo, per cui cesserà l'età del ferro e sorgerà per tutto il mondo quella dell'oro. Il Fanciullo prodigioso governerà l'universo pacificato : le greggi non temeranno più i leoni giganteschi, spariranno i serpenti e le erbe velenose, la dura scorza della quercia distillerà una rugiada di miele, la terra non avrà più bisogno dell'aratro nè la vigna della falce per dare i suoi prodotti in abbondanza. Sono gli stessi colori idilliaci che troviamo nel libro del profeta Isaia, là dove si profetizza pure un fanciullo, apportatore di un'era di felicità messianica. Tradizione ebraica, dunque, accanto a quella ellenistica: l'una e l'altra risalenti all'Oriente antico, forse antichissimo, preistorico: il credente cristiano può fare appello alla « rivelazione primitiva » teorizzata dalla teologia cattolica. Nel Messale latino-italiano edito, con l'approvazione dell'autorità ecclesiastica, dal Marietti di Torino, leggiamo, sotto la rubrica del Natale, che « a scegliere il 25 dicembre non deve essere stato estraneo il fatto che quel gio-no era uesti nato presso molti pagani a celebrare il dì natalizio del Dio-Sole Invitto, la cui na scita coincide appunto col solstizio d'inveì no ». Con viene aggiungere che anche la festa dell'Epifania — più antica del Nata'". — si ri conduce agli stessi antecc denti: sdoppiamento dell'unica festa del solstizio d'inverno, Drovocato dallo spostamento che la data di quello aveva subito attra verso i millenni. Nessun danno può venire da un simile riconosca mento all'originalità religiosa del rito e della devozione cristiana, la quale anzi appare più chiara a chi abbracci di uno sguardo tutta la evoluzione che dalla festa solare ha condotto a quella di Gesù Bambino. Il punto di partenza è naturalistico: rappresentazione del perpetuo rinnovarsi della vita della natura. Ma quale elevazione, quale umanizzazione essa ha subito, fino al Natale-Epifania cristiani ! Che il sole sia « invitto », cioè che in ogni anno ii giorno e la luce tornino a crescere dopo le lunghe notti e le brume invernali, è garanzia per la continuazione della vita universale: ma nulla ci dice sulle sorti della vita individuale. Di qui la malinconia di un altro grande poeta italico, Catullo: « Agli astri è dato tramontare e risorgere; per noi, una volta caduto il nostro breve giorno, non rimane che dormire una sola notte perpetua ». Occorreva, ai bisogni del cuore umano, che il mito naturalistico si umanizzas se, che la Divinità si piegasse amorevole su di noi interessandosi non più soltanto a guidare il corso degli astri, ma le sorti della nostra esistenza individuale Questo processo è avviato nell'egloga virgiliana, cioè nelle concezioni di quel pa ganesimo volgente al tra monto che possiamo chiamare « precristiano ». Ma l'elemento meraviglioso prevale ancora nettamen te su quello etico: e il fondo naturalistico mal si adat ta alla sovrapposta moraliz- zazione. I tronchi stillanti miele, le pecore al sicuro dai leoni erano prodigi rimescolanti magicamente l'ordine naturale esterno, piuttostochè creanti una nuova vita dell'umanità. Prevale ancora, nel fanciullo divino di Virgilio, il carattere del dominatore, del conquistatore. Con Gesù Bambino è la fragile debolezza, l'umiltà oscura che vengono esaltate, e destinate a superare gli splendori mondani, a vincere la forza dei dominatori della terra. « Deposuit potentes de sede et exaltavit humiles », è detto nel « Magnificat », il cantico col quale nelle prime pagine del Vangelo di Luca si inneggia, ancor prima che alla nascita di Gesù, a quella del precursore. In questo capovolgimento di valori rimasto ignoto agli antichi misteri (che pure per tanta parte furono i battistrada del Cristianesimo), in questa sovranità data all'elemento interiore, alla vita dello spirito, alla pura bontà disarmata di contro a ogni grandezza esterna ed a tutte le forze materiali correnti « sull'empia terra come cavalli in guerra », sta il valore imperituro del Natale, dell'Epifania cristiana. I tempi ferrei che stiamo traversando da ormai quarant'anni — dobbiamo ricordare l'esodo israelitico in vista della Terra Promessa ? — possono sembrare smentita e scherno per il mito pagano, per la credenza evangelica. E tuttavia conviene domandarsi se la sosta che tutti gli spiriti, anche i più induriti, fanno in questi giorni nel ricordo del mistero millenario, nella rievocazione delle pure gioie dell'infanzia, non sia una delle forze che trattiene ancora l'umanità sull'orlo dell'abisso, nell'era atomica dei Moloch totalitari. Così come nel racconto del « Purgatorio » dantesco il demonio, che vorrebbe rapire l'anima di Buonconte, viene precorso dall'angelo di Dio, che per « una lagrimetta » gli rapisce la preda. I valori morali sono incalcolabili nell'ordine quantitativo: e bisogna pur dire che essi finiscano per prevalere, se, dopo tanti delitti e più numerose stoltezze, l'umanità è ancora in piedi. 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Persone citate: Die Geburt, Eduard Norden, Gesù Bambino, Luigi Salvatorelli, Marietti

Luoghi citati: Torino